Sono 168 i comuni della Regione a rischio ambientale per eccessivi carichi di azoto legati agli allevamenti intensivi. Eppure continua il flusso di denaro pubblico, mentre le piccole aziende che producono in modo ecologico scompaiono in silenzio. L'indagine dell’Unità investigativa di Greenpeace


Un comune su dieci in Lombardia è a rischio di inquinamento a causa degli allevamenti intensivi. Eppure l'Europa continua a finanziare questo settore produttivo, tanto che metà dei fondi europei per la zootecnia destinati alla Lombardia finiscono proprio nelle tasche degli allevamenti che si trovano nei territori a maggiore rischio ambientale. 

A rivelare questo cortocircuito è l'inchiesta dell'Unità Investigativa di Greenpeace Italia che ha analizzato il flusso di denaro pubblico che dall'Europa arriva in Lombardia, regione capofila della zootecnia in Italia, dove sono allevati il 50 per cento dei suini e il 25 per cento dei bovini del nostro Paese. Tanti animali significa tanti liquami, deiezioni che stanno mettendo a rischio inquinamento il territorio.

A dirlo la stessa Regione Lombardia che, alla fine dello scorso anno, ha diffuso una relazione tecnica con una mappa puntellata di rosso: ben evidenziati i 168 comuni dove nel 2018 si è superato il limite legale annuo di azoto per ettaro.

Si tratta di un calcolo fatto a tavolino: il Pirellone ha preso in mano l'elenco dei capi allevati in Lombardia e ha calcolato la quantità di azoto prodotta dagli allevamenti. Da notare che il carico di azoto al campo è definito per legge in quanto il suo accumulo eccessivo mette i territori a rischio di inquinamento.

Eppure, nell'11 per cento dei comuni lombardi il numero dei capi allevati è talmente alto che il limite di legge non viene rispettato.  Non solo. Nei comuni lombardi "fuorilegge" arriva quasi la metà dei soldi pubblici europei destinati alla regione per la zootecnia, ossia ben 120 milioni di euro: lo si scopre confrontando la relazione tecnica con il database dei finanziamenti europei per l'agricoltura (PAC).

L'immagine tradizionale è quella del letame come risorsa, distribuito nei campi come  fertilizzante. Tuttavia, dobbiamo immaginarci ogni campo agricolo come una vasca da bagno: infatti, ogni terreno - in base alle sue caratteristiche e al tipo di coltivazione - può assorbire un dato quantitativo di deiezioni animali, oltre il quale è come se strabordasse. Ed è proprio quando l'accumulo è eccessivo, che il letame può diventare un pericolo per l'ambiente e per la salute. 

«Esiste una relazione tra l'esposizione cronica a nitrati (derivati dell'azoto, ndr.) e una maggiore incidenza di cancro negli adulti”, dichiara Carlo Modonesi, membro del Comitato scientifico dell'Associazione Medici per l'Ambiente (ISDE). Tanto che l'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), emanazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ha inseriti i nitrati nel gruppo dei «probabili cancerogeni per l'uomo».


Com'è possibile che i nitrati provenienti dagli allevamenti finiscano a contatto con l'uomo? «Per esempio, se l'acquedotto preposto all'approvvigionamento di acqua potabile di una certa città attinge da falde sotterranee che sono state inquinate», spiega Modenesi. Per scongiurare il rischio di cancro, in realtà, «non esistono limiti minimi di sicurezza perché, nel caso specifico, il rischio zero è associato a concentrazioni pari a zero» chiude l'esperto. 

In Lombardia "mezzo maiale" pro capite
Secondo la Commissione europea, nell'ultima Relazione sull'applicazione della Direttiva nitrati, i liquami degli allevamenti, se non correttamente gestiti, possono essere causa di “notevoli rischi per l'ambiente”, soprattutto quando si ha “un numero elevato di capi concentrato in uno stesso luogo”. È il caso della Lombardia, dove si trovano in media quasi un maiale ogni due abitanti e circa 180 suini per chilometro quadrato. Stando alla Commissione europea, un territorio con una così alta densità di animali è esposto a elevati rischi ambientali.

«Il problema è la densità molto alta di allevamenti in poche zone circoscritte - spiega Pierluigi Viaroli, docente all'Università di Parma ed esperto di eutrofizzazione e qualità delle acque - Quando si comincia ad avere un allevamento da mille capi bovini o da 5-10 mila capi suini, trovare una modalità sostenibile di spandimento delle deiezioni è difficile». Così lo spandimento di effluenti zootecnici, da risorsa utile al terreno agricolo, rischia di diventare un fattore inquinante. 

I comuni lombardi "fuorilegge"
Per evitare il rischio di inquinamento, l'Europa ha regolamentato lo spandimento dei liquami con la Direttiva Nitrati (91/676/CEE), fissando il limite di carico di azoto che ogni terreno può assorbire. Tenendo presenti questi limiti, la relazione tecnica di Regione Lombardia evidenzia che nel 2018 un comune lombardo su dieci ha più capi rispetto alla capacità del suo territorio di assorbire l'azoto derivato dalle loro deiezioni. Un eccesso di effluenti - e quindi di carico di azoto - che aumenterebbe il rischio di inquinamento con conseguenze sulla salute pubblica. 

Un quadro che non stupisce, visto che l'Italia è già sotto procedura di infrazione da parte della Commissione europea proprio per mancato adeguamento alla Direttiva Nitrati. In particolare Bruxelles contesta carenze nella designazione delle ZVN, nei monitoraggi delle acque e nell'adozione di misure supplementari per contrastare l'inquinamento da nitrati.

Infatti "il limite di 170 chili/ettaro di azoto e? superato in gran parte delle aree agricole di pianura delle province di Bergamo e Brescia, nella parte sudoccidentale e nordoccidentale (al confine con la provincia di Brescia) della provincia di Mantova, nel settore settentrionale della provincia di Cremona e in alcuni comuni della provincia di Lodi; in alcuni comuni viene frequentemente superato anche il limite di 340 chili/ettaro" si legge nei documenti della Regione.


Nei comuni che hanno sforato, dunque, «se l'utilizzo e la gestione dei reflui zootecnici non sono effettuati correttamente, si può incorrere in danni all'ambiente», spiega Sabrina Piacentini, consulente ambientale per diversi comuni lombardi, e precedentemente parte del pool del Nucleo intervento tutela ambientale (NITA). Il rischio, continua Piacentini, è che ci sia «un inquinamento dell'aria e del suolo, dove si possono accumulare elementi minerali poco solubili, metalli pesanti e fosforo», ma si può arrivare anche a una contaminazione «dell'acqua superficiale e della falda con possibile compromissione della potabilità e aumento del grado di eutrofizzazione». Eppure, è proprio in questi comuni che, secondo l'indagine di Greenpeace, finisce la maggior parte dei finanziamenti europei destinati al settore zootecnico della Lombardia.

Fondi Ue, 120 milioni ai comuni fuorisoglia
Oltre ad avere analizzato la mappa degli sforamenti di Regione Lombardia, dopo mesi di richieste e un accesso civico generalizzato (FOIA), l'Unità Investigativa dell'associazione ambientalista è riuscita a ottenere dall'Organismo pagatore di Regione Lombardia il database dei fondi europei della Politica Agricola Comune (PAC) erogati alle aziende lombarde. 

Dati alla mano, degli oltre 250 milioni di euro che nel 2018 sono stati destinati agli allevamenti della Lombardia, ben 120 milioni (quasi il 45 per cento) sono finiti nei 168 comuni che il Pirellone segnala come territori dove è stato sforato il carico legale di azoto.

Nei documenti si scopre anche che i 40 comuni lombardi in cui gli allevamenti hanno ricevuto più fondi rientrano tutti nelle ZVN e più dell'80 per cento di essi ha sforato il limite di carico di azoto. Inoltre, stando al Sistema Informativo Lombardo Silva, tra dicembre 2018 e gennaio 2020, in 33 di questi comuni sono stati approvati almeno dieci progetti di costruzione o di ampliamento di allevamenti. Un dato sottostimato poiché non contempla i progetti minori che non entrano nel sistema di valutazione regionale e provinciale. 
Insomma: un meccanismo che non sembra destinato a fermarsi nel breve periodo.

Ispezioni quasi nulle
La PAC, e nello specifico i finanziamenti europei alla zootecnia, potrebbe avere un ruolo nella riduzione dell'impatto degli allevamenti. «Per anni, soprattutto dal 1964 al 2004, la Politica Agricola Comune ha finanziato gli allevamenti intensivi; l'ottica era quella di incentivare la produzione poiché era il cibo ad essere scarso. Adesso, invece, la risorsa scarsa è l'ambiente» spiega Angelo Frascarelli, professore di Economia ed Estimo Rurale presso l'Università di Perugia, tra i massimi esperti della PAC. 
 
Il meccanismo potrebbe essere corretto se l'accesso ai finanziamenti europei fosse rigidamente subordinato al rispetto di norme ambientali da parte degli allevatori. Invece dobbiamo ancora fare i conti con un sistema di ispezioni particolarmente debole.

«Molti controlli sono fatti sulla carta più che sul campo, e spesso risultano inefficaci» prosegue Frascarelli. Sono i dati a confermarlo: in Lombardia, le ispezioni in loco si effettuano solo nel 4 per cento degli allevamenti mentre solo l'1 per cento dei trasporti di refluo è ispezionato.

Anche se è proprio la Regione Lombardia a indicare una sovrabbondanza di deiezioni nel suo territorio, il Pirellone lo scorso dicembre ha fatto richiesta di innalzare ulteriormente i limiti dello spandimento di liquami. In poche parole, invece di ridurre l'impatto degli allevamenti, si è chiesto di potere andare in deroga alla Direttiva nitrati e spandere ancora più letame, come conferma l'assessore all'Agricoltura, alimentazione e sistemi verdi Fabio Rolfi.  

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«Abbiamo chiesto all'Unione europea che il limite allo spandimento venga innalzato oltre l'attuale di 250 chili/ettaro concesso fino a oggi per le aziende in deroga» dichiara Rolfi. «Di fronte a una situazione di carichi di azoto già eccessivi, la soluzione non può essere una ulteriore deroga - commenta Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura e Progetti Speciali di Greenpeace Italia - La nostra analisi mette chiaramente in luce come l'origine del problema sia l'eccessivo numero di animali allevati, soprattutto se a concentrazioni così elevate come in Pianura Padana. I rischi per l'ambiente e la salute non possono più essere più ignorati».

Secondo Greenpeace, parte della soluzione è fermare proprio il flusso di denaro pubblico verso gli allevamenti intensivi, a favore di metodi di produzione ecologici. «Per rispettare l'Accordo di Parigi ed evitare il disastro ambientale e climatico è necessario ridurre drasticamente la produzione e il consumo di carne e latticini».  In Italia, questo significherebbe valorizzare le tante produzioni di qualità su piccola scala per renderle ancora più sostenibili e resilienti anche a crisi come quella legata al Covid-19. «È il momento di agire per produrre meno e meglio, in questo modo ne beneficerà sia la qualità dell'ambiente che del cibo e anche le condizioni di lavoro del settore agricolo» conclude Federica Ferrario.