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gennaio, 2016

Brasile: Pil in caduta libera, tagli e riforme mancate. La samba triste di Rio de Janeiro

Proteste contro il governo Rousself
Proteste contro il governo Rousself

A causa della crisi si riducono i fondi anche per il Carnevale ed è stato ridotto del 30 per cento il budget per le Olimpiadi. Rapporto da un Paese passato dall’euforia alla depressione

Proteste contro il governo Rousself
Il cielo sopra Rio de Janeiro è plumbeo da settimane. Un’anomalia nell’estate carioca. E le previsioni non sono incoraggianti. Un clima che rispecchia gli animi di 200 milioni di brasiliani caduti in una stagflazione umorale dopo anni di crescita. Il sole sembra aver abbandonato le dorate spiagge di Ipanema, i vignettisti se la spassano a disegnare il volto del Cristo Redentore in lacrime e neanche il Carnevale, ormai alle porte, sembra aver più l’effetto placebo. E pensare che doveva essere l’anno della rinascita per Rio de Janeiro e quello della consacrazione definitiva per il Brasile. Un anno suggellato con le Olimpiadi, le prime in America Latina. Il gigante sudamericano è in recessione, la presidente Dilma Rousseff rischia l’impeachment e il popolo vorrebbe servizi di base, invece che impianti sportivi.

Sette anni fa, quando il Comitato Olimpico Internazionale premiò la candidatura della “Città Meravigliosa”, lo scenario politico-economico era ben differente. Il Presidente Lula da Silva era quasi idolatrato, l’economia correva e si respirava ottimismo in ogni angolo. Neanche i più pessimisti avrebbero potuto prevedere un collasso così perentorio, evidenziato anche dall’“Economist”, che ha dedicato la copertina del primo numero dell’anno al tracollo del Brasile. Gli indicatori economici non sono certo incoraggianti. Pil in caduta libera (-2,5 per cento, dati Banca mondiale), inflazione al 10,5 e una moneta, il real, che dal 2014 si è deprezzata del 45 per cento sul dollaro. A cui si aggiunge la decisione delle agenzie di rating, Standard & Poor prima, Fitch poi, di declassare a spazzatura il debito sovrano.

Un clima da si salvi chi può. Non ce l’ha fatta neanche il ministro dell’Economia della scuola di Chicago Joaquim Levy, chiamato meno di un anno fa dalla presidente Rousseff per provare a stabilizzare le finanze e mai amato all’interno del Partito dei Lavoratori (PT). Al suo posto è stato nominato Nelson Barbosa, ben visto all’interno del partito ma meno dai mercati finanziari. Il tempo stringe, il ciclo delle commodities brasiliane sembra ormai finito con un crollo del 41 per cento rispetto al 2011 (indice Credit Suisse), la crisi cinese non aiuta e il debito pubblico è arrivato al 70 per cento del Pil. E gli analisti di Barclays prevedono che entro il 2019 si potrebbe arrivare al 93 per cento.
Dilma Rousself con un sostenitore che scatta una foto

La congiuntura economica sfavorevole ha avuto il suo peso, ma soprattutto durante il primo mandato Rousseff (2011-2014) hanno pesato sulle casse pubbliche le spese pensionistiche, il 12 per cento del Pil, e l’incapacità di ridurre i costi della politica. Inoltre le riduzioni fiscali introdotte per le imprese non hanno generato alcun profitto. Il deficit fiscale nel 2015 è cresciuto dal 2 al 10 per cento del Pil. La Banca Centrale prova a combattere l’inflazione, ma per evitare di destabilizzare ulteriormente le casse pubbliche ha deciso di non alzare ulteriormente i tassi d’interesse già al 14,25 per cento. Una situazione che potrebbe scappare di mano e che rischia di far partire la spirale dei prezzi: secondo uno studio del Credit Suisse, potrebbero crescere del 17 per cento nel 2017.

Cosa fare? Secondo il quotidiano economico “Valor” il nuovo ministro dell’Economia dovrebbe iniziare a convincere il Parlamento a reinserire l’imposta sulle transazioni finanziarie. Per poi proseguire con le riforme strutturali. Tasse più elevate, aumento dell’età pensionistica e maggiore flessibilità nei contratti di lavoro. Tre tabù per i sindacati e per l’ala più radicale del partito di centro-sinistra. La Costituzione del 1988 garantisce privilegi sociali che non sembrano poter più essere garantiti. Rispetto ai Paesi membri dell’Oecd (Organisation for Economic Co-operation and Development) l’età pensionistica è inferiore di 10 anni, licenziare un lavoratore per motivi economici è molto complesso e il 90 per cento delle spese pubbliche, il 40 per cento del Pil, non sono emendabili. Tutto per «difendere i privilegi guadagnati» come celebra la Costituzione. Uno stato sociale, per dimensione, simile a quelli europei, ma con grosse pecche sull’efficienza.
Proteste contro il governo Rousself

Per riforme strutturali di questa portata ci vorrebbe una maggioranza schiacciante in Parlamento, invece lo stallo è totale. Da tempo le redini del governo sono in mano al vice-presidente Michel Temer, del PMDB, partito alleato del Partito dei Lavoratori (PT) ma interessato più agli interessi della sua cerchia che a quelli del Paese. A cominciare dai presidenti di Camera e Senato entrambi coinvolti nell’inchiesta Lava Jato, il più grande scandalo di corruzione nella storia della Repubblica in cui le autorità contestano uno schema di mazzette tra il colosso petrolifero statale Petrobras, aziende addette ai lavori pubblici e partiti politici. Nella lista anche 32 membri del PT.

Uno scaricabarile che ha portato il presidente della Camera Eduardo Cunha, in teoria alleato della Rousseff, ad una richiesta di impeachment supportata anche dal PSDB, il principale partito d’opposizione di centro-destra. L’accusa è duplice: aver usato parte dei soldi della Petrobras per finanziare la campagna elettorale per le presidenziali del 2014 e aver coperto buchi di bilancio con asset pubblici. Sono ore di grandi contrattazioni perché la richiesta di impeachment dovrà passare al Senato e per farlo ci vogliono i sì dei tre quinti dei 513 membri della Camera. «È difficile che avvenga, c’è una frattura netta in aula», commenta Sergio Vale, a capo del centro di analisi politico-economico Mb-Associados. Dura la posizione dell’ex presidente Lula che ha tuonato in un’intervista al “País”: «L’impeachment non ha una base, la presidente ha fatto ciò che molti capi di Stato fanno, finanziare progetti sociali e pagarli in seguito con le casse dello Stato».

Sul fronte della politica estera le cose non vanno meglio. Il gigante sudamericano è sempre più isolato, sia in Sudamerica dove l’ondata della sinistra riformista sembra al capolinea, sia sul palcoscenico internazionale. La Rousseff ha deciso di chiudere molte ambasciate. Una strategia che ha fatto perdere quasi certamente la possibilità di avere un posto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu mentre è a rischio il diritto di voto all’Aiea (Agenzia Internazionale per l’energia atomica) in quanto Paese moroso. Un progressivo abbandono dai tavoli internazionali che lascia presagire l’intenzione di default selettivi per non pagare più organizzazioni come Onu e Oas (Organization of American States).
Anche i fondi per il carnevale sono stati tagliati

In tutto questo ad agosto inizieranno le Olimpiadi. Un evento che si sta trasformando in incubo. Lo Stato federale di Rio de Janeiro, dipendente dagli introiti petroliferi, è in grande difficoltà. Così si è deciso di tagliare del 30 per cento il budget per le strutture che era di 13 miliardi di dollari. Una scelta fatta anche per dare un segnale alla popolazione già molto critica nei confronti dei Giochi ed evitare l’ondata di proteste per le spese eccessive. Alcuni abitanti delle favelas sono stati sfrattati per costruire i 24 chilometri della linea della metropolitana TransOlimpica.

Molti si lamentano di non avere accesso agli ospedali pubblici, alcuni chiusi per un buco da 330 milioni di euro e altri super affollati. «Saranno Olimpiadi a basso costo», ha promesso Eduardo Paes, sindaco di Rio, «se possiamo ridurre spese lo faremo, ma il 95 per cento delle opere è già stato completato». I problemi non mancano. Nello stadio che ospiterà le gare d’atletica sono state tagliate acqua e luce perché le ultime bollette non erano state pagate. I finanziamenti per completare le tettoie delle piscine sono stati tagliati e nel villaggio olimpico tv e aria condizionata non saranno inclusi in tutte le stanze. I timori che Rio 2016 possa generare più danni che profitti, come avvenne per Atene 2004, sono diffusi.

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