
Non siamo tra i rom di Roma, e neppure tra quelli di Milano. Questa volta l’Italia degli accampamenti in periferia, abusivi e stracolmi di rifiuti, non c’entra. Siamo molto più a nord, in Svezia, dove ordine e civiltà sono la bandiera di un Paese ambizioso che spesso fa vanto di sé. Il fenomeno è dilagante e per ora inarrestabile, con ritmi di crescita impressionati. Nel 2013 si contavano per le strade 660 rom, oltre 5000 nel 2015. Il Paese scandinavo conta il rapporto più alto tra cittadini e mendicanti del vecchio continente. Molti arrivano da sud, Italia compresa, dove non vale più la pena stare. Si racimola poco.
FONDI PERDUTI
Il 29 agosto 2002 Madalin Voicu, esponente del Partito social democratico rumeno, unico parlamentare rom insieme al collega Nicolae P?un, disse: “I nostri gypsies sono stupidi. Loro potrebbero almeno essere furbi, ma non lo sono. Sono solo dei primitivi e irritano tutta la società [...]. Vagano nel nostro Paese e in tutta Europa a piedi nudi, viscidi e sporchi, indossando abiti che generano più disgusto che pietà [...]. Mendicare, adescare ed essere disorganizzati non porterà loro mai alcun vantaggio”.

A distanza di anni le cose non sono cambiate di molto e il governo rumeno tende sempre alla discriminazione, piuttosto che all’integrazione dei 621 mila nomadi sparsi nel territorio nazionale. Lo scorso febbraio Voicu e P?un sono finiti sotto accusa per una truffa di oltre 4,6 milioni di euro. I soldi, stanziati dal Fondo sociale europeo (Fse) e destinati all’integrazione dei rom, venivano usati per finanziare attività private gestite dai due parlamentari e altre dieci persone. In totale per il periodo 2007-2013 l’Unione Europea aveva stanziato 20 miliardi di euro a favore dello stato rumeno, di cui 3,7 miliardi dal Fse destinati al sostegno delle persone più vulnerabili e senza lavoro. Ad agosto 2013, di questi ultimi, solo il 28 per cento era stato utilizzato. Altri 21,8 miliardi sono a disposizione per il quinquennio 2015-2020.
In un recente servizio diffuso dal canale rumeno TVR1, la Svezia veniva descritta come il paradiso per i rom, con leggi poco severe e gente generosa. Le interviste ai rom raccolte dal giornalista inviato a Stoccolma invitavano all’esodo: si guadagna, le condizioni sono molto meglio che in Romania e lo Stato è tutto sommato molto tollerante. Non resta altro che partire.

PER 25 EURO AL GIORNO
Poco lontano da un sottopasso di Slussen, snodo centrale del traffico della capitale, Cristina cucina pollo e legumi in una vaschetta di alluminio. Fuoco acceso con carta plastificata che emana fumo dall'odore acre e irrespirabile, il pollo appena scottato ne è annerito. Ma va bene così. “Riesco a raccogliere anche 25 euro al giorno, più il cibo che molti passanti mi lasciano. Li mando a casa, in Romania. Non guadagnerei così tanto lavorando nel mio Paese”. Là si vive con uno stipendio medio di circa 400 euro al mese. “Gli svedesi sono molto generosi”, continua sorridendo.
Per la maggior parte di loro è inaccettabile che si mendichi per le strade, che si dorma sui cartoni, che si stendano gli abiti sulle balaustre dei marciapiedi o sulle biciclette parcheggiate in centro; tutto questo fino a pochi anni fa non esisteva. Questa non può essere la Svezia, qui non si deve vivere così. Mossi da compassione tendono dunque a donare molto e questo attira sempre più migranti. Anche nelle città dove gli inverni sono molto rigidi.
A Umeå, 640 chilometri a nord della capitale, è dura stare nelle baracche quando la temperatura scende a 20 sotto zero. E ancora peggio se la polizia sgombera il campo e si è costretti per strada, sotto la neve. Era il 26 gennaio 2015 quando gli agenti cacciarono una cinquantina di rom dai loro ripari. Qui, in una tra le città più tolleranti del Paese, con solo il 5,6% (13% è il valore nazionale) di voti a favore del Partito democratico anti-immigrazione, molti non condivisero lo sgombero.
“La reazione è stata immediata”, racconta Ahmet Gümüscü, coordinatore per i cittadini vulnerabili nel comune di Umeå, di origine curda e ora cittadino svedese. Il consiglio comunale in accordo con la Chiesa svedese e le ong locali ha stanziato 1.65 milioni di corone, circa 174 mila euro. La sede pastorale della chiesa di Umeå ha allestito 50 posti letto, ha organizzato corsi di lingua e iter di inserimento nel mercato del lavoro.
“Gli sgomberi come quello di Umeå, ma potrei citare Mälmö, Göteborg e la nostra stessa Stoccolma sono una violenza. Ho sentito che ogni intervento costa circa 70 mila euro, perché non investirli in altro modo?”. È indignato Sven Hovmöller, docente di Chimica all’Università di Stoccolma ora in pensione, socialdemocratico e vice presidente dell’associazione Hem, ong tra le più attive della capitale.
Ogni domenica mattina insieme agli altri volontari accoglie i rom nel centro sociale Cyclopen. Lezione di svedese, ascolto, sostegno, qualche panino e un caffè. Sven non accetta la linea dura, e interviene direttamente nei campi quando irrompono gli agenti. “Poco tempo fa sulla sua pagina Facebook la polizia invitava i cittadini a segnalare pubblicamente le località occupate, una strategia efficace ma con risvolti tragici. Prima degli sgomberi, giustizieri indipendenti davano fuoco alle baracche. Un uomo è morto ustionato. Mi scontrai con i vertici facendo presente che così avrebbero innescato una caccia all’uomo da parte di bande naziste e xenofobe”. La pubblicazione per ora è sospesa.

LISTE NERE
L’intelligence svedese procede con cautela dopo lo scandalo del 2013, quando il quotidiano Dagens Nyheter pubblicò la notizia della stesura da parte della Polizia della Scania, regione del sud del Paese, di una lista segreta di ben 4741 persone di origine rom, colpevoli solo di appartenere a un etnia discriminata. Nessuno aveva commesso reati, molti erano mendicanti ma altrettanti erano bambini sotto i tredici anni e adulti completamente integrati nel Paese. Un atto illegale per cui il Cancelliere di Giustizia, con una decisione storica, ha condannato lo Stato a risarcire ogni iscritto nella lista con 5000 corone (530 euro).
A fine 2015, tuttavia, con lo scopo di colpire bande criminali che gestiscono l’accattonaggio e il traffico di esseri umani, la polizia ha stilato una nuova parziale mappatura dei mendicanti di strada. Mariana non poteva opporsi, la sua vita è per strada, non ha diritti, non le restava altro che rispondere. “Sembrava un interrogatorio. Ci hanno tenuti per mezz’ora, abbiamo dovuto rispondere a molte domande di un questionario e hanno scattato delle foto. Volevano vedere le carte d’identità”.
Linda Staaf, capo del National Intelligence Service, in una dichiarazione rilasciata a Sverigesradio giustifica: “Se vediamo che si tratta di una persona vulnerabile, che sospettiamo possa essere vittima di maltrattamenti, abbiamo il dovere di porre domande e acquisire maggiori informazioni. Per tutelare l’individuo e impedire che si radichi il traffico di esseri umani legato all’elemosina”.
Staff e colleghi sostengono che non vi è stata una redazione su base etnica, anche se il 90 per cento sono rom. Ma quale sia esattamente il contenuto del registro ancora non è chiaro.