Se ti pieghi ai clan, l'azienda o te la confisca Cosa nostra o te la confisca lo Stato. Ribellarsi alle cosche quindi non è solo un fatto etico, ma una scelta pragmatica. Lo spiega qui, benissimo, un imprenditore di Caltanissetta, ai vertici di Confindustria. Che racconta "un metodo rivoluzionario partito dal cuore della Sicilia"

A Gela come a Buccinasco, ad Asti come a Milano o a Verona, una cosa è certa: non conviene piegarsi alle mafie. Lo dice l'esperienza "rivoluzionaria" partita l'1 settembre del 2007 da Confindustria Sicilia e ora diventata patrimonio di Confindustria nazionale. Lo conferma un'analisi che abbiamo condotto in Sicilia insieme ai miei colleghi con i quali abbiamo approvato il "codice etico" che prevede l'espulsione da Confindustria di chi si avvicina alla mafia e distorce il mercato. Il tutto partendo da un dato ormai acquisito: se ti pieghi ai mafiosi l'azienda o te la confisca Cosa nostra oppure, prima o poi, te la confisca lo Stato.

Da Caltanissetta, provincia in cui sono nato e dove ho iniziato la mia vita da imprenditore, è venuta fuori una due diligence. Abbiamo preso un campione di imprenditori tra i più importanti della Sicilia e analizzato la loro "convenienza" a stare vicino ai mafiosi. All'inizio la mafia ti fa credere che si muove per aiutarti. Il mafioso ti dice: se fai parte della mia corte ti metto a disposizione il mercato degli appalti che riesco a pilotare, le materie prime te le faccio ottenere a prezzo di costo, non avrai l'impiccio delle trattative sindacali perché con i miei metodi di persuasione il personale non farà rivendicazioni. E la semplificazione amministrativa? Pure quella la garantisco io, dice il boss: al funzionario colluso impongo di farti avere tutte le pratiche in regola entro trenta giorni. Insomma, il mafioso garantisce una serie di servizi a 360 gradi - non ultimo i grossi capitali da riciclare - che consentono all'azienda di far parte di un "consorzio" particolare.

Poi, dopo anni, arriva il dato devastante sul destino dell'azienda. E' stata solo una ricchezza a cronometro. Dopo i primi anni di lavoro facile, i boss hanno iniziato a obbligare l'azienda ad acquistare materie prime in quantità sempre più esagerate, specie quando in periodi di crisi economica gli appalti sono diminuiti. E le aziende che credevano di ottenere un vantaggio grazie ai mafiosi si sono ritrovate con i boss che piano piano hanno acquisito quote sempre più alte dei capitali sociali grazie alle loro ingenti e illecite disponibilità.

Quegli imprenditori che hanno cercato di ribellarsi tardivamente sono stati minacciati o uccisi. Oppure sono arrivate le inchieste giudiziarie: prima i sequestri, poi le confische. Basta guardare quanti imprenditori siciliani sono scomparsi dal panorama produttivo, da un mercato che è stato distorto perché chi lavora in modo legale e fuori dal "cartello mafioso" ha costi superiori.

Ecco perché come Confindustria Sicilia abbiamo cercato di recuperare certe regole, non proponendoci come forza di polizia ma puntando a un mercato che fosse uguale per tutti.

Se guardiamo al Nord oggi dobbiamo stare allerta. Il Nord è in difficoltà per la crisi economica globale, ma se viene consentito alle mafie di entrare nelle aziende tramite il loro denaro liquido e i loro sistemi, il destino è segnato.

Ecco perché lì bisogna inviare gli uomini migliori dello Stato, competenti su questi problemi e capaci di capire gli investimenti e i movimenti delle mafie e delle infiltrazioni nelle istituzioni, nelle imprese e nei sindacati. Considerando che le estorsioni moderne vengono effettuate tramite forniture, consulenze, minacce da parte di infedeli iscritti al sindacato, perché gli infedeli sono nelle imprese, nei sindacati, nelle istituzioni.

Ora vi racconto il modello-Caltanissetta, da dove è partita la nostra rivoluzione grazie al fatto che, come presidente del Comitato dei saggi, viene individuato il collega Ivan Lo Bello per i vertici di Confindustria Sicilia. A Gela facciamo il primo passo con un protocollo di legalità firmato con le imprese del polo petrolchimico: si prevede l'espulsione in via insindacabile delle imprese vicine alle organizzazioni mafiose.

Lo scopo di Confindustra e delle aziende non è l'espulsione fine a se stessa, ma portare gli imprenditori della zona verso un mercato regolare. Così Confindustria Sicilia, la prefettura, le forze di polizia, tutto il gruppo Eni compreso Snam Rete Gas allora guidata da Alberto Meomartini, firmano il primo vero protocollo di legalità. E da questo punto di vista Gela diventa un'isola felice. Il modello viene esportato nelle altre province, fino a prendere piede in tutta Italia. La presidente Emma Marcegaglia lo porta in Confindustria nazionale. La prima ad aderire, nel 2010, è Assolombarda, guidata guarda un po' proprio da Meomartini. I ministri dell'Interno, Roberto Maroni, e della Giustizia, Angelino Alfano, utilizzano alcuni punti dei nostri protocolli d'intesa per il "pacchetto sicurezza". Certificando con la loro firma il successo di un metodo rivoluzionario partito dal cuore della Sicilia.

Antonello Montante è un imprenditore, delegato per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio di Confindustria nazionale. Il testo è stato raccolto da Umberto Lucentini.

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