La scena si consuma nel chiuso di quattro mura, poco più di 50 metri quadrati. Ogni giorno tre operai entrano in fabbrica e si dirigono in quella stanza: è lì che trascorreranno le loro 7 ore e 30 minuti di rito, seduti su una sedia di plastica rossa o andando avanti e indietro nervosamente per ore. A un anno esatto dal licenziamento in tronco ritenuto antisindacale dal Tribunale di Melfi, i tre metalmeccanici dello stabilimento Sata della Fiat Group riammessi in servizio, in realtà, non hanno più messo piede nelle linee di produzione. A ogni turno, dopo aver superato i tornelli, si dirigono nella saletta sindacale, un luogo separato dallo stesso corpo di fabbrica da circa 400 metri di cammino.
"Per prendere una bottiglia d'acqua dobbiamo chiedere un permesso sindacale", dice a "l'Espresso" uno di loro, Giovanni Barozzino, il più votato alle ultime elezioni per la rappresentanza sindacale di base, che ha deciso di raccontare la sua esperienza in un libro. S'intitola "Ci volevano con la terza media" (Editori Riuniti) e spiega quei momenti vissuti da involontario protagonista, non esitando a parlare di grossa messa in scena e di contestazione premeditata.
La sua storia, e quella di Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, inizia la notte tra il 6 e 7 luglio 2010. Nel corso di uno sciopero, ai tre viene contestato di aver bloccato un carrello e di fatto interrotto la produzione. Dal giorno successivo non viene consentito loro l'ingresso in fabbrica, fino al licenziamento, che arriva il 16 luglio. In quelle ore, l'eco delle polemiche seguite al referendum di Pomigliano è ancora vivo, i tre licenziati sono tutti iscritti Fiom, due di loro sono rappresentanti sindacali: c'è n'è abbastanza per i metalmeccanici della Cgil per bollare quel provvedimento come una vera e propria ritorsione.
Il 10 agosto il Tribunale dichiarerà antisindacale quella sanzione: "Il licenziamento appare sproporzionato e illegittimo", scrive il giudice del lavoro, Emilio Minio. Il Lingotto è convinto di avere ragione, presenta ricorso e, intanto, chiede alle tre tute blu di starsene a casa. In alternativa, propone il "confino" nello stesso stabilimento. A nulla vale l'invito del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: "Il mio vivissimo auspicio - che spero sia ascoltato anche dalla dirigenza della Fiat - è che questo grave episodio possa essere superato, nell'attesa di una conclusiva definizione del conflitto in sede giudiziaria". I toni si inaspriscono: in Tribunale e nello stabilimento.
I sindacati denunciano un aumento delle contestazioni. Alcune sembrano scritte in serie, altre sono ai limiti del ridicolo: come la richiesta di chiarimenti per l'assenza ingiustificata il 17 marzo 2011, giorno in cui si festeggiava l'unità d'Italia.
Intanto, Giovanni Barozzino decide di registrare ogni incontro a cui partecipa e ogni telefonata. Testimonianze di colleghi, anche di rappresentanti sindacali di sigle lontane dalla Fiom: c'è chi dice che "quella notte era tutto organizzato", chi parla di espliciti inviti ad allontanarsi dal luogo della disputa perché c'è da "fare un po' di pulizia etnica", chi conferma la versione secondo cui da parte dei preposti aziendali "ci sono stati atteggiamenti provocatori, che ho sentito con le mie orecchie".
Documenti che il giudice d'appello non ritiene di acquisire. È in questo clima che il 14 luglio potrebbe arrivare una nuova sentenza.