Da Colson Whitehead a Bernardine Evaristo, da Reni Eddo-Lodge a Candice Carty-Williams. Dopo l’omicidio di George Floyd cresce l'attenzione per gli scrittori di origine africana. Ma esplodono anche polemiche e denunce per discriminazione, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Mentre in Italia è tutto da fare
Senza-titolo-17-jpgC'è un filo rosso che unisce i giovani del movimento Black Lives Matter e le voci nere più autorevoli della letteratura in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e nel mondo intero. Voci vibranti e popolari come Colson Whitehead, lo scrittore americano due volte premio Pulitzer, l’ultima quest’anno con il romanzo “I ragazzi della Nickel” (Mondadori); Bernardine Evaristo, scrittrice britannica di padre nigeriano, prima donna nera ad aver vinto il Booker Prize con “Girl, Woman, Other” (Hamish Hamilton, 2019); Reni Eddo-Lodge, prima autrice black in testa alle classifiche inglesi con il saggio “Perché non parlo più di razza con i bianchi”.
Stavolta, rispetto al passato, si ha la sensazione che tutti insieme possano cambiare le cose, sulla scia dell’assassinio di George Floyd e della morte a 80 anni di John Lewis, pioniere della lotta per i diritti civili dei neri d’America.
«È una battaglia che dura tutta la vita», ripeteva sempre Lewis. Vero, ma la storia a volte procede per salti e adesso i pianeti sembrano allineati. Dalle piazze, infatti, la protesta contagia il mondo della cultura. Gli editori finiscono sul banco degli imputati, accusati di discriminare scrittrici e scrittori afrodiscendenti o di altre minoranze, di non assumere abbastanza editor neri, di scartare certi libri bollandoli come proposte di nicchia solo perché trattano temi scomodi, di retribuire gli autori a seconda del colore della pelle o mettere in atto campagne pubblicitarie progressiste solo per lavarsi la coscienza.
Qualche mese fa la grande catena americana di librerie Barnes & Noble, che aveva programmato di rilanciare 100 classici della letteratura - tra cui “Moby Dick” e “Romeo e Giulietta” - rivisitando le copertine in chiave black per rafforzare la consapevolezza sull’argomento, ha dovuto annullare tutto sommersa da una tempesta di critiche. «Perché non pubblicate semplicemente scrittori neri?», hanno scritto in molti su Facebook, rinfacciando a Barnes & Nobles di aver fatto un’operazione di “blackface”, come gli attori bianchi che si dipingono il volto di nero. Un boomerang.
Tuttora il dibattito infuria su giornali e social: a puntare il dito contro l’industria editoriale sono gli stessi autori che scalano le classifiche e ottengono importanti riconoscimenti. In prima linea Bernardine Evaristo e Candice Carty-Williams, ad esempio, le prime scrittrici nere ad essersi aggiudicate quest’anno i premi principali dei British Book awards. «I neri o gli asiatici semplicemente non vengono considerati lettori», ha detto al Guardian Evaristo, che in “Girl, Woman, Other” (uscirà in Italia a novembre per l’editore Sur, tradotto da Martina Testa) racconta le vicende di dodici donne nere o di origine mista che vivono in Gran Bretagna in diverse epoche storiche, con un diverso orientamento sessuale, appartenenti a diverse classi sociali.
Nell’intervista al quotidiano britannico la scrittrice rincara la dose: «L’industria editoriale è governata dalla stessa classe media bianca di un tempo, che ha come target di riferimento la donna bianca di mezza età, la quale nella loro visione non è interessata a leggere libri scritti da autori neri. È totalmente falso», ha aggiunto Evaristo, che insieme a un centinaio di autori ha fondato il Black Writers’ Guild, il sindacato degli scrittori neri, per sensibilizzare gli editori britannici a cambiare rotta.
Del resto il rapporto “Rethinking diversity in publishing”, il primo studio accademico (London University e altre istituzioni) sul tema della diversità nel mondo editoriale, mostra come le case editrici, in Gran Bretagna, tendono a rendere esotici gli scrittori neri, oppure adattano i loro testi ai gusti del pubblico bianco. Ma c’è di più: in base alla ricerca, condotta attraverso oltre 100 interviste con autori, agenti e responsabili di marketing, design, pubblicità e vendite, gli autori di colore sono svantaggiati durante ogni fase del processo di pubblicazione, dalla selezione di un agente alla firma di un contratto.
C’è poi un altro argomento molto dibattuto, riguarda i soldi. Esploso con l’hashtag #WhatPublishingPaidMe, ha rivelato una forte disparità tra bianchi e neri, a discapito di questi ultimi, nel trattamento economico da parte degli editori. «Non sono solo le case editrici, ma anche i media: come è possibile che uno scrittore nero britannico si trovi in cima alla classifica della saggistica quando ai giornali non interessa investire sugli scrittori neri?», si chiede Eddo-Lodge in un’intervista al Guardian: «Per molti anni ho guadagnato 10mila sterline l’anno facendo enormi sacrifici, scrivevo lo stesso genere di articoli che ora spopolano sotto forma di libro».
Sull’onda di Black Lives Matter anche i media cercano di fare la propria parte. Di recente Anna Wintour, direttrice di Vogue America, ha inviato una lettera ai dipendenti nella quale si è scusata per non aver fatto abbastanza per rappresentare la comunità nera nel suo giornale. Mentre un altro grande editore, Hearst, ha nominato Samira Nasr come prima direttrice di colore in oltre 150 anni di storia di Harper’s Bazaar. Inoltre, il New York Times ha ospitato un ampio forum con scrittori, agenti letterari, editor e librai neri, che hanno denunciato il razzismo più o meno strisciante subìto.
E ancora, il settimanale statunitense Time ha strillato in copertina «America must change», l’America deve cambiare, allargando la riflessione ad altre minoranze. Sulle sue pagine ha ospitato anche il contributo di Jaquira Díaz, scrittrice cresciuta fra Porto Rico e Miami al debutto con il memoir di successo “Ordinary girls”. «Sono la figlia nera di una donna bianca, nel mio albero genealogico esistono colonizzatori e colonizzati. Nel mio corpo porto questa violenza, la vedo ogni giorno allo specchio», ha scritto Díaz, concludendo con una profezia: «Il movimento continua a crescere, si sposta dalle strade alle scuole, ai consigli di amministrazione, ai tribunali, ai dipartimenti delle risorse umane, fino all’industria editoriale, cinematografica e televisiva, ai media, alla distribuzione, alla filiera del cibo. L’America sta cambiando. Il mondo guarda. E l’Election Day si avvicina».
E in Italia? La strada da fare è ancora lunga, scrive Igiaba Scego in queste pagine. Gli scrittori neri o di altra origine, nati o cresciuti nel nostro paese, non riescono a farsi ascoltare, ad aprirsi un varco. Di recente Effequ ha pubblicato “Future”, a cura di Scego, antologia di racconti di scrittrici italiane di seconda generazione (Leila El Houssi, Lucia Ghebreghiorges, Leaticia Ouedraogo e altre), mentre un altro editore da sempre attento alla letteratura black, 66thand2nd, dà voce ai grandi (“Citizen” e a settembre “Non lasciarmi sola” di Claudia Rankine, “Negroland” di Margo Jefferson, “Barracoon, l’ultimo schiavo” di Zora Neale Hurston) e pubblica Cristina Ali Farah, scrittrice e poetessa di padre somalo e madre italiana, autrice del romanzo “Il comandante del fiume”, che prende le mosse da un’antica leggenda somala per raccontare il dolore dell’abbandono e un terribile segreto di famiglia.
«Il mercato editoriale in Italia è complicato», dice Isabella Ferretti, cofondatrice di 66thand2nd insieme a Tomaso Cenci: «Abbiamo cercato altre scrittrici o scrittori neri ma non li abbiamo trovati. Fatichiamo a farli venire allo scoperto». La casa editrice ha siglato un accordo con l’editore americano Graywolf per pubblicare i vincitori dell’Africa Prize a cominciare da Khadija Abdalla Bajaber con “House of rust”, nel 2021. «Dopo i fatti di Minneapolis l’attenzione verso gli scrittori neri è cresciuta. Un fatto positivo, anche se è terribile che ciò sia avvenuto perché qualcuno ha perso la vita per venti dollari. Gli editori dovrebbero fare un lavoro costante, non inseguire una moda passeggera», conclude Ferretti. È una battaglia che dura tutta la vita, ripeteva Lewis.