Banche. Agenzie di viaggio. Società di consulenza. Centri servizi. Altro che 'togliere il lavoro agli italiani': gli stranieri producono sempre di più ricchezza e opportunità di business. Ecco dove e come

Profumo di spezie e odore di affari. Passeggiando per piazza Vittorio a Roma o nei quartieri di altre città, tra una rivendita di kebab, un negozio etnico e un ristorante cinese, scopri un mondo che non è solo ricco di aromi diversi, ma che è anche terreno di nuove opportunità di business. Una terra di mezzo fra il non profit di chi aiuta gli immigrati a integrarsi (e a sopravvivere alla nostra burocrazia), e il profit di chi poi dà una mano a lavorare, e a fare affari.

Così nascono piccole imprese, con l'ausilio dei nostri connazionali. Basta dare un'occhiata alle diverse agenzie di viaggio per immigrati. Ce ne sono parecchie, a Roma come a Milano, che si rivolgono specificamente ai cinesi. Altre, come la Eastern Travel, organizzano viaggi per gli indiani. E poi c'è il piccolo boom della Tour Magazine di Salah Ahmed Ibrahim, imprenditore egiziano associato Fiavet, in Italia da quasi trent'anni. Con due filiali a Roma, una a Milano e una a Brescia: "Siamo specializzati nel pellegrinaggio alla Mecca", spiega: "Perché è uno dei cinque pilastri dell'Islam, quindi una volta nella vita è obbligatorio".

A Salah i clienti non mancano: dai marocchini agli algerini, dai bengalesi ai filippini. E non solo per il pellegrinaggio: "È il cosiddetto traffico etnico: il biglietto che lo straniero fa per tornare a casa. I musulmani partono spesso, se possono due, tre volte l'anno, perché molti hanno moglie e figli in patria. Sono quasi tutti maschi, e secondo le regole dell'Islam non possono stare più di sei mesi lontani dalle loro donne". Salah racconta di esser stato uno dei primi in Italia a ricavarsi questa nicchia di mercato: "Sono stato bravo a convincere le compagnie aeree a fissare condizioni particolari. All'inizio facevo fatica, non avevano idea di cosa fosse il traffico etnico. Adesso l'hanno capito, perché è una fonte di guadagno. E oggi, per esempio, si riempiono voli per l'Egitto che altrimenti sarebbero deserti per la crisi del turismo". Così Salah si trova a collaborare "con diverse linee aeree, dall'Alitalia all'Egyptair, ottenendo prezzi ridotti".

E dopo aver riabbracciato le proprie famiglie si torna in Italia. All'abbraccio della nostra burocrazia. Anche qui c'è chi dà una mano, a partire dai patronati Cgil Inca, cui si rivolgono ogni anno 450 mila stranieri per mettersi in regola con la legge italiana. Nel 2010 quelli che grazie a loro hanno ottenuto il rilascio o il rinnovo dei permessi di soggiorno sono stati 135 mila, e oltre 10 mila i ricongiungimenti familiari.

Il mercato dei servizi per stranieri, però, per gli italiani è anche una buona occasione economica. Lo dimostra il fiorire di agenzie private per immigrati, strutture che offrono più o meno gli stessi servizi dei patronati. Una delle più grandi è l'Agenzia Diffusion, un franchising con una sessantina di filiali in tutto il Paese. "Lavoro in questo settore da 15 anni", dice l'amministratore delegato Susanna Penzo, "e ho assistito all'esplosione dell'immigrazione. Prima gli uffici pubblici (questure, prefetture, centri per l'impiego) non ci vedevano di buon occhio perché gli "rubavamo" i clienti, oggi invece sono felici di collaborare con noi visto che sono saturi di pratiche". Agenzie che seppur a scopo di lucro finiscono per svolgere una funzione sociale. "Qualche giorno fa abbiamo completato il ricongiungimento di una famiglia macedone. Il capofamiglia è venuto in ufficio con moglie e figli per farceli conoscere, ci ha portato dei regali. In passato qualche straniero ha perfino dato ai figli nati in Italia il nome dei nostri dipendenti che l'hanno aiutato".

Dei problemi giuridici degli immigrati ne sanno qualcosa anche quelli di Avvocato di Strada, che nel 2010 hanno aiutato gratuitamente oltre 1.300 extracomunitari e 200 stranieri comunitari. I problemi più diffusi, raccontano, sono i fogli di via, i decreti di espulsione, i permessi di soggiorno, quelli legati alla patria potestà e ai figli minori, agli sfratti e alle aggressioni subite. Il presidente Antonio Mumolo spiega che "gli stranieri privi di permesso di soggiorno non possono sposarsi e, per paura, non si recano negli uffici pubblici nemmeno per registrare all'anagrafe i figli, denunciare reati subiti o curarsi".

È il caso di Mihai, un ragazzo rumeno che, dopo essersi rotto la gamba in motorino, viene ricoverato e operato. Ma dopo l'operazione, che doveva essere gratuita, essendo indigente, si vede addebitare 2.600 euro. Solo dopo l'intervento dell'associazione l'ospedale fa marcia indietro e parla di "malinteso". Oltre agli avvocati, anche i commercialisti si rimboccano le maniche. Lo testimonia Marcello Piacentini, presidente della Compagnia delle Opere del Lazio: "Io e i miei colleghi mettiamo a disposizione le nostre competenze, anche da volontari, di piccole associazioni. Personalmente seguo la coop sociale di un'amica ruandese, Marie Therese Mukamitsindo, fuggita negli anni Novanta dal suo Paese".

Il primo problema per gli stranieri che approdano nel nostro Paese è quello del lavoro. Anche in questo caso esiste una rete pronta ad assisterli nell'apertura di un negozio o di una piccola impresa. La Confederazione nazionale dell'artigianato ha messo a disposizione nelle sue sedi un apposito sportello, Cna World (gestito da dipendenti spesso stranieri a loro volta) che aiuta l'immigrato a percorrere tutti i passi necessari a metter su un'attività, dalla formazione alla ricerca di finanziamenti, dall'affitto dei locali agli adempimenti burocratici. "Allo sportello di Arezzo dove lavoro", racconta Aurel Rrapaj, albanese sbarcato in Italia nel '92, "arrivano tanti indiani o bengalesi che vogliono aprire un ristorante o un take away. Di solito li aiutiamo a cercare dei locali in buone condizioni igieniche, li iscriviamo alla Camera di commercio per ottenere la patente Haccp, seguiamo le pratiche per l'apertura. Se invece vogliono comprare un negozio da un italiano, gli spieghiamo che non acquisteranno la licenza, ma solo l'avviamento. Cerchiamo di prepararli e non lasciarli soli".

Aprire una kebabberia o un ristorante con le lanterne rosse, del resto, è una delle soluzioni preferite da chi viene in Italia in cerca di fortuna. Secondo gli ultimi dati della Fipe-Confcommercio, ormai in Italia il 14 per cento dei ristoranti e il 10 per cento dei bar è gestito da immigrati. La Fondazione Leone Moressa ha condotto uno studio sulla nascita di nuove aziende, da cui emerge che negli ultimi quattro anni gli imprenditori italiani sono costantemente diminuiti, mentre quelli stranieri gradualmente aumentati. Solamente nel 2010 i primi sono calati di 31 mila, i secondi incrementati di 29 mila.

Per alzare le serrande di un negozio o per mettere in piedi un'attività, di solito occorre un investimento iniziale. Non sempre però gli immigrati vengono in Italia già con un gruzzolo da far fruttare. Motivo per cui nel nostro Paese sono nate banche specializzate nel prestare qualche migliaio di euro a persone che normalmente farebbero fatica anche solo a farsi ricevere da un istituto di credito tradizionale. PerMicro è la prima banca di microcredito in Italia, fra i suoi azionisti c'è Ubi Banca, e può contare su dieci filiali sparse sul territorio nazionale. Lo sa bene Giulia, una giovane sarta rumena, che grazie a un microfinanziamento di 7 mila euro è riuscita ad affittare un piccolo locale e comprare le macchine da cucire. E lo sa anche Mohammed, un africano che da ospite di un dormitorio pubblico è diventato venditore ambulante: tutto merito di un prestito da 14 mila euro, garantito dal parroco della chiesa che frequenta.

Piccoli prestiti vengono concessi anche da Extrabanca, primo istituto di credito italiano nato per assistere i cittadini stranieri e le loro imprese. Extrabanca tuttavia, a differenza di PerMicro, non si limita al microcredito, ma offre tutti i prodotti di una banca tradizionale. Mutui compresi. Racconta Xuan Zhou, uno dei 19 dipendenti non italiani sui 35 totali: "L'altro giorno abbiamo reso felice una famiglia peruviana: abbiamo concesso un mutuo per l'acquisto di un terreno in Perù dove sorgerà la loro casa una volta tornati in patria".

Pratica, questa, tutt'altro che scontata per gli immigrati: a fronte delle tante richieste, le banche normali non sono molto propense a dare grosse somme a chi non ha un lavoro stabile in Italia. Il sito Internet mutui.it ha scoperto che l'11 per cento dei preventivi on line per i mutui sulla prima casa vengono richiesti da cittadini stranieri. Peccato però che non tutti questi desideri vengono esauditi. Secondo l'ultimo report del centro studi Scenari immobiliari, dal 2008 a oggi la percentuale di case acquistate da lavoratori stranieri è pressoché dimezzata, dal 17,3 per cento del 2007 all'8,9 del 2010. La spiegazione sta proprio nell'atteggiamento degli istituti di credito: "Le procedure di accesso al credito sono più rigide che per gli italiani: le pratiche per il rilascio possono durare mesi e le garanzie che prima venivano accettate non sono più considerate valide", si legge nel rapporto.

A parte la questione mutui, le banche stanno comunque cominciando a guardare con interesse al mondo degli immigrati. Lo testimoniano non solo i casi di PerMicro, Extrabanca ma anche di Agenzia Tu, una rete di filiali che Unicredit ha dedicato alle esigenze dei non italiani. E lo attestano le stime dell'ufficio studi di Extrabanca, secondo cui nel 2012 le imprese straniere passeranno da 200 mila a 310 mila, mentre i ricavi per le banche aumenteranno da due miliardi e mezzo a quasi cinque. Un piatto davvero succulento.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il rebus della Chiesa - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso