Basta chiusure corporative. Niente più destra e sinistra. Difesa degli esclusi. Il sindacato o si rinnova o muore. Il leader della Fiom con la Coalizione sociale sfida Renzi. E la Camusso

Maurizio Landini: il mio partito sarà la Cgil

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Nella sua minuscola stanza al terzo piano della sede nazionale della Fiom di corso Trieste, alle spalle della scrivania sepolta dai libri, c’è un manifesto di Massimo Troisi nel “Postino”. E la frase di Pablo Neruda, «la poesia non è di chi la scrive ma di chi la usa», potrebbe fare da metafora per definire il progetto che Maurizio Landini chiama Coalizione sociale. «È vero. Ci sarà un processo, nascerà una domanda di politica nuova. Io resterò nel sindacato, ma chi avrà fatto parte di questo percorso troverà il modo di rispondere a quel vuoto di rappresentanza», spiega il segretario della Fiom alla vigilia della manifestazione del 28 marzo, primo passo verso la formazione del nuovo raggruppamento, le Unions all’italiana.

Non è un partito, Landini ha perso la voce a ripeterlo ed è tutto dire, non è neppure la fuga nella politica di un leader in difficoltà di numeri e di prospettive sul piano sindacale, come ripetono gli spin renziani dopo che Matteo Renzi ha ufficialmente dichiarato guerra al capo della Fiom con cui fino a qualche mese fa aveva marciato diviso per colpire unito (obiettivo: la Cgil di Susanna Camusso). Al contrario, la crisi del sindacato è la chiave di tutto, il punto di partenza del ragionamento di Landini: «O la Cgil e la Fiom si rifondano o il sindacato non ha futuro».

[[ge:espresso:attualita:1.205917:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/03/26/news/landini-riempie-le-piazze-ma-perde-le-fabbriche-1.205917]]«Ricordo perfettamente il giorno in cui le nostre strade si sono separate», racconta il segretario della Fiom sul feeling spezzato con Renzi. «Era il 27 agosto, ci siamo visti a Palazzo Chigi per oltre un’ora, a un certo punto il premier mi ha detto: “È cambiato tutto, Maurizio, nel Jobs Act inserirò l’abolizione dell’articolo 18”. Fino a quel momento non me ne aveva mai parlato, anzi, lo aveva sempre escluso. Io gli ho risposto: “se lo fai, mi schiererò contro di te”. Erano cambiate le condizioni poste dall’Europa. C’era stato l’incontro di Renzi con il presidente della Bce Mario Draghi».

Per il premier oggi “Maurizio” è un avversario politico. Ma per il segretario della Fiom la rottura con il premier e leader del Pd è molto di più. È il passaggio in cui si gioca l’esistenza stessa del sindacato, il ruolo riconosciuto in quasi 115 anni di storia (la fondazione della Fiom nel 1901 precede quella della Cgil). Nonostante la sua Fiom sia ancora di gran lunga il più grande sindacato dei metalmeccanici con i suoi 351mila iscritti nel 2013, 180mila alla prima tessera. Landini avverte il rischio mortale che corre la Cgil. La sua progressiva trasformazione in un’organizzazione aziendalista, corporativa. La perdita di una visione generale della società. L’appiattimento sull’esistente. La deriva burocratica che motiva la reazione della Camusso verso il movimentismo di Landini, dopo la tregua tra i due durante le manifestazioni e gli scioperi autunnali. Il senso di smarrimento provocato dalla scomparsa del punto di riferimento tradizionale: il partito.

Il dirigente della Cgil, dicono i compagni della Fiom, vive malissimo lo scontro tra il sindacato e il Pd di Renzi. Non si può paragonare a quelli del passato tra Sergio Cofferati e Massimo D’Alema che duellavano all’interno di un campo da gioco riconosciuto da entrambi. «Per un dirigente sindacale il partito della sinistra è stato sempre un approdo rassicurante, in cui si concludevano le carriere, con un incarico politico, a livello comunale, regionale, nazionale. Oggi invece il Pd ha interrotto i contatti. E la Cgil è in sofferenza».

Metti insieme i tasselli e viene fuori il progetto politico di Landini. In Parlamento non c’è più nessun punto di riferimento. Con Sel di Nichi Vendola c’è il grande freddo dopo il rifiuto della Fiom di partecipare all’ennesima rifondazione della sinistra con le vecchie facce. Con il Movimento 5 Stelle c’è un dialogo sul reddito minimo di inserimento, ma non si può ancora parlare di strategia comune. E con la minoranza Pd? «Visti da fuori, alcuni esponenti sembrano essere interessati soprattutto alla ricandidatura», li ritrae Landini.

«Il più lucido è D’Alema. È l’unico che ha capito che bisogna alzare il livello della sfida. Il suo problema è che è D’Alema». Nella Cgil il bivio è tra il lento esaurimento e la scelta di rottura, affidarsi al più mediatico dei suoi leader. Come Renzi ai tempi della rottamazione, Landini sventola la bandiera delle primarie o almeno l’allargamento della platea elettorale che sceglie i vertici del sindacato di corso d’Italia, tutti gli eletti delle Rsu. Mentre la Camusso punta ad affiancare agli attuali organi dirigenti una ristretta platea di grandi elettori selezionati dall’alto.

La Coalizione sociale è la strada scelta per colmare il doppio buco nero: la crisi della politica e la crisi del sindacato. Dopo la manifestazione di marzo le oltre cinquanta associazioni coinvolte si riuniranno per darsi una carta dei valori e un’organizzazione nazionale e sui territori. Il modello non è né Syriza, «una federazione di partiti esistenti», la definisce Landini, né Podemos, «anche se quando ho incontrato Pablo Iglesias mi ha colpito come siano riusciti a mettere insieme la rete e l’organizzazione tradizionale degli iscritti, cose che da noi sono contrapposte».

L’Italia è un laboratorio originale perché in nessun altro paese europeo c’è un sindacato così forte e influente e una rete di associazioni e di volontariato come Emergency di Gino Strada o Libera di don Luigi Ciotti. La strada assomiglia a quella che aveva immaginato Sergio Cofferati nel 2002, aprire il sindacato e trasformarlo in un super-partito trasversale.

Con la differenza che in quel momento il Cinese aveva sconfitto il governo (di centro-destra) sull’articolo 18 ed era a fine mandato nella Cgil, mentre il segretario della Fiom riconosce la sconfitta contro Renzi («scioperi e manifestazioni sono stati inutili») e intende giocarsi la partita per scalare la Cgil dove tra meno di un anno andranno in uscita dirigenti storici come Carla Cantone, segretari di federazioni strategiche, segretari regionali. «O ci rifondiamo o è finita», conclude Landini e in questa consapevolezza sembra quasi identificarsi con il Renzi prima maniera, l’outsider che in tv sfidava il Pd. E il futuribile partito? Verrà, ma in un secondo momento: «Se decidi prima che quella è la conclusione il processo non parte». Sarà di sinistra? «Renzi vorrebbe confinarci lì, ma io non so più cos’è destra e cos’è sinistra», ammette Landini, ed è l’ultima sorpresa. «Oggi lo scontro è tra chi sta bene e chi sta male. E quelli che stanno male sono molti di più. Solo che non li rappresenta nessuno».

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