Piergiorgio Paterlini, scrittore e collaboratore anche dell'Espresso, è l'autore del libro 'Ragazzi che amano ragazzi' (Feltrinelli) uscito per la prima volta nel 1991: una raccolta di interviste a giovani omosessuali italiani, che ha avuto otto edizioni e nel è stato ampliato con l'inserimento di lettere e testimonianze raccolte dopo la prima pubblicazione. Il libro, con gli anni, è diventato un punto fermo della presa di coscienza della comunità omosessuale italiana, passando di mano in mano tra migliaia di ragazzi e ragazze. Il 22 febbraio prossimo ne uscirà una nuova edizione, sempre per Feltrinelli, arricchita da due nuovi testi dell'autore, Anticipiamo qui di seguito un ampio stralcio della prefazione, in cui si fa il punto su quello che è cambiato - e quello che deve ancora cambiare - rispetto a vent'anni fa
Quando ero piccolo, c'era un uomo che passava per "strano", in paese. Tarchiato, rubizzo, una quarantina d'anni (l'età dei miei). Scapolo. Mio padre, quando tiravo fuori un'idea un po' troppo originale, secondo lui, si imbestialiva e profetizzava:"Continua così e farai la fine di Gino".
Per mio padre era la minaccia più terribile, definitiva. Lo spettro più tremendo, il segno massimo del fallimento esistenziale. Che voleva dire due esiti molto precisi ed espliciti: sarai per sempre solo, e apparirai patetico e ridicolo.
Ci ho messo un po' a capire che quell'uomo era omosessuale.
Oggi, in quello stesso paese non troppo diverso da come me lo ricordo nella mia infanzia, c'è un sindaco poco più che trentenne, Simone Montermini, un sindaco amato, a quanto so. Un sindaco a capo di una coalizione di centrosinistra piena di cattolici anche vecchio stampo, un sindaco dichiaratamente gay e che si batte pubblicamente per il riconoscimento dei matrimoni omosessuali.
Allora, com'è? Come stanno le cose?
Cosa è cambiato, cosa non è cambiato? A un certo punto mi sono reso conto che era come se non incontrassi mai ragazzi - o genitori o famiglie - che vivessero nel presente. A volte mi sembravano ragazzi già belli accovacciati nel futuro, diciamo in un ipotetico e fantascientifico 2037, ragazzi omosessuali che a sedici anni avevano già il fidanzato, lo avevano presentato a genitori entusiasti (o magari indifferenti), e non avevano nessun bisogno di nascondersi, a scuola, in parrocchia, in vacanza, al cinema, ovunque.
Altre volte, la solitudine e l'angoscia dei ragazzi di oggi mi precipitavano nelle cupe atmosfere degli anni cinquanta. (Erano cupe, lo affermo senza sfumature visto che qualcuno continua pubblicamente a rimpiangere gli "antichi castighi".)
Allora, com'è? Come stanno le cose? Nelle epoche di transizione - più o meno lunghe, più o meno dolorose, più o meno cariche di vittime innocenti - è così che le persone vivono. Mai, nessuno, nel presente. Qualcuno ancora nel passato, qualcuno nel futuro che - speriamo – si sta costruendo.
Bisogna solo saperlo, e, mentre si dà aiuto e sostegno a coloro che si sono attardati, senza loro colpa ovviamente, bisogna guardare, e dare visibilità, anche a coloro che sono già là davanti, come segno di speranza e motore del cambiamento.
Ma non è solo questo. Un bel giorno mi sono anche dato dell'asino. Come avevo potuto pensare, come avevo potuto illudermi - e con me molti altri, se non tutti - che un tabù così radicato nei secoli, un tabù che affonda le radici nei due grumi forse più tosti con i quali l'umanità deve fare i conti - il sesso e la religione - come avevo potuto pensare che una faccenda così radicata nell'inconscio personale e collettivo potesse essere realmente disintegrata, non solo scalfita, scheggiata, proprio disintegrata e sconfitta e digerita nel giro di pochi anni, uno o due decenni, per quanto "globalizzati", veloci e "in rete"?
Penso ai ragazzi omosessuali di oggi e vorrei dirgli: non meravigliatevi troppo, voi per primi, se una bella mattina, guardandovi allo specchio, proverete sgomento nel dirvi: "sì, sono gay". Magari sarete tra i fortunati cui la botta passerà alla svelta, ma il primo impatto sarà durissimo in ogni caso.
Perché in quel momento vi misurerete non con l'"attualità", non con un Giovanardi qualunque o con i vostri grezzi amici del bar, ma con i secoli, con l'orribile millenario tabù, con l'orrendabestia, e non potrete non sentire lo stomaco che vi si chiude, non potrete non avere paura. Almeno per un paio d'ore.
Ma a questo punto posso, devo dire con ancora più forza che una cosa sicuramente non è cambiata, in questi vent'anni e più, non ha fatto un passo avanti di un millimetro, né si intravede come e quando potrà farlo: la questione dei diritti. I diritti civili che non avevano gay e lesbiche - ragazzi e adulti - vent'anni fa non ce li hanno neanche adesso. Sono rimasti cittadini di serie B, C, di un provincialissimo campionato dilettanti.
Qui la scusa del tabù non vale, assolutamente. Anzi, questo nulla, questo immobilismo, questa inciviltà sono odiosi scandalosi intollerabili. Lo stato, i partiti, le istituzioni, gran parte delle chiese si vergognino.
Punto. Non c'è altro da spiegare.
Giocano con la vita, e con la morte, delle persone, degli adolescenti,di giovani uomini e di giovani donne. Di fronte a storie come queste che state per leggere, dovrebbero chinare il capo, chiedere perdono e vergognarsi.
Poi fare qualcosa.
Anzi, non qualcosa. Tutto. Tutto e subito. Perché sarà sempre troppo poco e troppo tardi.
E aggiungo un'altra cosa. Ma da quando in qua tutte le opinioni sono lecite e rispettabili? Dopo l'evidenza, dopo l'errore e l'orrore, ci sono idee che il consesso civile mette fuorigioco e a volte fuorilegge per sempre. Con o senza scuse nei confronti delle vittime, ma fuori, senza ritorno. E che ci sia sempre qualche spiritosone che ci prova, non per questo si ricomincia tutto daccapo, e non ci si ritiene per questo meno democratici, anzi.
Quando qualcuno se ne esce con la faccenda che l'Olocausto non c'è mai stato, non è che ci mettiamo a discutere con lui o proviamo a convincerlo con le buone. Ne siamo indignati, offesi, scandalizzati e prendiamo provvedimenti.
Insomma, dopo un tot - ma a volte sono secoli - su alcune enormità scatta se dio vuole la moratoria. E si passa dal dibattito civile al codice civile, anzi penale. Non è che se qualcuno oggi se ne uscisse con la teoria che i negri sono bestie, Porta a porta farebbe una bella puntata bipartisan, con contraddittorio alla pari davanti al plastico della capanna dello zio Tom.
Basta, dunque, anche con le cazzate sull'omosessualità.
Non ne possiamo più. Gay etero uomini e donne giovani e vecchi destra e sinistra. Fine. Stop. Tempo scaduto.
Dopo quarant'anni che l'omosessualità è stata cancellata dall'elenco delle malattie mentali (1973), dopo venti che l'Oms ha recepito questa nuova "definizione" (1993) e dopo che - per stare al tema - cinquantamila omosessuali sono stati perseguitati dal nazismo e sterminati a migliaia nei campi, proporrei stop, grazie, basta così.
L'unica malattia che attiene all'omosessualità è l'omofobia.
Lo dice la parola stessa: fobia, paura irrazionale, malata, dell'omosessualità. L'omosessualità temo proprio sia incurabile. Ma l'omofobia si può curare. Non bisogna avercela con gli omofobi. Sono solo persone cui va impedito di fare del male e che poi vanno curate e aiutate.
E basta anche con la favoletta che però almeno la chiesa cattolica ha il diritto di. La chiesa cattolica se l'è presa comoda, ma alla fine ha dovuto rassegnarsi all'idea che la terra giri intorno al sole. Si rassegnerà anche all'idea che un uomo giri intorno a un altro uomo.