
«In un sistema fondato su attività redditizie, la cancellazione di interventi e visite non connessi con il Covid porta a una catena di fallimenti e licenziamenti», conferma Scott Harrington, docente di Healthcare management alla Wharton School of Business di Filadelfia. «E questo malgrado la campagna di ingaggio di personale sanitario intrapresa dagli ospedali nell’affannosa ricerca di rinforzi. Salvare una vita rende meno di una cura dentistica ma soprattutto la domanda è crollata perché chi perde il lavoro perde l’assicurazione sanitaria».
Medici e infermieri sono in abbondante compagnia: sempre dall’inizio di marzo, sono stati persi in America 36 milioni di posti di lavoro. Il solo comparto “leisure and hospitality” ha tagliato otto milioni di posti. La disoccupazione si è impennata in aprile al 14,7%: era del 3,5% - il minimo storico - in febbraio. Per maggio le previsioni superano il 23%, a un passo dal 25% degli anni ’30. «Nove anni di incrementi sul mercato del lavoro cancellati in due mesi: il totale delle retribuzioni pagate è tornato ai livelli del 2011», commenta Beth Ann Bovino, chief economist di S&P Global per gli Stati Uniti. «E non è compreso nella cifra ufficiale un gran numero di contrattisti e free lance soprattutto dei settori della Gig economy, i rider che consegnano pasti per esempio».
Non è finita: le domande di sussidio di disoccupazione sono state ancora di più (5 milioni la settimana nella media di marzo e aprile contro i 250 mila delle medie storiche): molte sono state rifiutate ed è verosimile che gli interessati abbiano smesso sfiduciati di cercare lavoro uscendo dalle statistiche. Né vale stavolta la regola del “furloughing”, una specie di aspettativa: «Una quota dei lavoratori è stata messa in “furlough” dall’azienda: non è pagata, risulta disoccupata, chiede il sussidio e perde la sanità, però conserva la speranza che quando l’azienda ripartirà li riassumerà», dice Zsolt Darval, ricercatore del Bruegel. «Ha sempre funzionato così, ma questa volta non è detto che quell’azienda riapra in settori come commercio, ristorazione, viaggi: la massa di disoccupati è tale che l’effetto-riassorbimento, e la proverbiale flessibilità del mercato del lavoro americano, non funzionerà». Non è storia solo di piccole aziende: gruppi come Mgm, Boeing, General Electric, Uber, preannunciano decine di migliaia di licenziamenti.
Il miracolo economico sulle cui ali Donald Trump contava di arrivare trionfale alle elezioni, si è sgretolato di colpo. Dopo la perdita del 4,8% di Pil nel primo trimestre, i centri studi di banche e università si preparano al “grande botto” del secondo quarter: «Ci aspettiamo la perdita di Pil peggiore della storia, il 33% nel trimestre, e poi del 5,6% nell’intero anno», sentenzia James Sweeney, capo economista per la “regione America” del Credit Suisse. «Le prospettive sono ulteriormente peggiorate negli ultimi giorni perché la pandemia resta stabile anziché aver imboccato la via del ribasso come si credeva, e rimane particolarmente grave a New York. L’anno prossimo potrebbe andare solo marginalmente meglio, con una ripresa di non più del 3,5%». Kenneth Rogoff, il grande economista di Harvard, è ancora più pessimista: «Il reddito pro capite del 2019 sarà recuperato non prima di cinque anni, contro i tre della crisi post-2008, malgrado lo sforzo senza precedenti messo in campo dall’amministrazione e dalla Fed con una significativa sinergia. È la più grave crisi da 150 anni». In tutto questo Wall Street vive uno stato di paradossale euforia, quasi a marcare la differenza con Main Street, la via della vita quotidiana. «C’è la scommessa che Fed e amministrazione, che dimostrano una grande volontà di intervento, continueranno a sostenere il rilancio delle aziende anche sul lungo termine, e anche il recupero dei posti di lavoro e la loro riqualificazione, ma questo ottimismo è tutto da verificare».
Per ora gli interventi sono massicci. La Fed ha azzerato i tassi e lanciato un quantitative easing senza limiti comprando nel solo aprile bond pubblici e titoli privati (compresi junk-bond) per 943 miliardi di dollari (poco meno di quello che la Bce acquisterà nell’intero anno). E ha previsto misure a favore di banche e imprese (compresi prestiti super-agevolati alle aziende scavalcando per rapidità il canale bancario), linee di credito miliardarie per le municipalità, il finanziamento con 7,9 miliardi della cancellazione o riduzione di crediti e mutui per arginare l’ondata di sfratti che funestò la crisi del 2008. Il tutto scavalcando qualsiasi discussione teorica sulla monetizzazione del debito o sull’indipendenza fra poteri. Nel complesso, oltre 6 mila miliardi di interventi che saliranno a 10-11 mila entro fine anno. Una cifra senza precedenti. Sul fronte degli interventi di bilancio, dopo il Cares Act che ha stabilito assistenza gratuita per gli ammalati di Covid, «Trump si è rivelato insperabilmente generoso spingendo per l’approvazione in tempi record di 3 mila miliardi di aiuti per imprese, famiglie, disoccupati, ospedali, enti locali», spiega lo storico Massimo Teodori che ha appena pubblicato “Il genio americano” (Rubbettino).
«Un’intraprendenza forse mirata a farsi perdonare la valanga di gaffe ed errori dal punto di vista scientifico-sanitario». Per confronto, il piano di stimolo di Obama approvato dal Congresso nel 2009 fu di 787 miliardi poi portati a 839. «Stavolta la crisi è molto più grave», precisa Paolo Guerrieri, economista della San Diego University.
«Per sua fortuna, l’America non ha problemi di debito pubblico, che essendo in dollari viene rifinanziato all’infinito su tutti i mercati mondiali. Se per il salvataggio post-Lehman il debito salì dal 97% del Pil del 2010 al 106% del 2013, stavolta il Fondo Monetario dice che potrebbe arrivare al 125-130% senza nessuna scossa». Ora però il nuovo pacchetto da 900 miliardi approvato dalla Camera venerdì 15 maggio, detto “Heroes Act” perché prevede nuovi interventi per medici e infermieri (e la gratuità del vaccino quando ci sarà), incontra difficoltà al Senato. «Visto che le elezioni si avvicinano, si fanno sentire i contrasti», riflette Bovino di S&P, «che diventano più acuti quando si discutono i cruciali interventi nelle infrastrutture, settore dove c’è una forte divisione fra i partiti con i democratici più a favore degli interventi pubblici: un investimento da 2 mila miliardi in infrastrutture proiettato a dieci anni potrebbe creare 2,3 milioni di posti entro il 2024».
Indefinito è poi l’atteggiamento verso la Cina in chiave-dazi: dopo le schermaglie sull’origine del virus siamo in una fase in cui a giorni alterne prevalgono la ragione e la contrapposizione: con Trump le sorprese sono dietro l’angolo, ma soprattutto il primo accordo di gennaio prevedeva massicce esportazioni alimentari dagli Usa e importanti forniture dalla Cina, divenute impossibili con l’economia in recessione. Anche sull’aspetto tecnologico permane la chiusura: sul 5G pur di non aprire ai cinesi (Huawei e Zte), la Casa Bianca ha promosso in tutta fretta un consorzio guidato da Microsoft e At&t per sviluppare una tecnologia “made in Usa”.