Va a gonfie vele il polo automotive. E la Pharma Valley attira gli investimenti delle multinazionali. Soffrono invece le piccole imprese e i distretti del tessile. Mentre L’Aquila aspetta 400 milioni per la ricostruzione post-terremoto

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Siamo il Gran Ducato d’Abruzzo. La battuta circola parecchio, specie nella Val di Sangro. È qui, tra i comuni di Atessa e Paglieta, in provincia di Chieti, che ha sede la Sevel, la culla del Ducato, inteso come furgone. Quest’anno la joint-venture paritaria tra Fiat Chrysler Automobiles e Psa – che dà lavoro complessivamente, fornitori compresi, a circa 6.500 dipendenti diretti - produrrà oltre 250 mila veicoli commerciali leggeri, in maggioranza Fiat Ducato. Battendo quindi il record che risale al lontano 2008.

Il Ducato e i suoi “cugini” francesi, il Citroën Jumper e il Peugeot Boxer, vengono sfornati al ritmo di 1.100 unità al giorno, un centinaio in più rispetto al 2014. Per quasi il 90 per cento, i furgoni “made in Sevel” vanno all’estero e sono al centro di un gigantesco impegno logistico, che vede impiegati, in arrivo, 450 camion al giorno e 220 treni all’anno, mentre in uscita sferragliano annualmente 876 treni e navigano 250 navi, con un via vai quotidiano di 220 veicoli pesanti.

«L’Abruzzo è una delle regioni italiane in cui il contributo dell’attività manifatturiera al Prodotto interno lordo è percentualmente più importante: la Sevel vale da sola il 10 per cento del Pil abruzzese», sottolinea Mauro Tedeschini, direttore de “il Centro”, il più importante quotidiano della regione. Secondo il rapporto sui settori industriali appena presentato da Intesa Sanpaolo e Prometeia, a un buon 2015 farà seguito un ottimo 2016, con il settore dei mezzi di trasporto e farmaceutico a tirare la volata.

Musica, per le orecchie abruzzesi. Il polo dell’automotive, che oltre alla Sevel conta pezzi da novanta multinazionali come l’anglo-giapponese Pilkington (vetri per le vetture) e la nipponica Denso (motorini elettrici), è infatti una colonna dell’industria abruzzese. «Se il polo riuscirà a consolidare e specializzare la cultura d’impresa locale verso segmenti innovativi, come per esempio i veicoli a risparmio energetico e a minor impatto ambientale, il territorio risulterà più attrattivo e rafforzerà la presenza delle multinazionali», sostiene Giovanni Forestiero, responsabile per il Centro Italia di Unicredit.

Una gloria regionale come Jarno Trulli, l’ex pilota di Formula 1 che ora guida la monoposto della sua scuderia in Formula E, è già pronto alla sfida. Con una nuova società, la Motomatic, insieme all’imprenditore Peppe Ranalli e a Pierluigi Zappacosta, il fondatore di Logitech, da qualche mese sta lavorando all’idea di un power-train elettrico made in Abruzzo – motore, cambio, inverter – da vendere alle case costruttrici.

Con un numero di addetti decisamente inferiore all’automotive – che sono circa 30 mila, secondo Forestiero di Unicredit - ma con rosee prospettive di occupazione ultra-qualificata, l’altro fiore all’occhiello industriale della regione è quello farmaceutico. Intorno al polo chiamato Capitank, formatosi nel 2012, è nata una Pharma Valley che sta diventando un caso di scuola, con oltre 1.200 addetti diretti (e altri 2.500 nell’indotto) e un ritmo di esportazioni tra i più vivaci a livello mondiale.

«Le aziende aderenti sono salite a 56 e crediamo di poter attrarre ulteriori capitali e cervelli», afferma Ercole Cauti, il direttore di Capitank, particolarmente orgoglioso di un dato: i 120 milioni di euro di investimenti che il comparto ha messo in campo in Abruzzo negli ultimi tre anni, dei quali una quarantina pubblici e tutto il resto provenienti dai privati. «Non è certo una cosetta, per una regione come la nostra», dice Cauti, particolarmente soddisfatto dall’atteggiamento dei grandi gruppi.

«La francese Sanofi ha deciso di spostare a Scoppito, in provincia dell’Aquila, la produzione mondiale del Maalox in compresse; l’italiana Dompè, impegnata nel settore oftalmologico e in particolare sulle patologie della retina, investe 40-50 milioni per un centro d’eccellenza nella ricerca; e di Capitank fanno parte anche altre due big nazionali come Menarini e Alfa-Wasserman, il principale gruppo a capitale italiano. Credo davvero ci siano le condizioni per essere ottimisti».

Con quali ricadute occupazionali? «Presto nasceranno una decina di startup innovative - due sono già pronte a partire - che assumeranno soprattutto laureati e titolari di master», prevede il direttore del polo. «Nelle cosiddette “aree del cratere”, dove ci sono una sessantina di Comuni, oltre 150 mila abitanti e una corposa presenza di piccole e medie imprese, nei prossimi anni arriveranno 400 milioni di fondi per la ricostruzione post-terremoto», dice Francesco Prosperococco, direttore del Cresa, il centro regionale di studi per le ricerche economico-sociali.

E a proposito di risorse, Giuseppe Mauro, che insegna politica economica all’università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, fa un salto nel passato: «Quando, anche grazie agli sgravi e agli incentivi fiscali e alla Cassa del Mezzogiorno, «una regione che veniva dal sottosviluppo più nero si avvicinò alle zone più avanzate del Paese».

Fino al 2000, puntualizza Mauro, «l’Abruzzo era un punto di riferimento per tutti gli studiosi di economia dello sviluppo dei Paesi arretrati. Si parlava di regione cerniera e laboratorio del Mezzogiorno e l’Abruzzo veniva additato come un esempio virtuoso».

Poi il vento è cambiato, è la ricostruzione del docente, perché «non si è stati capaci di cogliere i segnali del cambiamento. Bisognava effettuare uno scatto in termini di qualità e innovazione. Uno scatto che non c’è stato, è arrivato l’euro che ha reso fortissima la concorrenza dei Paesi emergenti e la crisi si è fatta sentire in maniera più massiccia rispetto alla media nazionale».

Mauro dice che i grandi gruppi che esportano quasi gran parte della produzione hanno saputo mantenere e, talvolta, accrescere la propria competitività, «mentre le piccole imprese e molti distretti, votati al mercato domestico, hanno risentito pesantemente del rallentamento della domanda interna».

L’economista cita il declino dei sei distretti del tessile-abbigliamento: «Hanno fatto poca innovazione e venuta meno la leva del prezzo - anche in seguito all’arrivo dell’euro - si sono visti erodere gli spazi dalla concorrenza low-cost estera», dice Mauro, che aggiunge: «Nel territorio tipico delle produzioni di scarpe e vestiti, il Teramano, il 35 per cento degli imprenditori del settore è straniero, in gran parte si tratta di cinesi».

Ora, però, lo ha sostenuto nei giorni scorsi Antonio Carrubba, direttore della sede della Banca d’Italia dell’Aquila, «per la prima volta negli ultimi anni l’Abruzzo si muove». Nei primi sei mesi del 2015, il 60 per cento degli imprenditori ha aumentato il fatturato e solo il 20 per cento lo ha visto calare. Le macro-previsioni più fresche immaginano infatti un micro-incremento dello 0,3 per cento, per il Pil locale (che si aggira intorno ai 28 miliardi di euro).

L’anno prossimo, l’incremento del Pil dovrebbe arrivare allo 0,8 per cento, secondo Prosperococco del Cresa, che introduce un altro elemento d’ottimismo: «Nel 2016 ci sarà un aumento dell’1,5 per cento degli investimenti fissi, il cui drastico rallentamento è stato un serio problema per l’Abruzzo, negli ultimi anni».

Non soltanto l’industria - che “vale” il 30 per cento dell’occupazione regionale - ha un’incidenza maggiore sul Pil, in Abruzzo, in confronto alla media nazionale. Un livello di valore aggiunto superiore, in Abruzzo, lo raggiungono infatti sia l’edilizia che l’agricoltura. «La crisi delle costruzioni si è sentita parecchio ma la ricostruzione dell’Aquila, al di là degli scandali, ha fatto sì che si realizzasse un gradissimo laboratorio di restauro, con l’adozione di raffinatissime tecniche di recupero.

Nessuno ha mai avuto la possibilità di rifare da capo un intero centro storico, come sta avvenendo all’Aquila», dice Tedeschini, il direttore de “il Centro”, che da “forestiero” - è nato a Modena - ci tiene a dare una simbolico incoraggiamento agli abruzzesi. «Devono credere di più in se stessi. Sento dire spesso, anche da gente in gamba “eh sì, si potrebbe fare, ma qui non siamo l’Emilia-Romagna o la Toscana”. Non sembrano credere fino in fondo alle grandi potenzialità che hanno, si sentono la periferia dell’impero eppure la storia recente insegna che grandissime imprese possono nascere in piccoli borghi».

L’alimentare - con giganti della pasta come De Cecco o industrie strutturate del vino come Citra - è un’arma che certo può servire ad accrescere l’autostima regionale. A conquistare i palati di un vecchio impero, quello russo, ci proveranno presto gli ambasciatori di una leccornia tipica, gli arrosticini.

Angelo D’Ottavio, direttore di Abruzzo Italy - il consorzio che vuole spingere le piccole e medie imprese abruzzesi all’internazionalizzazione - dal 15 al 20 dicembre sarà a Mosca, per un circuito di dimostrazioni e di show-cooking e ci saranno anche i produttori di cuocitrici elettriche di arrosticini. Perché, i cuochi russi dei ristoranti, dice D’Ottavio, «mica possono stare a venti gradi sottozero a cuocerli con le tradizionali griglie a carbonella, giusto?».