Il presidente ha brindato all'arrivo dei soci russi di Rosneft nell'azienda milanese di pneumatici, che rafforza la sua posizione. Ma gli affari dell'azienda milanese in Russia non brillano come previsto
Una campagna di Russia double-face. Dai risultati così così per la Pirelli, intesa come società. Decisamente buoni, invece, per Marco Tronchetti Provera, in qualità di azionista e presidente, che ha brindato all’arrivo dei soci russi di Rosneft nella storica azienda milanese famosa per i suoi pneumatici. Nella scorsa primavera, infatti, il colosso petrolifero guidato da Igor Sechin, ex agente del Kgb, ritenuto vicinissimo a Vladimir Putin al punto da finire nella lista nera degli indesiderati compilata dagli Stati Uniti dopo la crisi ucraina, ha speso 552 milioni di euro per rilevare il 50 per cento della Camfin, la società che controlla Pirelli.
L’arrivo dei russi, che hanno comprato le quote messe in vendita dal fondo di private equity Clessidra e, in parte, dalle banche Intesa Sanpaolo e Unicredit, ha permesso a Tronchetti di rafforzare la sua posizione al vertice di uno dei marchi più noti dell’industria italiana. Con Clessidra e le banche, infatti, Tronchetti si era impegnato a trovare un nuovo azionista di riferimento per la Pirelli entro il 2017, anno nel quale, come aveva lui stesso ribadito in un’intervista pubblicata il 9 gennaio scorso dal quotidiano tedesco “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, aveva intenzione di cedere le sue azioni e di trovare «più tempo per andare in barca a vela».
Niente di tutto questo: abbandonato il socio Clessidra, Tronchetti può ora restare al comando almeno fino al 2019, quando gli accordi firmati con Sechin verranno ridiscussi. E quando, forse, sarà possibile capire meglio le intenzioni dei russi sul futuro della Pirelli e gli effetti sul business in un mercato dove il gruppo milanese aveva cominciato a incontrare diverse difficoltà già prima del gelo dei rapporti tra il presidente Putin e l’Occidente.
Per inquadrare bene la svolta russa di Tronchetti, occorre tornare all’estate 2008, quando viene firmato l’accordo per costituire una joint-venture tra la Pirelli e la Russian Technologies State Corporation, la potente Rostec dell’oligarca Sergey Chemezov. L’obiettivo è creare da zero - dal “prato verde”, dicono gli addetti ai lavori - una moderna fabbrica di pneumatici nella regione di Samara, nel parco industriale di Togliattigrad. Una fabbrica che non nascerà mai, giacché, tra il 2011 e il 2012 la joint-venture, allargata nel frattempo alla Fleming Family and Partners (russa pure lei, a dispetto del nome), rileva due impianti della Sibur, grossa società privata del settore petrolchimico. Uno è a Kirov, 800 chilometri a nord-est di Mosca, l’altro a Voronezh, non lontano dal confine con l’Ucraina. Due stabilimenti che distano mille chilometri l’uno dall’altro. Quello di Kirov, tutti i principali concorrenti di Pirelli sbarcati in Russia lo avevano preso in esame prima dell’azienda italiana, scartandolo perché considerato obsoleto. Non a caso, la finlandese Nokian, la francese Michelin, la tedesca Continental e la giapponese Yokohama per entrare in grande stile sul mercato locale le fabbriche se le sono costruite nuove di zecca, così come sta facendo il numero uno al mondo, l’altra giapponese Bridgestone.
Pirelli e Rostec, invece, sganciano 222 milioni di euro per i due stabilimenti, prevedendo di investirne altri 200 entro il 2014 per renderli più efficienti. L’obiettivo, secondo il piano industriale Pirelli 2012-2014, è di fatturare 300 milioni di euro nel 2012 e oltre 500 milioni nel 2014. Il target, però, non viene raggiunto già nel primo anno e Tronchetti abbassa prontamente l’asticella: nel successivo piano industriale, svelato nel novembre 2013, il traguardo è fissato a quota 280 milioni di euro (dimezzando quindi le stime sbandierate dopo l’acquisizione) per il 2014, per puntare a 370 milioni di euro nel 2016. Smorzati i toni anche sul versante della redditività: se inizialmente la Pirelli anelava un margine operativo del 14-15 per cento per quest’anno, ora si accontenterebbe di un margine del 10 per cento nel 2016. L’Eldorado russo, in effetti, si sta rivelando meno scintillante anche per altri produttori, compresa la Nokian, fortissima nelle gomme invernali. L’impressione, però, è che la joint-venture tra l’azienda milanese e la Rostec potrà ripagare il cospicuo investimento in tempi doppi rispetto alle iniziali previsioni. Che la Russia stia viaggiando a scartamento ridotto, sul pianeta Pirelli, lo confermano i seguenti dati: lassù c’è il 9 per cento dell’intera forza lavoro del gruppo, eppure nelle casse della Bicocca arriva appena il 4 per cento dei ricavi.
Ma non sempre Mosca fa rima con problemi, in Pirelli. Dal punto di vista finanziario, infatti, i rapporti stretti con gli uomini dello zar Putin hanno garantito al presidente e amministratore delegato Tronchetti un importante soccorso, al termine di un difficile anno durante il quale era stato costretto a cambiare ben due volte alleati. Alleati che, a Tronchetti, sono sempre serviti come perno per conservare il controllo di Pirelli: se venisse smontata la catena di controllo riportata a pagina 114, la quota dell’azienda nelle mani della famiglia Tronchetti sarebbe infatti soltanto del 5 per cento, del tutto insufficiente a comandare. Nel giro di un anno è stata dapprima liquidata la famiglia genovese Malacalza, che continua a detenere il 7 per cento di Pirelli ma che un tempo era ben presente nelle holding a monte della catena; poi è toccato al fondo Clessidra che, in tandem con Unicredit e Intesa, era entrata in Camfin nel giugno 2013 proprio per permettere a Tronchetti di sciogliere i legami con i Malacalza. E che ne è uscita soltanto un anno dopo, con l’entrata in scena dei russi. Di tutti questi legami, quello con Mosca sembra essere il più solido. Come mostra anche un altro affare: la presentazione ai fratelli Gianmarco e Massimo Moratti dei vertici della Rosneft, un favore che ha permesso a Tronchetti di incassare un assegno da 20 milioni di euro quale ricompensa. I fatti sono andati così: nel 2013 il colosso guidato da Sechin ha fatto il proprio ingresso anche in un’altra azienda italiana, la Saras, raffineria della famiglia Moratti. Interpellata nel luglio scorso dall”Espresso”, la Marco Tronchetti Provera & C. (ovvero la cassaforte di famiglia) aveva spiegato che fin dal 2011 il presidente della Pirelli era stato contattato «in virtù della sua lunga esperienza e conoscenza dell’ambito oil and gas» da un altro gigante putiniano, la Gazprom, che stava valutando un’ipotesi di partnership con Saras. Il “cicerone” Tronchetti, evidentemente, fa bene il suo lavoro, anche se alla fine è la Rosneft (e non Gazprom) a entrare nella raffineria, al punto che l’amico Massimo Moratti, di cui è stato a lungo il vicepresidente nell’Inter, gli versa una “commissione di presentazione” degna del più navigato dei banchieri d’affari. I venti milioni vengono pagati dalle società in accomandita dei Moratti e finiscono alla Marco Tronchetti Provera & C, che dopo anni di perdite può chiudere il bilancio 2013 con un utile di quasi 10 milioni. Una vera manna dal cielo. Gli affari sull’asse Milano-Mosca non finiscono qui. Nell’estate 2013, ad esempio, la Pirelli si ricompra il 15 per cento di quel 25 per cento della joint venture in Russia che poco prima era finito in capo alla Fleming and Friends, che nel frattempo aveva cambiato il nome in Ghp. Ma chi c’è dietro la Fleming-Ghp? I principali azionisti di questa società focalizzata sui mercati emergenti sono i fondatori Ian Hannam e Mark Garber, quest’ultimo molto noto in Russia: è un miliardario che in passato ha fatto affari nel settore petrolifero con Alexander Borisovic Radkin Zhukov, personaggio cresciuto all’ombra di quel blocco politico-sociale composto da ex uomini dei servizi segreti che cementa il potere assoluto di Putin. E ancora, qualche mistero c’è pure dietro la partecipazione di Rosneft nella Pirelli. In un comunicato emesso il 24 maggio scorso, infatti, il gigante russo spiegava di avere «attratto strategici investimenti di fondi pensione e istituzioni finanziarie, con un modello simile al project-financing, nell’ambito dello sviluppo della compagnia italiana». La società indicata da Rosneft Oil Company quale investitore in Camfin si chiama Long-Term Investments Luxembourg, costituita dal fondo pensione Neftegarant, promosso dalla stessa Rosneft ma aperto anche ad altri. Oligarchi, finanzieri o pensionati che siano, i russi hanno fatto guadagnare i ”soccorritori” di Tronchetti. I Malacalza, che amano definirsi soci industriali e muoiono dalla voglia di contare nella gestione, agli attuali valori di Borsa possono conteggiare un’eccellente plusvalenza. E anche Clessidra ha fatto dei bei soldi: ha incassato circa 260 milioni dopo averne investiti 150 appena un anno prima. Idem per le banche, che sono sempre rimaste a fare da stampella al numero uno di Pirelli, garantendosi però laute plusvalenze dalla vendita di una parte delle loro quote. Intesa e Unicredit avevano investito meno di 120 milioni nella vecchia cordata con Clessidra e hanno valorizzato le proprie quote per circa 200 milioni, prima di reinvestirne una sessantina nell’ultimo riassetto, che oggi li vede rimanere azionisti con il 12 per cento ciascuna della società Coinv, a sua volta azionista di Camfin con il 50 (vedi ancora la figura qui sopra). I russi, dal canto loro, hanno un’opzione a vendere le quote di Pirelli a Tronchetti, che sarebbe obbligato a ricomprarle nel caso in cui lasciasse l’incarico per sua scelta e prima del 2019. Con quali soldi, però? Finora, la fragilità finanziaria della catena di controllo ha un po’ ingessato la Pirelli, che comunque nel primo semestre del 2014 ha fatturato 3 miliardi di euro con un utile netto di 192,1 milioni. Nel settore degli pneumatici da tempo ci si aspetta un giro di valzer di fusioni che riducano l’affollata concorrenza, perché aumentare le proprie quote di mercato senza fare shopping si è fatto assai difficile. Si può dunque essere prede o predatori. Una Pirelli definitivamente russa potrebbe avere una forza d’urto maggiore. Sempre che la situazione ucraina non precipiti e le sanzioni contro Mosca vengano inasprite. Mettendo a repentaglio anche gli equilibri dentro il fortino che Marco il Russo ha edificato intorno alla Bicocca.