Arredi distrutti, finestre spaccate, computer per terra. Palácio do Planalto, la sede della Presidenza della Repubblica del Brasile è stata assaltata da migliaia di sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro. Che hanno rubato una copia della Costituzione del 1988, e devastato anche gli altri luoghi simbolo del potere del paese: il Parlamento e il Tribunale supremo federale, a Brasilia, la capitale. Solo dopo diverse ore e una cinquantina di feriti, le forze di Polizia hanno ripreso il controllo della situazione, eseguendo centinaia di arresti.
Il Presidente Luiz Inacio Lula da Silva, che al momento dell’assalto non era nel Palazzo presidenziale, ha parlato di «vandali fascisti», il ministro della Giustizia di un atto di «golpismo». Le immagini e i video che hanno fatto il giro del mondo in pochi minuti ricordano l’assalto a Capitol Hill di due anni fa. Quando i sostenitori di Donald Trump hanno colpito il cuore della democrazia Usa.
«Ci sono molti elementi comuni», commenta Loris Zanatta, professore di Storia dell’America latina all’università di Bologna e senior advisor per l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. «Ma il punto adesso è capire se il Brasile ha anticorpi democratici abbastanza forti per impedire che un atto criminale e grottesco abbia anche delle gravi consegne effettive».
Per Zanatta nonostante l’estrema polarizzazione politica e sociale del Brasile, le istituzioni del Paese sono stabili e saranno in grado di reggere il colpo. «È una delle democrazie più solide dell’America latina. Certo, le intenzioni delle frange estreme del bolsonarismo che hanno assaltato i palazzi del potere sono piuttosto palesi: hanno agito per costruire una sensazione di illegittimità attorno alle elezioni presidenziali che hanno portato alla vittoria e all’insediamento di Lula. E quindi per delegittimare le autorità elette e lo stesso Presidente. Per dare un’immagine di ingovernabilità del paese. Affinché, per risolvere la situazione, emerga la possibilità di appellarsi a un ruolo che le forze armate hanno svolto spesso nella storia del Brasile: essere il “potere moderatore”. Cioè porsi come arbitro della patria, come custodi dell’unità nazionale, al di sopra delle diverse fazioni politiche».
Ma è poco probabile che questo accada. Perché «le forze armate brasiliane sono un gruppo professionale, indipendente dagli altri poteri. Al loro interno ci saranno pure dei gruppi estremisti pro-Bolsonaro che sognano un ritorno al passato ma la maggior parte è fedele alle istituzioni. Almeno da quando, nel 1985, è tornata la democrazia in Brasile».
Secondo Zanatta, anzi, tra un paio d’anni penseremo ai fatti del 8 gennaio 2023 come «il canto del cigno del bolsonarismo». Come la sua fine politica, perché quello che è successo allontanerà dell’ex presidente molti suoi sostenitori: «La pancia moderata del paese che fino a ora l’ha sostenuto. Non dimentichiamo che Bolsonaro è stato votato prima dalla maggioranza del Paese e, poi, nelle ultime elezioni, quasi dalla metà. Soprattutto negli stati più moderni e istruiti del Brasile. Questo vuol dire che buona parte della popolazione l’ha visto come un’alternativa reale e credibile per governare. Ma se i suoi sostenitori ricorrono ad azioni così estreme una parte rilevante dell’elettorato si distanzierà da lui».
La carta eversiva, quindi, non pagherà anche se lascia danni molto profondi. «Capiremo che succederà in base a come si comportano i governatori vicini a Bolsonaro che sono a capo degli stati più ricchi e popolari, Rio de Janeiro, São Paulo e Mina Gerais. Secondo me prenderanno le distanze da questi atteggiamenti».
Come dichiara Zanatta la condanna all’assalto ai palazzi del potere è stata unanime in tutto il Brasile, anche Bolsonaro, da Miami, ha capito di dover prendere le distanze. «Così paradossalmente il tentativo di golpe volge a beneficio di Lula perché il Paese si è raccolto attorno alle istituzioni democratiche. Il pericolo resta perché gli estremisti potrebbero compiere atti violenti. Ma non è a rischio la tenuta democratica del Paese».