I fondamentalisti cattolici chiedono dichiarazioni contro aborto, eutanasia e ddl Zan. Da Michetti ai leghisti tanti accettano. E le comunali diventano il grimaldello per influenzare la politica nazionale

È un’ombra che segue il centrodestra e vorrebbe inghiottire i diritti conquistati negli ultimi 40 anni. Sembra casuale, improvvida, inconsapevole. Le amministrative 2021 lo dimostrano. A Roma Enrico Michetti, candidato sindaco del centro-destra, firma il documento di intenti di Pro-Vita, lo fa ancora prima di pubblicare il proprio di programma elettorale. Al punto numero 3 si legge: «Evitare l’aborto attraverso l’aiuto alle maternità difficili o non desiderate e mediante il lavoro educativo-culturale».

Con lui i candidati della Lega Maurizio Politi, Flavia Cerquoni e Simona Baldassarre. Anche a Milano, i candidati leghisti Max Bastoni e Manuela Ponti, stringono alleanze con chi definisce l’aborto «un omicidio». Bastoni è l’uomo di riferimento del gruppo neofascista Lealtà e Azione, dove ha sede il suo comitato elettorale. Ponti è già stata candidata a sindaca di Monza per Il Popolo della famiglia di Mario Adinolfi.

Così i movimenti fondamentalisti cattolici fanno il loro ingresso alle comunali. È il risultato di un gran lavorio di candidati e candidabili, telefonate e incontri. Vincono tutti in questo gioco interno ai «do ut des», all’etica come merce di scambio. Da un lato, i movimenti che vanno da Pro-Vita al Family Day intascano legittimità e capacità di influire su politiche pubbliche in materia di salute e diritti delle donne; dall’altro, i partiti acquisiscono una capacità di posizionamento identitario conservatore e cattolico perso nell’era post-DC.

Sembrava nulla al principio: i bambolotti dei feti, i manifesti giganti che ricoprivano i muri dei palazzi. Trash, buono per qualche battuta sui social. Invece le apparizioni mediatiche contro unioni civili, aborto, ddl Zan, eutanasia hanno permesso non solo di raccogliere adesioni, ma anche accumulato risorse economiche e contatti. Per alcune regioni gli obiettivi sono stati raggiunti, come dichiara Massimo Gandolfini, leader del Family day che rivendica il successo delle azioni di contrasto all’applicazione delle linee guida del ministero della Salute per la somministrazione, anche nei consultori, della cosiddetta pillola abortiva Ru 486: «Stiamo lavorando molto con Regione Piemonte, con Regione Marche, in parte anche con Regione Veneto, e poi anche con amministrazioni comunali locali».

 

In che modo? «A livello di Regione Piemonte, una presa di posizione da parte del consiglio regionale e della giunta per la quale sono state aperte delle convenzioni da parte dei consultori con le associazioni pro-life». Percorsi che consentono ai pro-vita di infiltrarsi in consultori e ospedali per diffondere disinformazione e stigma alle donne che cercano un aborto. Una politica no-choice benedetta dalle urne.

 

Spiega Massimo Prearo, professore di Scienza politica presso la fondazione Universitaria di Mantova e studioso dei movimenti neo-cattolici: «La differenza tra questi movimenti e quelli del passato come Il movimento per la vita è un aggancio territoriale che li colloca in una posizione di lobby politica. Si fanno portavoce di una realtà mettendosi fuori dai partiti. Si inseriscono in tutto lo spettro del dibattito etico-morale: eutanasia, diritti delle donne, diritti lgbt. Agendo anche grazie a risorse internazionali forse poco trasparenti ma importanti».

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