Analisi
La salute mentale dei leader è un problema
Narcisisti, patologici, ipomaniaci e molto altro: da Trump a Erdogan e Duterte, il dibattito sulla stabilità dei capi di governo è diventato sempre più rilevante. Perché anche etichettarli come malati o dare troppo potere al giudizio degli psichiatri è pericoloso
Il 9 ottobre scorso, la speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Nancy Pelosi ha appoggiato un progetto di legge che propone di istituire una commissione di medici, psichiatri e personalità di alto profilo, come ex presidenti e vicepresidenti, per giudicare le capacità fisiche e mentali di chi ricopre l’incarico di presidente. Al di là del significato politico, l’annuncio si inserisce nel dibattito sulla sanità mentale di Donald Trump, che durante la presidenza si è consumato a colpi di lettere ai giornali, libri e interviste che cercavano una chiave psicopatologica per i comportamenti del presidente.
Nelle scorse settimane, il New York Times ha sottolineato «l’incapacità» di Trump di «esprimere empatia» nei confronti degli afroamericani, mostrata durante un colloquio con il giornalista del caso Watergate Bob Woodward per il suo ultimo libro, “Rage”. E, a inizio settembre, una associazione di psicologi e psichiatri ha pubblicato un documentario dal titolo “#Unfit: the psychology of Donald Trump”. La tesi è che il presidente sia un narciso maligno, sindrome che non rientra nel classico manuale di diagnostica, ed è un mix di disturbo narcisistico della personalità più altre allarmanti caratteristiche. Sul sito del documentario si esplicita che il film non intende offrire una diagnosi ma informare gli americani, e il mondo intero, per il loro bene. L’associazione che lo ha prodotto si chiama Duty to warn: per questi specialisti è un dovere avvisare i cittadini dei pericoli che corrono con un presidente - a loro dire - disturbato. Nota a margine, tra i fondatori c’è il dottor John Gartner, già autore nel 2008 di una psicobiografia di Bill Clinton, al quale ha attribuito un temperamento ipomaniacale.
Più che inquadrare la psiche di Trump, la questione è chiedersi quale posto devono avere le opinioni espresse dagli psichiatri sulla leadership politica di una nazione. Negli Stati Uniti esiste un principio di etica medica dell’American psychiatric association, la Goldwater rule, che invita i medici a non esprimere opinioni su personaggi pubblici non analizzati di persona e senza la loro autorizzazione. Per chi invece sostiene il “duty to warn”, il dovere di avvertire, in alcune circostanze il principio va superato, affinché i cittadini conoscano le condizioni psicologiche di chi ha in mano la valigetta con i codici nucleari.
I dilemmi nel rapporto tra salute mentale e potere politico vanno ben oltre i confini americani. Negli ultimi anni diverse testate internazionali hanno pubblicato articoli sulle capacità mentali di politici, come il presidente turco Recep Tayyip Erdogan o di Rodrigo Duterte, presidente delle Filippine. Nel 2016 è stata divulgata una perizia psicologia di Duterte, svolta anni prima in occasione dell’annullamento del matrimonio, dalla quale risulterebbe affetto da un disturbo antisociale e narcisistico di personalità. Anche l’Italia si è posta in passato simili interrogativi, come per la presunta ciclotimia attribuita a Francesco Cossiga e l’ipotizzata dipendenza da sesso di Silvio Berlusconi.
Ha senso, dunque, interrogarsi sui disturbi mentali di premier o presidenti? Non dovremmo giudicare solo le azioni politiche? «Bisogna stare attenti a fare una diagnosi partendo da strumenti indiretti e metterla in pasto all’opinione pubblica», ammonisce Patrizia Catellani, professoressa di Psicologia sociale all’università Cattolica di Milano. Secondo Catellani, ancora prima che di valutazioni istituzionali sull’idoneità a governare servirebbero «filtri che vanno messi a monte, quando un politico si candida. Una comunità sana, un partito politico sano, non dovrebbe portare avanti a livelli dirigenziali personalità gravemente disturbate, dovrebbero esserci degli anticorpi».
Nell’etichettare un politico come malato mentale si rischia anche di «stigmatizzare il disturbo mentale: non dimentichiamoci che la stragrande maggioranza delle persone che soffrono di malattie mentali sono innocue e al massimo danneggiano sé stesse, non gli altri», sottolinea Alessandro Amadori, esperto di opinione pubblica e partner dell’Istituto Piepoli. «La soluzione - continua Amadori - non è discutere sui media dello stato di salute mentale di x o di y, ma impedire, come facciamo con i piloti di aeroplano, che persone con alcuni tipi di disturbi mentali possano avere un potere così grande nelle loro mani e nelle loro teste».
Mentre attendiamo con speranza di sviluppare gli anticorpi sociali per evitare che salgano al potere soggetti disturbati, la discussione sui media va avanti. Bisogna valutare anche quale effetto produca nella mente delle persone sentire parlare della sanità mentale del leader politico che vedono ogni giorno in tv o con il quale interagiscono su Twitter. «Noi tendiamo ad avere una visione molto razionalistica della politica, quando in realtà da sempre la politica è un profondo investimento emotivo, e il rapporto tra elettore e leader è spesso un rapporto messianico», risponde l’esperto di opinione pubblica. Un dibattito mediatico di questo tipo nel breve periodo può radicalizzare le posizioni di sostenitori e oppositori, «perché viene letto come un attacco per squalificare il proprio oggetto d’amore» dai primi, mentre «galvanizza» gli avversari. «Ma bisogna parlarne, nel medio periodo è un dovere di autodifesa delle società», conclude Amadori.
Ma, siccome al leader narcisista patologico serve comunque una base di cittadini disposti a seguirlo, come si forma questo legame? Un ipotesi è che alcune persone vivano una profonda insoddisfazione e cerchino dei colpevoli per la posizione svantaggiata in cui si trovano. «La risposta a questa insoddisfazione potrebbe prendere due strade, - spiega Catellani - una è la protesta collettiva, l’altra è chiamata “narcisismo collettivo”: io credo di essere il migliore e rispondo al mio svantaggio mostrando ostilità nei confronti di altri. Un leader che ha sempre la riposta giusta e va contro corrente, può andare bene per loro».
A questo punto è legittimo e un po’ inquietante chiedersi se sia peggio essere governati da un presunto psicopatico oppure affidare agli psichiatri il giudizio su come debba essere il buon governo. Esiste un termine che mostra tutta l’ambiguità dell’addentrarsi nei meandri della relazione tra potere e follia: patocrazia, una forma di governo nella quale dominano gli psicopatici. Lo ha coniato Andrzej ?obaczewski, psichiatra polacco che durante la Seconda guerra mondiale ha militato nelle file della resistenza del suo Paese. Tuttavia, se si cerca su Google pathocracy, tra i risultati spunta una pagina web complottista che ha pubblicato una lista degli “psicopatici che governano il mondo”. Va da Bill Gates a Benjamin Netanyahu, passando per George Soros, Paul Kagame e Margaret Thatcher. Attenzione, la lista è solo parziale: un domani potrebbe essere iscritto chiunque.