E adesso? Il corteo degli studenti scorre colorato e rumoroso tra la neve che paralizza il centro storico. Gli scontri di Roma hanno diviso la protesta, qui come in tutta Italia. C'è un prima e un dopo il 14 dicembre, concordano attivisti e manifestanti di tutte le anime del "nuovo movimento" che in questi mesi, soprattutto a Pisa, aveva saputo trovare "Unità, maturità e concretezza", le tre parole magiche ripetute da ingegneri e ricercatori, autonomi e pacifisti, liceali e normalisti. Le auto della polizia seguono a distanza, a nessuno salta in testa di attaccare i "lavoratori in divisa" con i lampeggianti blu. Al tramonto, il primo corteo dopo il 14 dicembre si scioglie pacifico come le palle di neve (e solo quelle) scagliate contro le finestre della Lega.
Gli universitari omaggiano di rifiuti la sede del Pdl e poi si fermano a discutere altre forme di lotta, come lo sciopero della fame. Lo slogan è pronto: "Abbiamo fame di cultura". Ma ormai "la Gelmini è il passato, il problema è dare un futuro alla protesta". Un futuro in bilico come questa generazione precaria: quando si esaurirà la rabbia contro la riforma, finirà tutto? E usare la violenza è necessario, utile, giusto?
Per capire come potrà rispondere nei prossimi mesi la massa degli studenti si può provare a esplorare questa città universitaria. Pisa ha meno di 90 mila abitanti e 58 mila iscritti a decine di facoltà. Più di 30 mila vivono qui. Una seconda città mescolata alla prima, storica roccaforte rossa. Qui è nata l'organizzazione-pilota dei ricercatori precari. Da qui è partita l'occupazione dei monumenti, con gli striscioni calati dalla Torre e gli sms che contagiano Roma e Venezia. E a Pisa, per la prima volta, i duri dell'autonomia e la sinistra pacifista hanno imparato a sfilare insieme, dietro gli stessi striscioni. Un fronte che ha rischiato di spezzarsi già nella prima, infuocata assemblea dopo il 14 dicembre.
La formazione maggioritaria è Sinistra per..., che ha stravinto le elezioni studentesche con il 55 per cento. Rocco Albanese, 22 anni, media del 29 in giurisprudenza, è uno dei tre eletti al senato accademico. Su mezzi e fini, ha le idee chiare. "Il discrimine l'abbiamo fissato già quando abbiamo voluto il voto su ogni occupazione: le nostre forme di lotta devono creare consenso, includere i cittadini, essere approvate democraticamente". E gli obiettivi, oltre il no alla Gelmini? "Il grande tema sono i beni comuni. Ci sono beni materiali, come l'acqua o la casa, e immateriali, come l'istruzione o l'informazione, che sono di tutti, per cui non devono essere di nessun privato. Tutto è nato con l'Onda del 2008, ma ora c'è più concretezza. In gennaio continueremo a lottare insieme agli operai, precari, terremotati, migranti, alluvionati e cittadini inquinati. Uniti contro la crisi". E i partiti? Zero. Incontri sporadici con "qualcuno del Sel, Pd o Idv", ma nessun legame politico.
Nel palazzo comunale rimbomba la voce di Sara Giustini, che sta sgolandosi per trovare una nuova sede a Rebeldia, una rete di 30 associazioni di sinistra. Studia scienze ambientali e ricorda con orgoglio "i miracoli" di questi mesi: "Occupazioni perfino alla Normale, al Sant'Anna, a Lingue, Medicina ed Economia". La protesta negli atenei d'eccellenza ha spiazzato la retorica del governo. "Dormivamo in 30 alla Normale, appoggiati dall'assemblea: penso non sia mai successo", ride Giuseppe Montalbano, quinto anno di filosofia: "Alla Normale facciamo corsi aggiuntivi, ma viviamo la stessa dequalificazione dell'università pubblica".
Il cuore di questa rivolta però batte nelle facoltà scientifiche, come Ingegneria che ha 11 mila studenti. "Colpendo la ricerca si uccide la scienza", spiega Matteo Dartagnan, 22 anni. Antonio Di Buono, 21, studia il nucleare, ma ha paura del "fantanuclare di Berlusconi: il vero problema è investire nella ricerca sulle scorie".
In una città che vive di università molti professori hanno bocciato la riforma, compreso il rettore, ma gli studenti fanno fronte solo con i più giovani. Alessandro Breccia, 37 anni, rappresenta i ricercatori precari: "Siamo in 3.126, eppure siamo il buco nero della legge: la Gelmini ci nega l'esistenza. Chiediamo regole certe, non sanatorie: siamo noi le vittime dei tappi all'accesso". Bilancio della protesta? "La partecipazione è stata enorme, ma ora la mancanza di sfogo gonfia la rabbia".
"Tra studenti e precari c'è un ponte naturale", sottolinea Giovanni Stea, 37 anni, che rappresenta i ricercatori fissi nel cda: "I miei laureati lavorano in Nord Europa o Stati Uniti. In Italia la ricerca è in crisi, ma l'unica risposta è trasformarci tutti in precari. Per questo la rabbia è più forte nei corsi scientifici". Per Laura Caponi, ricercatrice di Medicina eletta al senato accademico, l'opposizione dovebbe capovolgere il quadro: "Questo Paese non sa come impiegare i laureati e trattenere i dottorandi. Bisognerebbe reimpostare il Paese sull'università: è l'unica base per uno sviluppo di lungo periodo".
Sui loro blog e siti aperti, ricercatori e studenti smontano la legge, ridicolizzano il governo, progettano un'"altra riforma". E la controinformazione fa breccia a destra. I ciellini, unica lista d'opposizione, si sono spaccati: i dissidenti ora fanno fiaccolate contro la Gelmini. E dal piano di sotto sale una nuova leva: 1.200 ragazzi delle superiori che ingrossano i cortei cruciali. "Abbiamo capito che ne va del nostro futuro", dice Lorenzo Posteraro, ultimo anno di scientifico, che con la sua sincerità di liceale è il primo a dire che il 14 dicembre è uno spartiacque: "Saviano ha ragione, gli anni di piombo non hanno portato a niente. Finora a Pisa è prevalsa la scelta di restare tutti sotto lo stesso ombrello. Ma le divisioni sono iniziate già sui pullman di ritorno da Roma: gli autonomi parlavano di grande svolta, gli altri di violenze che hanno rovinato tutto".
Fino a ieri ha funzionato anche la gestione dell'ordine pubblico. Gli studenti hanno bloccato la stazione, i ponti, perfino l'aeroporto. La polizia ha controllato che la protesta restasse simbolica. E in meno di un'ora gli scali erano liberi. Qualche stranezza non manca: i due capetti degli autonomi delle superiori, (in sigla Casp), hanno 20 e 23 anni. Ma a preoccupare la questura non sono ipotetici emuli dei brigatisti locali, che teorizzavano la segretezza, né dei due eco-anarchici arrestati in Svizzera, in aprile, con l'esplosivo davanti all'Ibm. No, il vero incubo è che Roma possa sdoganare una violenza di massa.
Il leader dei Collettivi universitari autonomi (Cua) è Simone Sisti, 24 anni, studente di storia e precario dell'Asl: "Rispetto Saviano, ma su Roma si è lasciato usare: il 14 dicembre non c'è stata premeditazione, ma rabbia spontanea", dice: "La nostra è una rivolta sociale contro un sistema capitalistico di cui Berlusconi è un prodotto. Non dovete accostarci agli anni '70, ma alla Grecia, a Londra, a Lisbona. L'università è un aspetto della precarizzazione: lottiamo anche per i migranti, per la casa...". A protestare in piazza si va a viso scoperto o nascosto? "Il casco serve a difenderci. Io non voglio farmi spaccare la testa dai manganelli né farmi denunciare e arrestare". Il centro sociale degli antagonisti si chiama Newroz, come il capodanno curdo. Occupano una ventina di case e sono bravissimi a incanalare cortei, ma gli attivisti fissi, ammette Sisti, sono "20 o 30", anche se "i Cua esistono anche a Bologna, Padova...".
Più folta è un'altra ala di disobbedienti, che ha come network Uniriot. Due capetti accettano di parlare davanti a tre grappe. C'è un 23enne di fisica, che sogna la ricerca in "neuroscienze" ma ride del suo futuro: "Farò il militante". E c'è un autonomo della Normale, che studia filosofia e non ride mai: "A Roma è nato un movimento storicamente nuovo", garantisce. Con il fuoco alle camionette? "Saviano dice cose vecchie, oggi non ci sono più le condizioni politiche né materiali per un ritorno agli anni '70". E se cambiano, si torna alla P38? "Anche il blocco delle stazioni è violenza". Gandhi vinse con la non-violenza. "L'India resta sottomessa alle multinazionali". Dopo un'alluvione di frasi da libro, il normalista sciorina i suoi numi: "Foucault, Deleuze, Derrida. L'operaismo e il suo superamento". Un nome su tutti? "Toni Negri". Salta fuori che i due ventenni incontrano e parlano con il maestro pregiudicato. Lo considerano un "perseguitato dal sistema capitalista". Avete mai letto una sentenza? "No". Negri non fu condanato per le idee, ma per sequestri, rapine, sparatorie e sangue. Il normalista se ne va: "Non accetto chi vuole schiacciarci sugli anni '70". Ma Negri l'avete citato voi. "Althusser ha ammazzato la moglie. A me interessa l'opera, non l'autore".
In piazza delle Vettovaglie, covo eno-gastronomico della rivolta, sei capetti di Sinistra per... danno risposte opposte. I più ferrati studiano diritto e adorano la Costituzione: "Abbiamo preso l'idea di bloccare le città dai disobbedienti. Ma siamo decisi a restare nei limiti della resistenza passiva, senza nessuna violenza attiva contro le persone", spiega Rocco, che è di Reggio Calabria e ha sentito i botti delle bombe di mafia contro i magistrati. Il più chiaro è Dartagnan: "Posso accettare i caschi, non le mazze o le bombe carta. Un conto è forzare un assurdo divieto di manifestare, un altro è dare la caccia al poliziotto. A Roma c'erano gruppi organizzati, li abbiamo visti. A Pisa non li vogliamo".