Alan Sked, fondatore del partito anti europeista Ukip oggi guidato da Nigel Farage, spiega le ragioni a favore dell'uscita di Londra dall'Unione. "E' l'occasione di una vita"

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Entrando al Parlamento Europeo si incrocia lo sguardo torvo e arrabbiato di Wiston Churchill. Il suo cartonato fissa gli occhi sull’ascensore che sale verso l’emiciclo di Strasburgo, la scritta "Stati Uniti d’Europa" si staglia sulla parte posteriore dell’imponente omaggio allo statista inglese. Li aveva preconizzati nel discorso di Zurigo del 1946, e prima ancora in un articolo del 1930, ma li stiamo ancora aspettando. Forse aveva ragione Spinelli, il federalista del "tutto subito". Perché adesso l’architettura europea rischia di sgretolarsi, dopo decenni di progresso prudente nel nome del funzionalismo di Jean Monnet. Alan Sked, fondatore dell’anti-europeista "Uk Indipendence Party" (Ukip), non se ne rammarica. Gli anni consacrati alla causa dell’euroscetticismo, anche dopo il litigio con Nigel Farage, giungono ora ad una resa dei conti definitiva.

Alan Sked, il 23 giugno si consumerà l’atto a cui ha dedicato le battaglie di una vita. E’ emozionato?
«In effetti sì, e le confesso che sto cercando disperatamente di tenere a bada l’ottimismo. Questa volta è tutta un’altra storia rispetto al referendum sull’uscita dall’UE del 1975, soltanto due anni dopo l’ingresso nella Comunità Economica Europea (CEE). Allora l’establishment era tutto dalla parte di Wilson, che aveva rinegoziato aspetti minuscoli dei nostri rapporti con la Cee per poi mettersi a fare campagna per restare. Stavolta abbiamo un’importante sezione dei media che ci sostiene, partiti importanti che sono divisi e casomai propendono per la Brexit, un Primo Ministro che si inventa ridicoli scenari da armageddon sull’uscita perché i sondaggi lo mandano nel panico. E poi c’è l’affluenza: sicuramente non saranno i pro-Brexit ad impigrirsi e non andare a votare. L’Ukip fu primo partito alle elezioni europee nel maggio 2014 proprio per questo motivo – alle politiche un anno più tardi non prese nemmeno un seggio. Per noi euro-scettici il referendum è l’occasione di una vita, mentre i "pro-remain" sono poco convinti, perfino svogliati. Primo fra tutti Corbyn, che nel 1975 votò per uscire».

Mi convinca che vi conviene uscire dall’Unione
«Parto dalla questione più importante, quella democratica. Uscendo torneremo ad essere un paese normale, una nazione in grado di auto-governarsi, in cui le leggi possono essere cambiate soltanto dal Parlamento inglese. Risparmieremmo poi circa 10 miliardi l’anno di contributi europei – di questi tempi non è poca cosa. Margaret Thatcher riuscì a farseli diminuire di un terzo, con il suo celebre discorso "I want my money back" (restituitemi i miei soldi!) a Fontainbleau nel 1984. Ma rimangono troppo alti, ed alimentano troppi sprechi. Ma lei lo sa che al Parlamento europeo ogni deputato ha diritto a 22.000 euro al mese per pagare i propri assistenti, che spesso e volentieri si girano i pollici? E vogliamo parlare della doppia sede? In terzo luogo c’è la questione dell’immigrazione. Ogni anno arrivano nel Regno Unito 200.000 persone, di cui la metà dall’interno dell’Unione. Servizi e infrastrutture non ce la fanno, il problema del sovraffollamento è reale. Prenda Londra: non ci sono abbastanza case e i trasporti pubblici sono sovraccarichi, prendere la metro nelle ore di punta è diventato impensabile».

L’ex sindaco di Londra Boris Johnson è uomo simbolo della campagna per l’uscita. Di lui si dice che sposi la causa in maniera strumentale, per prendere il posto di Cameron a Downing Street.
«Con la Brexit Boris Johnson diventerebbe quasi certamente Primo Ministro, è vero, ma questo non vuol dire che non sia intellettualmente onesto. Lo conosco bene, Boris, ed è sempre stato molto critico dell’Unione europea. Quando Cameron è tornato da Bruxelles con concessioni risibili – il "freno d’emergenza" per i migranti in caso di sofferenza del sistema di welfare può essere attivato solo con l’ok del Consiglio europeo, giusto per dirne una – ha stabilito che non fosse abbastanza. Come Churchill, anche lui crede in un’Inghilterra "intimamente associata" all’Unione, ma che non ne faccia parte. E come avvenne con Churchill nel 1940, quando da popolarissimo outsider politico scalzò Chamberlain per poi salvare l’Europa, lo stesso avverrà con Johnson. Grazie a lui tutta l’Europa si libererà dal giogo dell’UE, sfruttando l’effetto domino del referendum».