La linea C della capitale doveva essere inaugurata nel 2000, invece si sta scavando ancora. Mentre i costi sono schizzati da 1,9 a 3,3 miliardi di euro (pubblici). Con tanti regali ai soliti noti (privati). In esclusiva, la durissima relazione della Corte dei Conti su una grande opera che è soltanto una grande vergogna

All'alba del 2012, dopo ventidue anni di attese e una massa infinita di risorse pubbliche dilapidate, dopo centinaia di annunci solenni, perizie e collaudi milionari, varianti e arbitrati miliardari, ci vorrebbe un'altra linea metropolitana.

Sì, una linea veloce per radunarli tutti, progettisti e amministratori, costruttori e controllori, sindaci, consulenti e collaudatori perché spieghino ai cittadini romani e ai contribuenti italiani come mai la Linea C della metropolitana di Roma, una delle "grandi opere" necessarie per decongestionare il traffico della capitale e modernizzare l'Italia, un'opera che doveva essere inaugurata addirittura per il Giubileo del 2000 e che è stata cavalcata con il famoso "contratto con gli italiani" anche dall'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, sia invece ancora un cantiere aperto e dalle incerte prospettive, un pozzo senza fondo che rischia di ingoiare chissà ancora quanto denaro.

E già, perché dal 2000 sotto i ponti, ma sarebbe meglio dire sotto terra, è passato di tutto, dalle spese incrementate alle stazioni cancellate. Senza contare la serie infinita di varianti (39 fino al luglio 2011) che hanno reso insufficienti anche gli oltre 3 miliardi di euro stanziati dal Cipe nel 2009, a fronte del miliardo 900 milioni di euro previsti nel 2001 per la realizzazione dell'opera. Soldi che sono serviti a mettere in piedi un costosissimo business, economico e politico, gestito da una lunga serie di amministrazioni capitoline, da Francesco Rutelli a Walter Veltroni fino all'attuale primo cittadino Gianni Alemanno. E che vede coinvolti personaggi come Angelo Balducci, sì, proprio quello di Anemone e Bertolaso, chiamato come consulente al capezzale della Metro C; per non parlare di altri illustri nomi come Andrea Monorchio, ex ragioniere generale dello Stato, ingaggiato per collaudare i lavori e i grandi costruttori raccolti nella Metro C spa, incaricata della realizzazione dell'opera e che tra gli azionisti allinea la Vianini di Francesco Gaetano Caltagirone, patron del "Messaggero", e altri giganti come Astaldi, Ansaldo, Cooperativa Muratori e braccianti di Carpi e il Consorzio cooperative costruzione.

Risultato del ventennale lavorio? Una risposta arriva adesso dalla Corte dei Conti che, dopo una lunga istruttoria, ha appena depositato un'esplosiva relazione, un documento di 182 pagine scritto dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, con la quale si fa per la prima volta il punto sulla reale situazione dei lavori e dei costi della linea C mettendo a fuoco sprechi e ritardi. Mazzate pesantissime, in molti casi: «L'opera risulta non priva di incognite sulla complessiva fattibilità», scrivono per esempio i giudici contabili sottolineando come si siano «esaurite anzitempo le risorse per la sua realizzazione integrale», mentre il progetto originario appare «notevolmente ridimensionato per l'abbandono di qualificanti opere integrative e complementari nelle tratte centrali». Nel frattempo, la «soppressione di alcune stazioni centrali rischia di pregiudicare anche l'effetto rete e di menomare gravemente la funzionalità» della linea.

Insomma, un pozzo senza fondo, l'ennesimo scandalo all'italiana iniziato negli anni lontani della prima Repubblica e destinato a protrarsi chissà ancora per quanto. 'L'Espresso' è entrato in possesso della relazione della Corte dei Conti. Ecco cosa scrivono i giudici contabili.

Tutti i ritardi portano a Roma

I tempi di realizzazione dell'opera, innanzitutto. Il progetto della linea C venne approvato per la prima volta nel 1990 per il tratto Pantano-Colosseo. Nel 1995 si decise di allungare il percorso fino a Ottaviano-San Pietro, prevedendo di realizzare l'opera per il Giubileo del 2000. Ma gli scontri fra la presidenza del Consiglio (che elaborò un proprio progetto) e il Comune di Roma provocarono un blocco dei lavori. Nel 2001 il Cipe inserì la Linea C nel primo programma delle infrastrutture strategiche, in attuazione della cosiddetta "Legge obiettivo" di Berlusconi. Venne fatta una gara d'appalto vinta dalla Metro C spa.

Il cronoprogramma dei lavori è dell'aprile 2006 e riporta scadenze tanto precise quanto ambiziose: l'apertura della tratta Pantano-San Giovanni era per esempio prevista per il 30 aprile 2011. Oggi, puntualizza la Corte dei Conti, per l'apertura di questo tratto di linea si prevedono tutt'altre date: la parte da Pantano a Centocelle sarà aperta il 31 dicembre 2012 se tutto andrà bene, per arrivare a piazza Lodi bisognerà aspettare un altro anno (31 dicembre 2013), mentre per poter usufruire di tutto il percorso fino a San Giovanni occorrerà attendere il 2014. Morale: oltre 3 anni di ritardo, in linea con quello che sta succendendo sulle altre tratte. Con una particolarità che riguarda il percorso da Piazza Venezia a Farnesina, la più interessante per la mole di traffico e le ricadute turistiche. Nel settembre 2010, infatti, Caltagirone e soci hanno formulato una proposta di project financing per realizzare e gestire questo percorso con soldi privati, i loro. Naturalmente in cambio di una concessione per la gestione diretta della tratta. Proposta che il sindaco Alemanno ha abbracciato con entusiasmo definendola la strada giusta per «completare la rete metropolitana». Mentre la Corte dei Conti ha bocciato l'ipotesi perché elude «l'applicazione delle norme comunitarie sulla concorrenza» non prevedendo una nuova gara.

Quello dei costi finali della linea è un vero rebus. Nel 2001 erano di 1 miliardo 925 milioni (delibera Cipe), cresciuti a 2 miliardi 600 milioni nel 2006 al momento della stipula del contratto con Metro C spa. Oggi sono lievitati a 3.379 milioni. Ma non basta perché qualche settimana fa il Cipe ha approvato un altro finanziamento per il collegamento da San Giovanni a Colosseo mettendo sul piatto 792 milioni, necessari anche perché il costo chilometrico in questa tratta è lievitato dai 145 milioni di euro contrattuali agli attuali 273.



Lite miliardaria
E magari ci si fermasse qui con i costi. Nei meandri delle linea C spuntano infatti uscite spesso fuori norma. Come quelle per le verifiche dei lavori. Scrivono i giudici contabili che la decisione di affidare all'esterno di Roma Metropolitane (la società del Comune che ha appaltato l'opera) la direzione dei lavori e del collaudo «mal si concilia con una struttura specializzata costituita da ingegneri e tecnici». Inoltre, sottolineano che «in violazione della normativa comunitaria, gli incarichi di collaudo sono stati affidati senza alcuna forma di selezione o pubblicità, pur in presenza di compensi rilevantissimi». Tre i collaudatori tirati in ballo: Andrea Monorchio, ex Ragioniere generale dello Stato, l'ingegnere Dario Zaninelli e Giuseppe Ricceri, ex Presidente Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. L'importo delle parcelle è rilevante: 516mila euro per il presidente della commissione di collaudo, 446mila per ciascuno degli altri due collaudatori. Davvero niente male.

Ma soprattutto, tra le spese non preventivate e che potrebbero fare schizzare ancora più in alto il costo finale della metropolitana, spuntano quelle relative al contenzioso che si è aperto tra Metro C e Roma Metropolitane ora in mano a un collegio arbitrale. Le critiche della Corte su questa vicenda sono serrate e partono dalla scelta del contraente generale, cioè proprio Metro C: una scelta che si è rivelata fallimentare visto che, sin dall'inizio del rapporto contrattuale, si «protrae un rilevantissimo contenzioso» fra le parti «del tutto estraneo allo spirito di leale collaborazione che dovrebbe essere alla base di tale tipo di affidamento». Nel 2008 si è costituito il collegio arbitrale composto dal consigliere di Stato Luigi Cossu, l'avvocato Stefano Vinti e il collega Romano Vaccarella, ex giudice costituzionale, già civilista di Previti e Berlusconi. Il collegio arbitrale ha nominato nel 2009 consulenti tecnici di ufficio (costo 250 mila euro, iva esclusa) Angelo Balducci, Renato Sparacio e Gianfranco Zanda (quest'ultimo poi sostituito da Giovanni Fiori). Il lodo arbitrale dovrebbe essere definito entro il marzo 2012 con in ballo una posta pesantissima.

Fra le richieste di Metro C ce ne sono di estremamente tecniche come quella che chiede «una variazione dell'8% del corrispettivo pattuito per gli oneri diretti e indiretti per la funzione di contrante generale (202 milioni)»; ma ce n'è un'altra come quella relativa al «5% per le maggiori spese di progettazione e in particolare per le incombenze antimafia» (altri 126 milioni) che la dicono lunga sulla natura della rissa giudiziaria. Scrivono infatti i giudici contabili che il «protocollo d'intesa per prevenire i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nella linea C» stabilisce con chiarezza che «gli eventuali aggravi economici sono interamente a carico del contraente generale e sono da intendersi interamente compresi e compensati nel prezzo».

Ciononostante i privati chiedono a Roma Metropolitane la ragguardevole cifra di 1 miliardo 394 milioni di euro che, dovessero averla vinta e non andasse in porto un tentativo di conciliazione in corso, porterebbe il costo della linea C a 5 miliardi 700 milioni, quasi 4 miliardi in più del prezzo iniziale. Amara la conclusione dei magistrati della Corte dei Conti: la scarsa efficienza, gli aumenti dei costi, il dilatarsi dei tempi di realizzazione uniti a una mancata visione d'insieme sono a loro giudizio le principali falle dell'intero sistema. Fino a scolpire un giudizio finale fulminante: «La tormentata e lunghissima vicenda progettuale ed esecutiva della linea C rischia di inficiare l'efficacia dell'investimento e la qualità finale di un'opera pensata oltre 25 anni prima della sua messa in esercizio». Più chiaro di così.