Le aziende privilegiate dal San Raffaele? Fabbriche di nero per decine di milioni di euro, come documentano gli sviluppi clamorosi delle inchieste in corso. Il piano di risanamento per salvare il grande ospedale milanese con i soldi garantiti dal Vaticano? Un percorso che, negli atti del tribunale fallimentare, fa balenare l'ipotesi di un'operazione condotta per favorire la svendita a un colosso della sanità privata.
L'arresto dell'uomo d'affari Piero Daccò, di area ciellina e consulente del San Raffaele, sospettato di concorso in bancarotta, rischia di dissolvere il lieto fine sognato: il prete-manager don Luigi Verzè, fondatore e dominus dal lontano '72, che accetta cristianamente di farsi da parte ammettendo "errori"; una cordata cattolica, formata a tempo di record dalla banca vaticana Ior e dall'imprenditore ligure Vittorio Malacalza, che offre 262 milioni in contanti e copre parte dei debiti; e il tribunale che promuove i nuovi amministratori e ammette un concordato che evita il fallimento, salva i 3.800 lavoratori e assicura la continuità delle cure.
Oggi, invece, don Verzè è indagato insieme ad altre quattro persone per i fondi neri che avrebbero contribuito a scavare il buco da un miliardo e mezzo. A rovinare l'incantesimo era stato prima di tutto il suicidio di Mario Cal, per anni factotum di don Verzè. Prima di spararsi il 18 luglio al San Raffaele, il manager aveva nascosto un archivio aziendale. Tra quelle carte il pm Luigi Orsi, che guida l'inchiesta con i colleghi Gaetano Ruta e Laura Pedio, scrive al tribunale di aver trovato ampie tracce di uscite sospette, in Italia o all'estero, e di "fatture per operazioni inesistenti" che fanno pensare a una prassi. Traduzione: accordi sottobanco per gonfiare i prezzi e dividersi il nero.
I magistrati stanno ora cercando di ricostruire dove sono finiti i soldi con perquisizioni nello stesso ospedale e verifiche addirittura a bordo di yacht ormeggiati in Liguria. La Guardia di Finanza sta lavorando da mesi per ricostruire i movimenti finanziari della costellazione di società controllate dalla Fondazione San Raffaele, a sua volta governata da un'associazione religiosa dominata da don Verzè e dai suoi fedelissimi, riuniti nella casa-comunità dei Sigilli. Per illuminare le zone grigie, gli inquirenti stanno indagando anche sui fornitori privilegiati del San Raffaele. E i primi risultati sono sorprendenti. Nel numero 33 di quest'anno, "l'Espresso" aveva già descritto il rapporto decennale tra l'ospedale e il gruppo di costruzioni Diodoro-Metodo di Pierino e Giovanni Zammarchi, anche loro indagati per concorso in bancarotta: Cal e don Verzè affidavano gran parte delle più costose opere edilizie a quell'impresa, cresciuta da zero a oltre 60 milioni di fatturato, che a sua volta lavorava quasi solo con il San Raffaele. Ora il pm milanese Michele Scudieri ha chiuso un'indagine-choc, finora del tutto sconosciuta, che accusa il gruppo Zammarchi di aver emesso "fatture per operazioni inesistenti per oltre 48 milioni" (più 9 di evasione dell'Iva) solo nei primi due anni considerati, il 2005 e il 2006. La famiglia Zammarchi controlla anche la Metodo, che nel 2008 ha ereditato il rapporto con il San Raffaele e ora è a sua volta sotto indagine. Ma adesso l'intero gruppo rischia il crac. In aula, a chiedere i fallimenti, si è presentato il pm Ruta, dello stesso pool che indaga sul San Raffaele. E come prima mossa ha denunciato i maxi-debiti fiscali per le fatture considerate false.
Un altro grande fornitore del San Raffaele è la centrale elettrica della Blu Energy, controllata in parti uguali dalla Fondazione di don Verzè e dall'imprenditore Giuseppe Grossi, morto di recente per malattia. In altre due grosse inchieste, sui nuovi quartieri di Milano Santa Giulia e dell'ex Falck di Sesto, Grossi è stato accusato di aver creato fondi neri per oltre 30 milioni gonfiando i costi delle bonifiche. Ora la Finanza sta verificando se almeno i prezzi dell'elettricità venduta all'ospedale fossero corretti. La cordata vaticana però ha già deciso di troncare il contratto: i nuovi amministratori hanno spiegato al tribunale che la Blu Energy risulta aver beneficiato di tariffe "sproporzionate". Sia per il gruppo Zammarchi che per Grossi, le indagini hanno comprovato complicità di politici locali. Ma la partita San Raffaele mobilita ora forze politiche ed economiche ben superiori alle corruttele cittadine.
Cresciuto grazie anche al sostegno di Silvio Berlusconi, dal 1995 l'ospedale ha come massimo finanziatore la Regione Lombardia del governatore ciellino Roberto Formigoni, che gli versa 450 milioni l'anno di rimborsi pubblici. Dopo il dissesto, però, la cordata vincente è capeggiata dallo Ior, che con il presidente Ettore Gotti Tedeschi è entrato nell'orbita dell'Opus Dei. E la rottura dei vecchi equilibri sta creando scintille anche all'interno del San Raffaele. Gli amministratori vaticani, guidati dal manager Giuseppe Profiti, hanno annunciato il licenziamento di tredici fedelissimi di don Verzè. Mentre alcuni medici di punta sospettano lo Ior di volere, in un prossimo futuro, svendere a un colosso privato già fortissimo in Lombardia ma finora rimasto nell'ombra.
Gli atti pubblicati dal tribunale mostrano che perfino l'asettica udienza sul concordato si è trasformata in una battaglia. Nel decreto il collegio giudicante accusa lo Ior di "conflitto d'interessi". Il problema è che l'accordo con i creditori preparato dagli amministratori vaticani, che dovrebbero rappresentare la fondazione venditrice, è "perfettamente speculare e simmetrico" all'offerta dei compratori: come due fotocopie. Quindi l'operazione targata Ior, a ben guardare, è una compravendita "preconfezionata" e "bilaterale", "come un rappresentante che firmi un contratto con se stesso". Insomma, il Vaticano vende e il Vaticano compra.
I nuovi amministratori, aggiungono i giudici, volevano imporre un concordato "senza rimborsi certi, del tipo "prendere o lasciare"": il tribunale invece ha preteso un "risarcimento minimo del 52 per cento" anche per i creditori diversi dalle banche. Bocciati anche i valori attribuiti al grosso del patrimonio immobiliare: il rifiuto di pagare futuri conguagli autorizza il dubbio che i prezzi attuali siano "sottostimati" per favorire i compratori. Respinta pure la richiesta di nominare un "liquidatore privato" per cedere i beni che resteranno fuori dal futuro San Raffaele: la vendita la gestirà il tribunale.
Riscritto così il piano, i giudici approvano la cordata Ior-Malacalza per un solo motivo: "Per ora è l'unica offerta" e rispetto al fallimento ha il merito di "salvare l'ospedale e i posti di lavoro". Ma in attesa della sentenza finale, fissata il 30 giugno, toccherà a "tre commissari giudiziari" rifare tutti i conti per garantire davvero che i diritti dei creditori non vengano sacrificati agli interessi dei nuovi padroni. I quali, con l'intermediazione del Vaticano, potrebbero ritrovarsi a fare un affare clamoroso, acquistando a poco prezzo un ospedale che, sottratto alle ruberie, già oggi ha una gestione ordinaria positiva.