Per i libri e le opere d’arte trafugati agli ebrei dai nazisti la guerra non è mai finita

di Sara Dellabella       30 luglio 2020

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Yad and psalm 50 called Sefer Tehillim in Hebrew (Photo by: Godong/Universal Images Group via Getty Images)

Sono stati appena riconsegnati alla Comunità ebraica romana 19 volumi dei 7000 razziati nel 1943. Un patrimonio rubato, fra i milioni di pezzi catalogati dai carabinieri che indagano anche su case d’aste e musei

In giro per il mondo ci sono 1,3 milioni di opere d’arte vittime di razzie o furti che attendono di tornare a casa. Sono puntualmente catalogate nella Banca dati del Comando Tutela del Patrimonio Culturale (Tpc) dei Carabinieri. La “Porta del Bataclan” dello street artist Banksy è l’ultima a essere stata riconsegnata alla Francia, dopo essere stata rubata l’anno scorso nel luogo degli attentati del 2015. Era ancora in attesa di un compratore e intanto giaceva nel solaio di una cascina in Abruzzo. Ma accanto a lavori recenti, ci sono anche opere trafugate durante l’occupazione nazista e per le quali la guerra non è mai finita. Qualche settimana fa, in occasione della firma di un Protocollo di intesa tra la comunità ebraica di Roma e il Comando dei Carabinieri, sono stati restituiti alla comunità 19 volumi a fronte dei 7.005 razziati nel ‘43 e di cui ancora si cercano tracce in giro per il mondo. Nel 2002 fu istituita dal governo una commissione per il recupero del patrimonio bibliografico della comunità ebraica.

Durante la seconda guerra mondiale, il regime nazionalsocialista organizzò uno dei più grossi tentativi di razzia del patrimonio librario dei Paesi occupati, concentrandosi soprattutto su ebrei e massoni considerati nemici del Reich. Si calcola che tra il 1939 e il 1945 furono tre milioni i libri sequestrati in tutta l’Europa occidentale. In Italia operò uno dei “nuclei Rosenberg” specializzati nelle attività di saccheggio culturale, che fu incaricato dei furti alla biblioteca del Collegio Rabbinico e a quella della Comunità Israelitica a Roma. Di quest’ultima, la comunità non aveva mai redatto un catalogo completo proprio per non divulgare il prezioso contenuto di quella che era la collezione più ricca e pregiata e che purtroppo nel corso della storia era stata più volte oggetto di censure e prelievi forzosi: come nel 1731, quando lo stato Pontificio vietò i commenti alla Torah e per questo fece requisire per controlli 12 sacchi di volumi che non sono mai tornati indietro. A raccontarlo sono proprio le bibliotecarie di questo “fortino” che oggi sorge nei locali adiacenti al Tempio Maggiore, la Sinagoga di Roma. Un luogo blindato per ragioni di sicurezza, dove si alternano ricercatori ed ebrei in cerca delle proprie origini. I volumi qui custoditi sono vere e proprie opere d’arte dal valore inestimabile.

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I tedeschi scelsero accuratamente i libri da portare via, attraverso tre ispezioni alla biblioteca raccontate nei diari di Rosina Sorani, un’impiegata della Comunità nel periodo dell’occupazione tedesca. È il primo ottobre 1943 e nel diario si legge: «Sono tornati i due ufficiali tedeschi per studiare i volumi delle due biblioteche», e poi l’11 ottobre: «Mi vedo presentare i due ufficiali tedeschi: ero sola in ufficio, e dopo aver visitato di nuovo le biblioteche uno di essi si attacca al telefono. Ha telefonato alla ditta Otto e Rosoni per sapere quando potevano mandare un vagone a caricare i libri». Da qui inizia il viaggio di questi volumi, e una lettera della ditta Otto e Rosoni, indirizzata nel 1961 all’allora presidente della Comunità Israelitica, aggiunge qualche dettaglio in più. Il carico delle due biblioteche effettuato per conto dell’autorità germanica era di circa 25mila volumi, di cui un terzo appartenente alla biblioteca della comunità. Sempre nel 1961 interviene un accordo transattivo con la Repubblica federale tedesca per l’indennizzo dei 50 chili di oro estorti alla comunità sotto l’intimidazione del tenente colonnello Kappler che se non avesse ricevuto i preziosi entro 36 ore «avrebbe preso in ostaggio 200 persone, le quali sarebbero state tirate a sorte tra tutti gli ebrei romani e deportati in Germania», scrive sempre Sorani.

Il primo a mettersi sulle tracce dei volumi scomparsi è un agente segreto con il pallino per l’arte. Si chiama Rodolfo Siviero e già durante la guerra cerca di infiltrarsi nelle truppe tedesche per seguire i convogli con i beni culturali razziati in Italia. È grazie a questa attività di indagine che alla fine della guerra riesce a riportare a casa circa 3mila opere d’arte tra cui la Danae di Tiziano, trafugata da Cassino nell’ottobre 1943 e recuperata nel 1947, e anche i 19 libri che sono stati recentemente riconsegnati alla comunità di Roma. Tra i successi diplomatici di Siviero c’è quello di aver ottenuto, nel 1948, una modifica dell’articolo 77 del Trattato di pace firmato a Parigi nel 1947 dalle potenze europee: è grazie a questa modifica che l’Italia può negoziare la restituzione delle opere d’arte acquistate in modo proditorio dalle alte cariche naziste prima dell’armistizio.

L’accordo del ‘47 però è tutt’altro che risolutivo. Da alcuni anni è in corso un contenzioso con il Museo Nazionale di Belgrado dove sono stati rinvenuti otto quadri rubati, capolavori del Rinascimento tra cui Tiziano, Tintoretto, Carpaccio e Paolo Veneziano. Opere che beffardamente, nel 2004, erano rientrate in Italia per una mostra, “Capolavori italiani del Museo di Belgrado”, senza che nessuno si accorgesse che si trattava proprio delle opere requisite durante la guerra ad un antiquario di Firenze. Dopo la fine del conflitto, insieme a moltissime altre, finirono al “collecting point” di Monaco, gestito dagli Alleati per essere restituite ai legittimi proprietari, Stati o privati che fossero. Ma fu allora che l’avventuriero Mimara Topic, con la complicità della segretaria del punto di raccolta Wiltrud Mersmann, fece prendere ai quadri la via della Jugoslavia e, alla fine, del Museo di Belgrado. La nota di colore è che i due, qualche anno più tardi, furono ritrovati in Austria, sposi.

«I quadri sono stati riconosciuti grazie all’attività dei Carabinieri sui cataloghi della mostra», racconta il Generale del Comando Tutela Patrimonio Culturale, Roberto Riccardi, che spiega come in questi casi intervenga una vera e propria diplomazia culturale per raggiungere un accordo tra le parti: «Nel nostro comitato per le restituzioni lavorano fianco a fianco i Carabinieri del Comando Tpc, i funzionari del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Ministero degli Affari Esteri e l’Avvocatura generale dello Stato. Perché se esiste un diritto di proprietà da parte dell’Italia, dall’altra vi può essere un diritto di possesso per chi ha acquistato in buona fede. Quindi spesso si arriva a una soluzione negoziale che prevede il prestito delle opere a termine, l’offerta di spazi espositivi o di altre opere per le mostre». Per questo oggi la procura di Bologna impegnata nelle indagini per il recupero delle otto tele ha tutto l’interesse a trovare le tracce della compravendita illecita e assicurarsi così il ritorno in patria delle opere trafugate.
1544-1546, oil on canvas. Museo Di Capodimonte, Naples, Italy. (Photo by VCG Wilson/Corbis via Getty Images)

Nel 2019, il direttore degli Uffizi Eike Schimdt appese una foto del “Vaso di Fiori”, dipinto di Jan van Huysum sottratto anch’esso durante la Seconda Guerra Mondiale. Era una provocazione del direttore tedesco che invitava la sua nazione a impegnarsi per favorire il processo delle restituzioni. Ma chiamava in causa anche gli eredi di un caporale nazista che avevano in casa l’opera d’arte rubata. Il dipinto infatti, ebbe una sorte particolare: prima fu razziato dal museo e poi, notato da un soldato in uno dei convogli, fu da lui sottratto per regalarlo alla consorte.

Ma se lo “ius predae” ha fatto molte vittime, sono anche molte le storie di resistenza che hanno permesso grazie al coraggio personale di salvare alcuni beni. Gli arredi sacri, l’oro e l’argenteria del Tempio Maggiore di Roma sono stati salvati grazie a Rosina Sorani che li fece nascondere nel caveau del Banco di Napoli a Via del Corso, e furono poi consegnati alla ditta Bolliger per la custodia. Nove casse di preziosi che vennero conservate nell’unico luogo dove i tedeschi non avrebbero cercato: gli uffici del Reich a Roma. Invece 25 preziosissimi libri, tra cui un testo sacro del 1200, furono salvati grazie all’ospitalità offerta dalla Biblioteca Vallicelliana: quindi la Chiesa, oltre che nascondere diversi ebrei all’interno delle propria mura, diede asilo anche a tesori che sarebbero dovuti andare a comporre il “Museo della Razza scomparsa” progettato da Hitler. Altre 10 mila opere d’arte furono nascoste da Pasquale Rotondi negli scantinati dell’Abbazia di Sassocorvaro nel Montefeltro. Grazie a lui, i nazisti non poterono mettere mano su alcuni quadri di Giorgione, Giovanni Bellini, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Tiziano, Carlo Crivelli, Carpaccio, Mantegna e Raffaello.

I 7mila volumi ebraici che mancano all’appello e per cui le ricerche sono attive e il contenzioso aperto con Belgrado mostrano chiaramente che dopo più di settant’anni le ferite della guerra sono ancora aperte. «Talvolta chi ha in mano queste opere ha perso traccia dell’illiceità del possesso e quindi tenta la vendita all’asta. Attraverso un attento monitoraggio dei cataloghi riusciamo a rintracciare alcuni oggetti trafugati. Per esempio abbiamo bloccato la vendita della testa in marmo di Settimio Severo, realizzata tra il II e il III secolo d.C e rubata nel 1985 nel corso di una rapina a mano armata presso l’Antiquarium dell’Anfiteatro Campano di Santa Maria Capua Vetere. Era finita all’asta a New York per mezzo milione di dollari», racconta il Generale Riccardi, che gestisce il caveau a Trastevere dove sono raccolte le opere oggetto di custodia giudiziaria come i dipinti sequestrati a Massimo Carminati. Oggi grazie al web e ai droni è possibile monitorare anche gli scavi clandestini nelle aree archeologiche. Attività di indagine che nel tempo si sono affinate e che in un solo anno, dal 2018 al 2019, hanno fatto registrare un -27 per cento di furti di opere d’arte e un -50 per cento di furti in musei e proprietà pubbliche. Risultati importanti per un nucleo di indagine che non conosce eguali nel mondo e che dal 1951, anno della sua fondazione, ha permesso a circa 3 milioni di opere d’arte di tornare dai rispettivi proprietari.