Arrivano le dimissioni di Conte, come annunciato. Ma forse è tardi per cambiare verso alla crisi. In attesa delle consultazioni che il Quirinale comincerà oggi, non arriva infatti il fatto nuovo che dovrebbe cambiare l'orizzonte registrato in queste due settimane, vale a dire: un allargamento serio, stabile, significativo della maggioranza giallorosa. La notizia del sequestro nel pomeriggio, all'aeroporto di Vienna, di una valigia contenente ben 74 esemplari di camaleonte (di cui vivi 71) è, si può dire, il più concreto segno di quanto prosegua ottimisticamente, a trecentosessanta gradi, la ricerca di nuovi elementi “contiani”, responsabili o voltagabbana a seconda dei gusti, da annettere alla rosa Pd-M5S-Italia viva per non far sembrare l'eventuale governo Conte ter una vittoria smaccata dell'ex premier Matteo Renzi, che ha innescato la crisi due settimane fa.
Eppure cercare non basta a trovare. Il gruppo dei contiani c'è, e dovrebbe formarsi anche al Senato già mercoledì (l'ex M5S Gregorio de Falco ha fatto richiesta per una nuova componente del misto, dal nome “Centro democratico” come alla Camera): ma tra ex grillini, ex forzisti , iscritti al Maie e parenti di Mastella, non si tratta, sostanzialmente, di un insieme diverso da quello che già la scorsa settimana aveva votato la fiducia al premier, consentendogli di totalizzare i non lusinghieri 156 voti sufficienti al galleggiamento.
Così, il dubbio che in queste ore il premier neodimesso si stia rapidamente logorando arriva a sfiorare persino i Cinque stelle, che a parole sono i primi a spendersi per lui e solo per lui. «Siamo e restiamo al fianco del presidente Giuseppe Conte», scrive sui social il reggente Vito Crimi,«riteniamo che sia l'unica persona che in questa fase storica possa rappresentare la sintesi e il collante di questa maggioranza». Non è un segreto del resto che proprio il Movimento, che si è svelato già così affaticato nei primi passaggi di questa crisi, potrebbe non restare compatto di fronte ad ogni evenienza, ad esempio di fronte a un incarico a nomi diversi da quello di Conte, come – giusto per stare ai più frequentati in queste ore - quello dello stesso ministro degli Esteri Luigi Di Maio, o per altro verso, di personaggi super partes come Marta Cartabia.
La capacità o meno dei Cinque stelle di trovare un accordo interno anche su nomi diversi da quelli dell'Avvocato del popolo è dunque, ancora una volta, la chiave di volta per la formazione del prossimo governo. Già nell'agosto 2019, infatti, quando si avviarono le consultazioni dopo la fine del governo giallo-verde, il punto centrale fu proprio l'irremovibilità grillina a non rinunciare a Conte. Ecco rispetto ad allora, moltissime cose sono cambiate: prima fra tutte la stessa credibilità di Luigi Di Maio, all'epoca ai minimi storici, e invece adesso in risalita, grazie a una indubbia capacità dell'uomo venuto da Pomigliano D'Arco di incassare e trattare senza stancarsi mai; seconda, la vicinanza al burrone che l'intera classe dirigente pentastellata (per lo più al secondo mandato) sente ormai prossima ai propri piedi.
Paradossalmente, quindi, ora i Cinque stelle – più deboli di allora – possono giocare più di allora su più tavoli. Meno complicato l'orizzonte del Pd: nel caso di un nuovo incarico a Conte, si troverà di fronte un premier meno forte e dunque più malleabile; in tutti gli altri casi, avrà un sufficiente spazio di manovra all'interno della nuova maggioranza, persino maggiore dell'attuale. L'unica vera spina nel fianco del partito di Zingaretti resta, ancora una volta, Matteo Renzi.
È del resto il leader di Italia viva l'unico dal quale la platea del circo politico-mediatico si aspetta un eventuale, nuovo, colpo di testa e di teatro. Soprattutto dopo che, riuniti in conclave, i vari partiti e componenti del centrodestra hanno serrato le fila, chiedendo al presidente della Repubblica di partecipare alle consultazioni come un unico gruppo, che comprenderà: Lega, Forza italia, Fratelli d'Italia, Udc, Cambiamo!, Idea e Noi con l'Italia. Il solo snocciolare l'elenco fa capire quanto anche l'ipotesi di un governo di unità o salvezza nazionale - «con tutti dentro» come si dice in gergo – sia lontana. Più improbabile è solo il ritorno al voto.