Il 60 per cento dei cittadini Ue vede più vantaggi che svantaggi nell’appartenere all'Unione. La disoccupazione è il problema più sentito, ma cresce lo scetticismo sulla capacità della politica di risolvere i problemi. In esclusiva i risultati a sorpresa della grande ricerca promossa dalla più autorevole fondazione politica tedesca

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L’Europa si guarda allo specchio. Ma quel che vede, oggi, riserva molte sorprese. Probabilmente, pochi tra i politici che siedono sugli scranni di Montecitorio o a Strasburgo scommetterebbero sull’ipotesi che la maggioranza dei cittadini del Vecchio Continente si esprima in termini favorevoli all’Unione europea. E invece è così.

Anzi, riformulando la domanda - pur non facendo mancare le proprie critiche, che non sono poche – gran parte degli europei ritiene che la Ue porti più vantaggi che svantaggi, contrariamente a quello che suggeriscono le formazioni euroscettiche e populiste.

Per la precisione, si tratta – pur con i necessari distinguo – del 61 per cento, composto da un 28 per cento privo di riserve e di un 33 per cento che tiene conto anche degli aspetti critici, mentre si ferma al 34 per cento la percentuale degli interpellati che si esprimono in termini solo negativi.

Allo stesso modo sei cittadini su dieci sono nettamente favorevoli ad estendere l’Unione ad altri paesi membri, mentre una netta maggioranza (il 54 per cento degli europei, il 68 per cento dei tedeschi e il 75 per cento degli italiani) è convinta che la crisi dei migranti debba essere affrontata con una chiara condivisone di responsabilità a livello comunitario. In altre parole: alla Ue è chiesto di guidare il processo, di farlo collegialmente, di non lasciare soli i singoli governi nazionali.

Sono dati che emergono da un sondaggio ad ampio raggio realizzato dalla Friedrich Ebert Stiftung – la principale è più autorevole fondazione politica tedesca – insieme all’istituto di ricerca politica “Policy matters” interpellando settemila cittadini europei in otto paesi della Ue (Germania, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Repubblica Ceca e Slovacchia).

Una ricerca molto approfondita – di cui rendiamo conto qui in esclusiva – composta da centinaia di quesiti, che non solo presenta molti aspetti sorprendenti rispetto a quello che è lo “storytelling” europeo dei nostri tempi, ma che può essere anche intesa come una sorta di vademecum per chi ha oggi responsabilità politiche, a Roma, a Berlino, a Parigi come a Bruxelles.

Perché, a quanto pare, i cittadini europei hanno idee piuttosto chiare rispetto a quelle che sono le criticità, le mancanze e gli errori del progetto europeo, così come le opinioni si dispongono molto nettamente in merito a quali debbano essere i campi di responsabilità delle istituzioni europee rispetto a parlamenti e governi nazionali.

Non sono tutte rose, ovvio. Per quanto riguarda l’Italia, per esempio, risulta abbastanza lampante come la sfiducia nei confronti delle istituzioni europee vada di pari passo con quella che i nostri concittadini riservano alle istituzioni nazionali (il 41 per cento vede più svantaggi che vantaggi a stare nella Ue, ma in moltissime questioni cruciali preferisce che sia l’Europa a decidere): in generale, il 28 per cento degli italiani si fida con riserva della capacità del nostro paese di risolvere i problemi, l’8 per cento non si fida affatto, mentre un 41 per cento si fida poco e un 17 per cento per niente.

Tutto il contrario della Germania, che pure è attraversata da forti tensioni a causa delle decine di migliaia di profughi che premono ai suoi confini: qui la fiducia per il proprio paese è definita “grande” da 43 cittadini su cento, “molto grande” da 33 su cento, mentre il 15 per cento si dice poco e solo il 3 per cento affatto fiducioso. In generale – e anche questo alla fin fine è un dato sorprendente – gli europei nel loro insieme accordano grande fiducia al paese di Goethe e della Merkel: tra questi, prevalgono ovviamente i paesi nordici e l’Olanda, ma solo con un modesto distacco rispetto a paesi come la Spagna (64 per cento) e Francia (60 per cento), mentre più fredda appare proprio l’Italia, ferma al 50 per cento dei consensi pro-Berlino.

Di nuovo, non va bene per l’Italia dal punto di vista della fiducia accordata dagli altri: questa rimane inchiodata, infatti, al 28 per cento complessivo, contro un 64 cento di pareri negativi. Per quello che concerne la disposizione d’animo dei vari paesi verso il progetto europeo, salta agli occhi il grande favore che la Ue riscuote presso gli spagnoli, con un 44 per cento di persone che vedono i vantaggi nel far parte dell’Unione e il 29 per cento che mette sullo stesso piatto elementi negativi e positivi (contro rispettivamente il 27 e il 30 per cento dell’Italia).

Per quanto riguarda i rapporto tra i vari Stati membri, risulta interessante come la stragrande maggioranza degli europei si dica favorevole all’esclusione di paesi membri dalla Ue se essi violino “regole e valori fondanti” dell’Unione. Per la precisione, il 77 per cento, di cui l’81 per cento dei tedeschi, il 72 per cento degli spagnoli, il 71 per cento dei francesi e il 70 per cento degli italiani. Polonia e Ungheria sono avvertite, a volerla leggere con malizia.

È un quadro estremamente articolato, quello che emerge dallo studio della Friedrich Ebert Stiftung, che dà indicazioni preziose per quel che riguarda l’idea che gli europei hanno di come dovrebbero funzionare le istituzioni comunitarie. Se in generale una maggioranza tutto sommato esigua (il 39 per cento contro il 33) ritiene che il consiglio Ue debba avere maggiore importanza nelle principali questioni di politica europea, risulta a maggior ragione significativo che proprio in Italia la forbice si allarghi al 49 per cento di favorevoli contro il 31 per cento di scettici.

Allo stesso modo, dovrebbe avere più poteri la Commissione Ue (ma solo per il 38 per cento degli europei, laddove si tratta di un notevole 53 per cento degli italiani), mentre il 44 per cento in tutta Europa e il 59 per cento dei nostri concittadini è favorevole ad un maggiore protagonismo dell’Europarlamento. In modo speculare, rispettivamente solo il 34 per cento e il 38 per cento degli italiani pensa che il nostro parlamento ed il nostro governo debbano avere più poteri rispetto a Bruxelles e Strasburgo.

Altrettanto significativo è che il 58 per cento degli europei, il 69 per cento degli italiani e un notevolissimo 68 per cento degli spagnoli si dica convinto che le questioni di politica estera e di sicurezza debbano essere di competenza preminente della Ue più che dei singoli Stati membri. Lo schema cambia quando si parla di lotta alla disoccupazione giovanile, dove si registra una contrapposizione abbastanza netta: se per esempio in Germania e in Francia rispettivamente il 49 per cento e il 60 per cento si dice a favore di una gestione a livello di governi nazionali, in Spagna e in Italia si preferirebbe che fosse l’Europa ad affrontare la matassa, con il 57 e il 52 per cento. Per quel che riguarda le unioni tra persone dello stesso sesso, solo il 41 per cento ritiene che la questione debba essere regolata a livello europeo, contro un 50 per cento che protende per una gestione nazionale.

Allargando il quadro, vi sono dei segnali precisi che le cancellerie europee così come le istituzioni di Bruxelles farebbero bene a cogliere nello scorrere con attenzione il capitolo “problemi” della ricerca tedesca. Per esempio, è la mancanza di lavoro la preoccupazione più sentita dagli europei con il 68 per cento delle indicazioni, seguita ad un’incollatura dalla questione del numero di migranti in arrivo nel Vecchio Continente, con la situazione economica al terzo posto (64 per cento) e una più complessiva “tenuta della società” al quarto (63 per cento). Un campanello d’allarme per chi ha responsabilità di governo dovrebbe essere però quel nettissimo 72 per cento che nutre serissime riserve relative alla capacità della politica, presa nel suo insieme, di “risolvere i problemi”. Il che forse non stupisce più di tanto, ma apre una questione cruciale – come suggerisce lo studio della Friedrich Ebert - per quel che concerne il rapporto tra cittadini ed eletti, sia nella Ue che in Italia.