Attualità
23 febbraio, 2012

Roma, ospedale Umberto I. Sul terrapieno dove passano i pazienti e si siedono a studiare i ragazzi, le emissioni di raggi gamma sono tre volte superiori a quelle naturali. E l'erba è morta. Proprio lì sotto ci sono i laboratori di radiologia. La nuova inchiesta di Fabrizio Gatti

Il Policlinico è pure radioattivo

C'è un giardino a Roma, dentro il Policlinico Umberto I, dove non cresce più l'erba. Una segnalazione anonima porta proprio lì. E Attila ovviamente non c'entra. L'indicazione è precisa: "Passare dall'ingresso di viale Regina Elena. Camminare fino al padiglione di radiologia. Guardare a sinistra. Si arriva a un'aiuola sopraelevata". È vero. Ai bordi dell'aiuola l'erba è verde e rigogliosa. Ma lungo una larga fascia al centro, non cresce nulla. Nonostante ci abbiano steso un tubo nero per l'irrigazione. Nonostante la neve ormai sciolta abbia dissetato le radici. Lì in mezzo tutte le piantine sono morte. Eppure la terra non sembra diversa dalle altre aiuole del Policlinico.

Dalle finestre del secondo piano di radiologia si vede meglio. La zona senza vegetazione segue una geometria. Più o meno un rettangolo. Più o meno la stessa dimensione del bunker nascosto lì sotto: il laboratorio con le macchine a raggi X delle unità di radioterapia 2 e 3.

Secondo la segnalazione, sarebbero proprio le radiazioni a uccidere l'erba. Se fosse vero, è un altro guaio. Perché ogni giorno, intorno a quell'aiuola, si siedono decine di studenti della facoltà di Medicina. Sul terrapieno costruito sopra il laboratorio, i ragazzi studiano, fumano, telefonano. Accanto, gli autisti parcheggiano le ambulanze. E lì davanti è un passaggio continuo di centinaia di pazienti, medici, infermieri, parenti. La direzione tecnica dell'ospedale, informata da "l'Espresso", ha avviato un'indagine.

Non c'è solo l'affollamento disumano al pronto soccorso del Policlinico: i malati lasciati tre, quattro giorni ad aspettare il trasferimento in un reparto. Come è successo anche al San Camillo, l'altro ospedale di Roma. E in tante città italiane dove direttori generali e primari si stanno contendendo prestazioni e servizi al costo di letti e contratti da tagliare. Così impongono le misure anti crisi del governo di Mario Monti. Ma all'Umberto I, il più grande istituto universitario d'Europa, ai problemi della gestione sanitaria si aggiungono le conseguenze di anni di incuria. Di mancanza di fondi. O di soldi usati troppe volte malissimo. Al punto che il Policlinico romano è ancora il simbolo della Sanità. E dei suoi fallimenti. Tra Nord e Sud, a metà strada. Come nel 2007, quando "l'Espresso" raccontò l'ospedale dal di dentro. Un finto addetto alle pulizie. Un mese da infiltrato.

Ci siamo tornati. Passando proprio dall'ingresso di viale Regina Elena. Questa volta con un contatore di radioattività. Dal cancello aperto si arriva alla piccola piazza con l'edicola. Il padiglione di radiologia è qui davanti. Più ci si avvicina, più i bip del contatore suonano. Ogni punto sulla Terra ha la sua radioattività di fondo naturale. La dose misurata davanti alle finestre interrate delle unità di radioterapia è tre, quattro volte superiore al fondo naturale rilevato in altre parti del Policlinico. I picchi si toccano dietro la palazzina di radiologia, pochi passi dai tavolini di un chiosco. È il bar dove decine di dipendenti vanno a pranzare. Ed è l'ora di pranzo. Il contatore rileva più volte per alcuni secondi 1,07 microSievert per ora, l'unità di misura della dose di radiazione. Sale anche a 1,17 microSievert. Sempre pochi istanti di picco, l'emissione è discontinua. Poi l'indicatore continua a rimbalzare tra 0,60 e 0,97. Questo contatore di radioattività cattura i raggi gamma. Le macchine per la radioterapia sfruttate oggi emettono invece raggi X. Soltanto i vecchi strumenti con la sorgente a base di cobalto irradiavano raggi gamma. Ma all'Umberto I non se ne usano più dal 2003. La dose di fondo in altri settori del Policlinico varia da 0 a 0,48 microSievert per ora. E comunque da nessun'altra parte si raggiungono 1,17 microSievert. Un mistero.

I laboratori di radiologia e di radioterapia dovrebbero essere adeguatamente schermati. Al punto che all'esterno, nelle zone aperte al pubblico, non dovrebbero esserci aumenti di radioattività. E nemmeno piantine d'erba rinsecchite. La direzione tecnica dell'Umberto I esclude al momento che ci siano pericoli per la salute. Anche perché la misurazione fatta da "l'Espresso" non può essere considerata ufficiale. Il direttore, Claudio Voglino, ha passato la segnalazione al dipartimento di Fisica sanitaria. "Non mi hanno segnalato anomalie finora", spiega Voglino: "Le eventuali dispersioni di radiazioni verrebbero rivelate in tempo dai dosimetri dislocati negli ambienti di reparto. Gli stessi che il personale porta addosso. Faremo tutte le verifiche".

Il viavai di ambulanze tra i padiglioni del Policlinico diffonde puzza di scarico fin dentro l'atrio dei reparti. È in queste condizioni che medici e infermieri sono costretti a lavorare. E i cittadini a farsi curare. Il traffico di ambulanze, oltre a essere un costo aggiuntivo per l'amministrazione, è il risultato della ristrutturazione delle gallerie sotto l'ospedale. Nel senso che prima, come aveva documentato "l'Espresso" nel 2007, i malati venivano spinti da padiglione a padiglione sui lettini attraverso i tunnel. Capitava che persone appena operate finissero in coda ai carrelli che trasportavano rifiuti. Oppure che le lettighe, con tanto di supporto per la flebo e relativo paziente, dovessero passare sotto soffitti scrostati dall'umidità, tubi rotti o accanto a cantine trasformate in discariche e cumuli di macerie con escrementi di animali. Ora non succede più. I tunnel sono stati rifatti. E più volte inaugurati negli ultimi anni. Una ventina di milioni la spesa. Ogni galleria adesso ha un colore diverso. Luci che si accendono al passaggio. Telecamere digitali perché le guardie giurate possano controllare cosa accade. Piastrelle nuove e lavabili. Porte tagliafuoco. Da inizio febbraio però i collegamenti sotterranei non possono essere utilizzati per trasferire i pazienti. La Procura di Roma li ha messi sotto sequestro. L'accusa è violazione delle "norme sulla prevenzione degli infortuni e sull'igiene del lavoro".

Secondo le indagini, la direzione dell'ospedale, i progettisti e gli esecutori dei lavori si sarebbero lasciati sfuggire qualche precauzione. Il nuovo controsoffitto infatti nasconde alla vista tubi di varie età che non sono stati sostituiti. Chilometri di condutture di ossigeno e gas medicali passano accanto all'acqua e ai cavi elettrici. In caso di perdite, i pannelli impedirebbero la dispersione del gas aumentando il rischio di incendio o addirittura di esplosione. Una svista da 20 milioni. Più il costo del noleggio di decine di ambulanze. Corrono avanti e indietro per portare agli appuntamenti con esami, radiografie e prelievi i malati che non camminano. Sono soprattutto anziani. Trascinati dai reparti sui loro letti, su e giù per gli ascensori. E poi fuori al freddo. Fin dentro l'ambulanza che li attende all'aperto davanti ai padiglioni. Occhi tristi che luccicano tra la coperta di lana e i maglioni annodati come turbanti sulle loro teste. Se le infezioni ospedaliere sono un dramma, ecco un rimedio obbligato che ne aumenta i rischi.

La polmonite da legionella qui era di casa. Il batterio mortale si diffondeva grazie alla mancata disinfezione delle tubature dell'acqua. E almeno fino al 2007 il pericolo è stato scrupolosamente sottovalutato o ignorato. Lo sa bene Franco Maccarelli che al Policlinico ha perso il figlio, Cristian, 21 anni. Lo scrive il giudice Donatella Pavone nelle motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma che il 14 ottobre scorso in rito abbreviato ha condannato a due anni e quattro mesi per epidemia l'allora direttore generale, Ubaldo Montaguti: "Nel 2006 i laboratori di igiene tecnica ospedaliera hanno eseguito un unico controllo dell'acqua e ciò a causa della drastica diminuzione del fondo spesa riconosciuto dal Policlinico al servizio d'igiene". Mancano soldi per comprare il cloro, lo stesso anno in cui viene speso un milione e mezzo per ricoprire di parquet e legni aromatici lo studio di un professore. Sette i casi di infezione riconosciuti dal 2003.

Chiede il giudice a un testimone, il dirigente della Siram spa, la società di manutenzione tuttora presente all'Umberto I: "Le era noto che sulla rete idrica vi era un problema di legionella?". Risposta del dirigente: "No". Cristian Maccarelli viene operato al cuore per l'impianto di un pace-maker. Intervento riuscito. Muore di legionella 21 giorni dopo il ricovero, il 31 maggio 2007. Il 10 dicembre 2006 stessa causa per la morte di un'altra paziente, Concetta Carboni. Prima della distribuzione in ospedale, l'acqua delle rete idrica viene accumulata "in vecchi cassoni di cemento-amianto nel sottotetto degli edifici", è scritto nella sentenza. I ricoverati ora bevono acqua in bottiglia. In questo modo è possibile aumentare la concentrazione di cloro nei tubi. Ed eliminare i batteri da docce e bagni. "Mi chiedo", dice il papà di Cristian, "quante persone, oltre a mio figlio, si potevano salvare. E quante siano le morti archiviate come complicazioni e invece dovute alla mancata disinfezione dell'acqua". Il processo sui casi di legionella prosegue con rito ordinario contro l'allora direttore sanitario e tre primari. Tra loro Claudio Modini, il capo del dipartimento emergenze sospeso in settimana con il coordinatore Giuliano Bertazzoni dopo la scoperta di una paziente legata nel pronto soccorso affollato.

La mancanza di posti letto liberi nei reparti non è dovuta soltanto ai tagli. C'è anche quanto ha scoperto un'inchiesta riservata condotta dall'Alto commissariato contro la corruzione. Inchiesta finita nel nulla dopo che nel 2008 Silvio Berlusconi ha sciolto l'Alto commissariato. "L'Espresso" ha potuto leggere alcuni verbali di quelle audizioni.

Alle 10.20 del 27 ottobre 2007 parla un anestesista del Policlinico: "I pazienti che ho trattato al di fuori delle mie mansioni non sono transitati tramite pronto soccorso, ma sono stati ricoverati in quanto pazienti di medici del dipartimento trattati in altre sedi, quali cliniche private... Sono a conoscenza della circostanza che i singoli medici quando sono nel servizio di guardia, indirizzano i propri pazienti al pronto soccorso ai fini del ricovero per un successivo intervento chirurgico (tagli cesarei)". Un ginecologo: "Effettivamente sono a conoscenza di episodi in cui non sono state rispettate le liste di attesa per le prenotazioni di ricoveri non urgenti. Tali episodi sono stati da me prontamente segnalati, peraltro senza riscontro". Un altro medico: "Sono a conoscenza diretta della circostanza che soggetti non strutturati hanno effettuato interventi chirurgici in sala operatoria... Sono a conoscenza che la scorsa settimana a causa della mancata disponibilità del letto destinato alle urgenze, in quanto occupato per intervento chirurgico oncologico di lunga durata, una paziente è stata sottoposta tardivamente a taglio cesareo con conseguente sofferenza fetale e quindi decesso del neonato".

Sullo sfondo, lo scontro di sempre. Ospedale e Università. Queste sono le parole dell'allora direttore generale, Montaguti: "Se noi continuiamo a pensare di dover gestire l'ospedale tenendo conto dell'impatto che esercita il potere accademico dell'Università sull'ospedale, non ce la caviamo più. Ogni barone, ogni professore universitario ritiene di essere al centro del mondo. Ma nella Sanità vige la regola assolutamente dimostrata dell'interdipendenza nell'organizzazione, della collegialità... La regola delle elezioni accademiche, dei rapporti di forza tra componenti di professori, rende tutto più difficile". Gennaio 2007. Febbraio 2012. Cinque anni buttati via.


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