Complotti e computer: il fascino irresistibile della macchinazione
La costruzione razionale che mescola realtà e menzogna è sempre stata un'ottima strategia per controllare la natura. L’intelligenza artificiale ne amplia ora le possibilità. Sfumando i confini tra l'uomo e la macchina
Da tempo viviamo nel regime della macchinazione. Cosa deve intendersi con questa parola? Macchinazione è qualcosa che produce effetti reali, nascondendosi. Un miscuglio occulto di realtà e menzogna. Una realtà senza verità, falsificata e falsificante. Come nel film di David Grieco, intitolato appunto “La macchinazione” (qui accanto un fotogramma, n.d.r.), Pasolini è ucciso davvero, ma i reali motivi della sua uccisione vengono mascherati attraverso un montaggio che li sottrae alla vista.
Ma non si tratta solo di film. Tutta la recente storia italiana è vista da alcuni come l’esito di continue macchinazioni che hanno stravolto l’ordine delle cose attraverso stragi, manipolazioni, patti inconfessabili. La categoria di macchinazione si espande a macchia d’olio fino a coprire l’intera storia contemporanea. Dall’assassinio di Kennedy all’abbattimento delle Torri Gemelle, si è sempre dubitato delle ricostruzioni ufficiali, sospettando apparati corrotti, interessi stranieri, complicità nello stesso governo americano.
Nessun grande evento contemporaneo è riuscito a sottrarsi all’ombra della macchinazione. Dallo sbarco sulla luna – secondo alcuni costruito in uno studio televisivo, alla morte di Lady Diana, in cui si è ipotizzato il coinvolgimento della stessa famiglia reale, in un succedersi vertiginoso di ipotesi sempre più azzardate. Che, però, possono produrre conseguenze reali.
Si pensi al clamoroso falso dei “Protocolli di Sion” - forse la più grande macchinazione dei tempi moderni. E anzi una macchinazione al quadrato, in cui si è inventata una cospirazione falsa – quella degli ebrei volti alla conquista del mondo – per legittimare una cospirazione vera, quella dei capi nazisti contro gli stessi ebrei. In un inestricabile intreccio di realtà e menzogna, si inventa una macchinazione inesistente per attivare una macchinazione reale.
C’è qualcosa, nelle macchinazioni, vere o false che siano, che attrae irresistibilmente gli spettatori. Il clamoroso successo del romanzo di Dan Brown “Il codice da Vinci” non nasce anch’esso dall’irresistibile fascino per la macchinazione? In questo caso quella, millenaria, che avrebbe perpetrato la Chiesa cattolica per nascondere che il Santo Graal è in realtà il ventre di Maria Maddalena, sposa di Gesù e madre di suo figlio. Una macchinazione, sempre secondo il romanzo, costellata di omicidi, che coinvolgerebbe l’origine e il destino della civiltà occidentale. L’ultima riprova del fascino perverso della macchinazione è di questi mesi. Non c’è chi, davanti a quasi un milione di morti di Covid, si ostina a ritenere la pandemia un trucco dei poteri forti per meglio controllare le nostre vite?
Ma perché il termine “macchinazione” ha assunto questo significato radicalmente negativo – quasi diabolico? Non deriva dalla parola “macchina”, intesa come strumento costruito dagli uomini per sopperire ai propri bisogni e potenziare le proprie capacità? Una risposta a questa domanda la troviamo nel libro “Dominio e sottomissione. Schiavi, animali, macchine, Intelligenza artificiale” di Remo Bodei, alla cui memoria l’intero Festival di Filosofia quest’anno è dedicato: il carattere “diabolico” della macchinazione è già in forma embrionale contenuto nel concetto di macchina.
Fin dalla sua origine greca, infatti, il termine “mechane”, accanto al significato neutro di strumento operativo, ha quello di artificio, o stratagemma, escogitato dall’uomo per aggirare la natura. Ciò trova la propria radice nel contrasto originario tra natura e macchina. Non solo la macchina si oppone alla natura come l’artificiale al naturale, ma lo fa ingannando la natura stessa, prendendone il posto con l’intento di sfruttarne le risorse a suo danno.
La macchina si traveste da natura per meglio sopraffarla. Da qui il carattere sinistro che ne connota il concetto. Per un certo periodo gli uomini non riescono a spiegarsi il funzionamento di ciò che pure essi hanno costruito – non si spiegano, per esempio, come fa una leva a sollevare un enorme peso con un minimo sforzo o un cuneo a penetrare in una superficie solida. E così immaginano che la macchina incorpori una potenza magica, o più propriamente demoniaca, che finisce per piegarne il significato in senso negativo.
Da qui la condanna etica che pesa fin dall’inizio sulle macchine e i loro derivati, come le arti meccaniche rispetto a quelle liberali. La macchina è empia perché sfida la natura e gli dei che la proteggono. Ciò spiega perché gli dei si vendichino su di essa, per esempio distruggendo le ali di Icaro – la sua macchina per volare –, o punendo Prometeo, che ha rubato loro il fuoco per portarlo agli uomini, dando inizio all’età della tecnica. Nel passaggio moderno dalla macchina semplice a quella automatica, questo significato di sfida alle leggi naturali si accresce ancora di più. Chi ha insistito sul carattere perturbante degli automi è stato Freud. Ma egli non fa che portare a teoria un’esperienza più antica, che nasce originariamente dalla contaminazione tra macchina e uomo. I robot sono gli eredi postmoderni di statue di cera, animali impagliati, marionette che hanno sempre sottilmente inquietato chi li guarda, come tutto ciò che vitalizza le macchine o meccanizza la vita.
A inquietare è tale connubio di natura e artificio, di uomo e macchina, che crea qualcosa che non rientra propriamente né nel mondo meccanico né in quello umano. Il robot è l’espressione più moderna della macchina vivente o della vita macchinica, prima che l’Intelligenza Artificiale sposti ancora più avanti i confini della macchinazione. Come tutta una letteratura, in particolare giapponese, ha messo in rilievo, l’inquietudine che il robot suscita nasce dal fatto di essere allo stesso tempo stranamente vicino e infinitamente lontano da noi. Nel robot l’elemento di estraneazione riguarda sia il suo aspetto di uomo che la sua intelligenza, simile, se non superiore, a quella umana. In verità il timore che presto i robot possano prendere il nostro posto – per esempio rubandoci il lavoro – non è affatto infondato.
Eppure, come è stato detto, nel pericolo può celarsi ciò che salva. O almeno che aiuta. Basta mutare prospettiva, immaginando che quel che appare un avversario, o un pericoloso concorrente, sia invece un alleato. Se riusciremo a guardare le cose in questo modo, potremo sottrarci anche alla sindrome della macchinazione. Il mondo contemporaneo è una cosa complessa, che non è possibile schiacciare su un’unica categoria. Più che l’esito di una macchinazione, le cose che accadono sono spesso il frutto di contingenze inaspettate, di molteplici fattori irriducibili a una sola causa e, tanto più, a una sola volontà. Il nostro compito – il compito del pensiero – è quello di distinguere ciò che appare indistinto, restituendo alla realtà le sue mille sfumature.
Roberto Esposito sarà tra i protagonisti del Festivalfilosofia che si terrà dal 18 al 20 settembre tra Modena, Carpi e Sassuolo