Matteo Salvini lo ha messo in chiaro un paio di mesi fa al termine di una riunione di partito. Al vertice della Lega «c’è equità e divisione dei poteri», disse il vicepremier rivolgendosi a innominati nemici esterni che «perdono tempo - parole sue - a sfrucugliare».
Come dargli torto? Fin qui lo schema ha funzionato a meraviglia. Mentre il Capitano gonfia le vele della propaganda a suon di slogan e di selfie, Giancarlo Giorgetti, a palazzo Chigi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, fa volentieri a meno dei social (per lui niente Facebook, Twitter e Instagram) e intanto disegna le trame del sottogoverno: poltrone, incarichi, rapporti con quelli che un tempo si usava chiamare poteri forti: banche e grandi imprese private e pubbliche. E poi le ambasciate, l’alta burocrazia statale, militari e forze dell’ordine.
Insomma, uno parla e l’altro governa. Il capo riempie le piazze, quelle dei comizi e quelle in Rete, virtuali. Tocca invece al numero due del partito consolidare le basi di un potere che è cresciuto troppo in fretta per non vacillare quando si trova esposto a venti di tempesta come quelli di questi giorni. Giorni di campagna elettorale in cui il primo partito d’Italia (almeno in base ai sondaggi) è costretto sulla difensiva per via delle polemiche sui legami pericolosi tra Armando Siri, sottosegretario leghista alle Infrastrutture, e il brasseur d’affaires Paolo Arata, indagato dalla procura di Roma per corruzione e sospette frequentazioni mafiose.
«Io e Giorgetti agiamo, facciamo e pensiamo nella stessa identica maniera», va dicendo da sempre Salvini. Forse però non è tutto così scontato, se è vero che oltre ai prevedibili attacchi dei Cinque Stelle, è arrivato anche il siluro del solitamente cauto Roberto Maroni, l’ex segretario leghista che abbandonati un anno fa tutti gli incarichi politici si è ritagliato un ruolo a metà strada tra il padre nobile di una Lega che non c’è più, quella di Umberto Bossi e della Padania, e l’autorevole commentatore, tipo gli allenatori a riposo che in mancanza di meglio affollano i salotti televisivi per discettare di calcio.
«Non Siri, ma il caso Giorgetti può mettere in crisi il governo», ha detto Maroni in un’intervista pubblicata dal quotidiano La Stampa venerdì 26 aprile. «Il caso Giorgetti», per usare le parole dell’ex governatore della Lombardia, sarebbe l’assunzione di Federico Arata, figlio dell’indagato Paolo, come consulente nello staff del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Maroni sta solo gufando contro il governo», ha tagliato corto Giorgetti. Lo scambio di battute al veleno fa riemergere una ruggine vecchia di anni tra i due contendenti, entrambi varesini. Da una parte il leader storico, 64 anni, messo ai margini dal nuovo corso salviniano, dall’altra l’allievo di Bossi che unico tra i colonnelli del senatur ha costruito la sua personale scalata al potere sopravvivendo a ribaltoni e cambi di stagione politica nell’arco di un quarto di secolo.
Arata junior ha «tutte le competenze per svolgere l’incarico» per cui è stato ingaggiato a Palazzo Chigi, ha garantito Giorgetti nel tentativo di chiudere il caso. Maroni però non ha colpito a caso. L’ex ministro dell’Interno, uno che ha frequentato per un ventennio i palazzi del potere a Roma, sa bene che l’assalto alle poltrone delle truppe sovraniste, sotto le insegne della nuova Lega salviniana, ha innescato una girandola di incarichi assegnati spesso con criteri clientelari. E così, prima ancora di Salvini, adesso è Giorgetti, gran manovratore del sottogoverno, a scoprirsi vulnerabile se di colpo, complici le indagini della magistratura e le tensioni della campagna elettorale, diventano visibili le falle nell’affollata barca dei nuovi potenti in quota leghista.
UN MINISTRO PER AMICO
Qui c’entrano davvero poco i 49 milioni di fondi pubblici spariti o le manovre finanziarie dietro le quinte del partito sovranista che L’Espresso sta documentando da mesi. Sospetti e imbarazzi nascono piuttosto dall’intreccio di conflitti d’interesse, premi agli amici e nomine cucite su misura di volonterosi portaborse, a volte impresentabili.
Fino a prova contraria, Federico Arata avrà anche le carte in regola per lavorare alla presidenza del Consiglio, ma certo è sorprendente che, tra tanti possibili candidati, Giorgetti abbia assunto come consulente proprio il figlio di un uomo d’affari da tempo in stretti rapporti con la Lega, un sedicente esperto di energie rinnovabili che, sospettano adesso i magistrati, sarebbe socio di uno degli uomini vicini al boss mafioso Matteo Messina Denaro.
Ma non è solo una questione di legami famigliari o di presunte frequentazioni criminali. Il numero due della Lega ha sponsorizzato il suo amico Marco Bussetti, l’ex professore di educazione fisica, poi funzionario del provveditorato di Milano, che tra la sorpresa generale nel giugno dell’anno scorso è sbarcato a Roma da ministro dell’Istruzione. A parte le polemiche che hanno fin qui accompagnato alcune sue iniziative, tipo l’ennesima riforma dell’esame di maturità confezionata in gran fretta, l’inesperto Bussetti, anche lui originario della provincia di Varese, si è rivelato un gaffeur seriale in grado di competere con il suo collega Cinque Stelle Danilo Toninelli, gran collezionista di figure imbarazzanti. Il repertorio del leghista comprende per esempio il rimbrotto agli insegnanti del Sud che devono «lavorare forte» per recuperare il divario dai colleghi del Nord e l’intervento in tema di migranti e inclusione che definisce il futuro «dei nostri figli», solo il loro a quanto pare, una priorità assoluta per il ministro. Senza contare la vicenda, svelata a febbraio da L’Espresso delle numerose missioni di Bussetti a Milano, vicino a casa. Anche due viaggi a settimana, tutti a spese dello Stato.
BROKER ALL’ISTRUZIONE
Nel palazzo di viale Trastevere, tra funzionari e dirigenti del ministero dell’Istruzione ha poi fatto molto discutere un’altra storia che tira in ballo Giorgetti. Anche questa volta si parte da Varese di cui è originario Marco Lo Nero, approdato a Roma nel giugno dell’anno scorso come segretario particolare di Bussetti.
Lo Nero è un broker finanziario dalla carriera accidentata, già manager di un gruppo immobiliare andato in fallimento, accusato e poi assolto in tribunale per le perdite milionarie di alcuni suoi clienti. Si ignoravano invece le competenze nel campo della scuola o più in generale della pubblica amministrazione. A legarlo al ministro era piuttosto la comune amicizia con Giorgetti. Tutti e tre grandi sportivi: appassionati di basket e tifosi della squadra varesina che milita in serie A. La trasferta romana di Lo Nero si è però conclusa nel giro di poche settimane. A settembre lo stretto collaboratore di Bussetti è stato congedato in gran fretta dall’incarico. Dell’improvviso cambio di rotta, che ha creato sconcerto al ministero, non è stata data nessuna spiegazione pubblica e la sorprendente vicenda del broker all’Istruzione si è così esaurita nel silenzio della politica.
CONSULENTE OFFSHORE
Sorte diversa è invece toccata a un’altra discussa nomina di un varesino alla corte di Giorgetti. Come noto, il numero due della Lega appena insediato al governo ha chiesto e ottenuto le deleghe per l’aerospaziale, un settore che muove investimenti pubblici per centinaia di milioni all’anno e coinvolge aziende a partecipazione statale come quelle del gruppo Leonardo, forti di importanti stabilimenti con un indotto da migliaia di posti di lavoro nella provincia di Varese, il collegio elettorale di Giorgetti.
Tra le aziende coinvolte c’è anche la Technosprings di Besnate, vicino all’aeroporto della Malpensa, di proprietà della famiglia Gualandris. Caso vuole che il quarantenne Stefano Gualandris, azionista e manager della società, sia anche un militante leghista di lungo corso, in passato dirigente del movimento giovanile e poi consigliere provinciale, fino alla candidatura alle ultime elezioni nelle liste degli italiani all’estero, dopo che ha trasferito la sua residenza in Svizzera. È andata male: Gualandris non ha conquistato un seggio in Parlamento, in compenso, tempo pochi mesi, è stato chiamato a Roma da Giorgetti, che lo ha voluto a Palazzo Chigi, con un compenso di 30 mila euro l’anno, come consulente in materie giuridico-economiche proprio in virtù delle sue competenze in campo aerospaziale. La nomina ha sollevato polemiche per il potenziale conflitto d’interessi. Il diretto interessato si è però difeso dicendo che in veste di manager non parteciperà più ad alcun bando che metta in palio finanziamenti pubblici.
Questi, in breve, i fatti già noti. Quello che di Gualandris ancora non si conosceva era una scia di affari che porta dalla Svizzera in Lussemburgo. Il consulente di Giorgetti compare infatti come amministratore di una società, anche questa impegnata nel settore aeronautico, con sede nel canton Grigioni, nel sud del paese al confine con la Valtellina. In base ai documenti ufficiali la Tss Innovation Projecte, questo il nome dell’azienda, ha come unico azionista la HTSE, una holding del Lussemburgo. Non si conoscono i soci di quest’ultima, che è amministrata da fiduciari. È possibile che la famiglia Gualandris tiri le fila della società nel Granducato. Se così fosse, il consulente del governo scelto da Giorgetti sarebbe un residente svizzero che scherma la proprietà dell’azienda che gestisce attraverso una società con base in un paradiso fiscale.
Va segnalato un altro fatto che riguarda Gualandris, ora a libro paga del governo di Roma. L’imprenditore di fede leghista possiede una casa a Biandronno, comune sul lago di Varese che confina con Cazzago Brabbia, il paese di Giorgetti. Il suo domicilio svizzero, dove risulta residente anche a fini fiscali, si trova invece nella località sciistica di San Bernardino, in un condominio a circa 1700 metri di quota normalmente utilizzato dai turisti come casa di vacanze.
LEGHISTI & AFFARISTI
Diviso tra la sua azienda in provincia in zona Malpensa, quella nel canton Grigioni e gli impegni istituzionali nello staff della presidenza del Consiglio, la vita di Gualandris dev’essere piuttosto impegnativa, almeno in teoria. Perfino per lui, però, non è facile reggere il confronto con il bergamasco Lucio Brignoli, 39 anni, un altro militante leghista di lungo corso ingaggiato da Giorgetti alla presidenza del Consiglio con la qualifica di “consigliere per le materie giuridiche economiche” e un compenso che in base documenti pubblicati dal governo risulta ancora in corso di registrazione.
Non sono chiare le competenze specifiche di Brignoli, che nel suo profilo Linkedin segnala di essere stato iscritto tra il 2005 e il 2017 alla facoltà di Scienze dell’Amministrazione dell’università di Milano. In compenso, nel 1999, a 19 anni, il futuro collaboratore di Giorgetti (a spese dello Stato) si dava già da fare alle dipendenze della segreteria provinciale di Bergamo della Lega. Da qui è poi approdato in Regione Lombardia, dapprima nello staff del partito allora guidato da Bossi e quindi come dirigente all’assessorato all’Ambiente. Ancora oggi il nome di Brignoli figura nell’elenco dei consulenti del governatore lombardo Attilio Fontana, un incarico che si somma a quello di Palazzo Chigi. Non basta, perché lo stesso Brignoli nel suo profilo Linkedin si definisce anche “legislative advisor” della commissione Ambiente del Senato. Troppi impegni? Macché. Il leghista nello staff di Giorgetti è anche un imprenditore. Dal marzo dell’anno scorso, pochi giorni dopo le elezioni, è stato nominato consigliere delegato della E Fase, azienda bergamasca che progetta soluzioni per il risparmio energetico destinate a imprese ed enti pubblici.
Poi c’è un’altra società, la Briane, di cui l’attivissimo Brignoli risulta amministratore e azionista al 50 per cento. L’altra metà del capitale è intestata a Roberto Anelli, che non è proprio un nome qualunque nella politica lombarda. Già sindaco di Alzano Lombardo, paese della bergamasca dove si svolge una delle più importanti feste nazionali della Lega, Anelli è capogruppo del partito di Salvini nel consiglio regionale lombardo, in carica dal 27 marzo dell’anno in seguito alla vittoria del centrodestra alle elezioni locali. Giusto il giorno dopo Anelli si mette in società con Brignoli, destinato di lì a poco a diventare consulente di Giorgetti a Palazzo Chigi e anche della stessa Regione. Affari e politica. Politica e affari. Col marchio della Lega.