Un mediocre provveditore miracolato e al servizio del verbo salviniano

scuola, religione, lavagna, crocifisso
La fortuna del ministro Marco Bussetti ?è quella di essere venuto dopo una delle riforme scolastiche più odiate dal corpo insegnante e studentesco, la Buona scuola. La scaltrezza dei suoi primi mesi di governo è stata quella di navigare a vista, fingendo di ridimensionare l’impatto enorme di questa riforma: ha eliminato l’odiata chiamata diretta dei presidi; ha fatto melina sul sistema dei bonus di valutazione; ha tenuto in vita l’alternanza scuola-lavoro ma il numero di ore per licei e istituti tecnici e professionali è stato ridotto e il suo svolgimento è affidato alla singola scuola o al singolo insegnante; il ruolo dell’Invalsi è stato apparentemente diminuito a partire dalla cancellazione della prova contestuale alla maturità; ha millantato grandi manovre per il reclutamento e la formazione dei nuovi docenti ma di fatto ha solo cancellato il Fit, il piano triennale che doveva partire già a settembre scorso, lasciando le scuole ad arrangiarsi ognuna come può.

Timido per le prime settimane, nelle interviste di inizio mandato se la provava a cavare dicendo di non voler fare nessuna riforma, ricordando che non è stato un granché come studente, e che tifa Inter. Nei mesi successivi si è barcamenato tra “meglio cambiare” e “lasciamo tutto com’è”: rimettiamo l’ora di educazione civica ma forse «è meglio spalmare un po’ di educazione civica in tutte le ore», vanno ridotti i finanziamenti ?alle scuole private «che hanno ricevuto molto dallo Stato» ma «all’ordine del giorno non ci sono interventi sulle paritarie», non ?ci sarà nessuna riforma ma «avvieremo una riforma del testo unico e degli organi collegiali».
Lega
Marco Bussetti, il ministro in 'missione' a casa sua. Ma paga lo Stato
15/2/2019

Figura di secondo piano della truppa gialloverde, con il passare dei mesi si è ritagliato uno spazietto da ideologo anche a costo di essere strumentalizzato: per esempio, da giugno a oggi ha rilasciato un’intervista alla Verità ogni venti giorni contro «i libri di testo ideologizzati», contro la fantomatica “teoria gender” e sulla possibilità di introdurre il buono scuola per le famiglie. Ripete in ogni discorso l’importanza della libertà, ma poi chiosa con il bisogno di ridare valore all’Autorità, al Natale, al Presepe, alle Tradizioni. Tutto con la maiuscola, la sua voce ci tiene a scandire.

Per il resto ha incarnato tre ruoli: quello paternalista anni ‘50 (cresciuto dai gesuiti, ancora oggi dice che il suo autore preferito è Natalino Spaccapelo), da dispensatore di luoghi comuni, da burocrate che si trincera dietro una retorica fumosamente tecnicista pur di non condividere le scelte chiave. In pubblico dà ?il peggio di sé: evidentemente poco preparato dal punto di vista culturale e pedagogico, da paternalista anni Cinquanta nel suo intervento al comizio della Lega in piazza del Popolo l’8 dicembre, all’indomani della peggiore strage di bambini degli ultimi dieci anni, quella di Corinaldo, poteva arringare: «Abbiamo bisogno di più rispetto e regole, rispetto per il popolo italiano, per la legge ?e per le tradizioni»; il 13 dicembre al concerto all’auditorium ?di Roma per il Premio delle arti ha svilito il senso della più importante manifestazione delle scuole di formazione artistica d’eccellenza ricordando solo il valore delle feste e del Natale ?e chiedendo un Bianco Natale a comando.
Da solleticatore del senso comune se n’è uscito con il consiglio di dare pochi compiti per Natale; oppure sull’enorme questione dell’orientamento post-terza media, ovvero sul fatto che molti ragazzi si trovano a pentirsi della scelta della scuola superiore, alimentando la dispersione scolastica, ha dichiarato a Studenti.it: «Noi non lavoriamo sulle attitudini, noi lavoriamo su quello che potrebbe essere un’immagine di futuro di persona, di competenze che ha, ma non siamo capaci di essere sinceri fino in fondo, dobbiamo abituare i ragazzi a essere sinceri fino ?in fondo, anche per le cose che non gli fanno piacere». Con altrettanta sincerità ha proposto la sua ricetta per rilanciare ?le scuole al sud, «Non servono fondi, serve lavoro e impegno».

Da volenteroso travet della macchina di propaganda ha invece rivendicato la direttiva estiva del ministro degli interni sulle Scuole sicure, ossia un piano poliziesco di controllo sulle droghe, costato due milioni e 500 mila euro il cui risultato è stato il sequestro complessivo di circa 5 chili di fumo, vale a dire 500 euro di spesa a grammo. Mentre è da mesi cupamente silenzioso sui terribili accordi che il governo si appresta a fare con le regioni, e che distruggeranno di fatto un’istruzione pubblica nazionale, per cui gli insegnanti, i dirigenti scolastici e il personale ausiliario e amministrativo già assunti dovranno rispettare la disciplina regionale. Tutto sarà competenza regionale: finalità e programmazione dell’offerta formativa, anche in funzione del territorio, la valutazione, l’alternanza scuola-lavoro, i rapporti con le scuole paritarie. E Bussetti potrà fieramente sbandierare la sua cultura politica: quella di un ordinario provveditore lombardo, miracolato dalla mediocrità delle classi dirigenti, incapace persino di dissimulare la sua mancanza di autonomia.