Firmano progressisti di chiara fede da Dacia Maraini e Renato Nicolini; premi Oscar come Dante Ferretti; registi impegnati come Marco Tullio Giordana; politici di varia derivazione da Leoluca Orlando a Ugo Intini e persino una militante del movimento omosessuale come Paola Concia. Se lo avesse saputo che si scatenava questo casino, Cicchitto l'avrebbe lasciato al suo posto Croppi. In fondo era solo un assessore alla Cultura. E la cultura per la destra italiana non è una cosa seria. L'han sempre detto.

Se l'aspettava questa dimostrazione di affetto?
"Francamente no. E ammetto che mi gratifica molto. Di sicuro mi danneggerà. Per cui vorrei aggiungere che tra le prime voci che si sono levate c'è quella forte e "destra" di Pietrangelo Buttafuoco su "Libero". Sa, per riequilibrare".
Ma la bilancia pende ancora a sinistra. Per di più il sindaco ha fatto capire che lei non era simpatico alla giunta. Colpa della cultura o delle sue simpatie per Fini?
"La mia vicinanza a Fini non è stato un movente diretto. Nessuno in realtà ha chiesto la mia testa. Ad Alemanno è stato solo chiesto spazio. L'inimicizia degli altri consiglieri invece è vera. Non sa quanti progetti assurdi ho bocciato! Francesco Orsi aveva diligentemente annotato fra le sue carte tale appunto: "Bisogna convincere Croppi per Vadis così diventiamo imperatori di Roma"".
Cos'è Vadis?
"L'ennesima proposta di corsa delle bighe al Circo Massimo. Titolo: "Vadis al Maximo". Per questo ho appeso in ufficio un cartello di divieto con biga e messaggio. "Finché sono assessore io non si fanno corse delle bighe"".
È la cultura spettacolo dell'era Berlusconi che lei nel lontano 2005 aveva dichiarato essere ormai al termine.
"Però qualche anno dopo ho ammesso di aver sbagliato".
E ora?
"Non mi sbilancio. Vede quanto è difficile fare previsioni politiche in Italia?".
Ne faccia una su Bondi. Lei cosa avrebbe votato, fiducia o sfiducia?
" Ho una grande simpatia umana per Sandro Bondi, ma credo che il ministero della Cultura abbia bisogno di una personalità diversa. Sono felice di non dover votare".
Torniamo a lei. Dunque i colleghi non l'amavano. Ma il sindaco? Eravate amici da sempre, vicini nella vita e nella lotta. È rimasto deluso da Alemanno?
"Deluso no. Lo conosco da 35 anni. Conosco il suo modo di reagire, la sua fragilità. Gli avevo consigliato di sciogliere la giunta per farne una più forte e autonoma e invece l'ho visto cadere nella trappola del "Sistemiamo qualche amico che torna utile nella cucina interna"".
E perché l'avrebbe fatto?
"Alemanno era uno dei pochi leader della destra legittimati da un forte consenso dell'elettorato. Poteva aspirare a un ruolo nazionale. La crisi di Roma lo aveva spaventato e nel compiacere il gruppo romano del Pdl pensava di salvarsi. Ma ne è uscito dimezzato" .
Lei invece è uscito e basta. Cosa ha capito del lavoro di assessore?
"Se non si ha una propria visione che possa controbilanciare la macchina, fare l'assessore alla Cultura vuol dire: scontrarsi con problemi di bilancio, calibrare le pressioni, lottare contro burocrati che credono che il potere si eserciti solo con l'interdizione, resistere all'assalto alla diligenza, alla richiesta di raccomandazioni e all'odio di questuanti delusi e convinti che chi è assessore può fare qualsiasi cosa. E a fine serata ti trovi le tasche piene di curricula, perché non c'è italiano che non abbia un figlio di 29 anni in cerca di lavoro".
Lei ha fatto di più. Ha iniziato minaccioso annunciando di voler "sbullonare la Roma veltrona" e poi invece ne ha salvata una gran parte.
"Precisazione: la frase "sbullonerò la Roma veltrona" non l'ho mai detta. Primo perché è brutta e non fa parte del mio lessico; secondo perché i bulloni preferisco avvitarli. La sinistra ha lasciato un'eredità importante e problematica. Da una parte i cantieri del Maxxi e del Macro firmati da due architetti come Zaha Hadid e Odile Decq. Noi li abbiamo portati a termine, ma fu Rutelli ad aprirli. Dall'altra una comunicazione forte su cui Veltroni aveva costruito. Il problema però è stato scoprire che dietro questa messe di iniziative ed eventi c'era un caos totale. La Roma veltroniana era concepita come una grande macchina di consenso del tutto priva di sistema e progettualità".
La sua Roma invece?
"Io sono ripartito dalle istituzioni. Ho dato una configurazione a quelle che non l'avevano, ho cercato un equilibrio fra pubblico e privato".
E ha litigato con il sovrintendente Broccoli che aveva concesso a una marca di auto di farsi pubblicità circondando l'Ara Pacis
"Una cosa pazzesca! Non si può fare neanche se ti ricoprono d'oro!".
E cosa si può fare allora?
"Buona formula è far coincidere l'interesse dei privati con la missione dell'istituzione. Perché se alla Casa del cinema partecipano produttori è ben diverso dall'usare un monumento come testimonial. Eppure è difficile da far capire".
Soprattutto in una giunta dove - come ha detto lei - nessuno entrava mai in un cinema o teatro.
"Gran vantaggio. Mai un contrasto. Come dice Berlusconi: "Pensiamo all'economia, il resto è poesia"".
E lei poeticamente cosa risponde?
"Cito Neruda: "La cultura costa ma l'incultura costa molto di più".