Dopo gli ultimi attentati non ci sono dubbi: solo un coordinamento tra tutti i magistrati può combattere efficacemente chi spara o mette le bombe. Parla Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia

Un messaggio di piombo, che adesso attende risposta. "La gambizzazione del dirigente dell'Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, è un'azione tipica di un metodo terroristico già visto in passato. Quello di Genova è un segnale diretto a qualcuno. Un modo per manifestarsi, o indicare qualcosa che le indagini in corso devono ancora decifrare". Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso segue con attenzione gli sviluppi dell'attentato genovese della settimana scorsa. Il timore è chiaro: quell'aggressione potrebbe essere un test di fuoco, l'anticamera del tentativo di spingere la crisi del Paese verso qualcosa che assomigli al clima torbido degli anni Settanta. La disoccupazione dilagante, l'esistenza di fasce sociali che non si riconoscono più nei partiti e il crollo di credibilità di molte istituzioni costituiscono un terreno fertile per i disegni eversivi, come è accaduto dopo il 1968. Proprio dalla lezione di quel periodo, Grasso sostiene che le istituzioni devono dare una risposta coordinata: il modello è quello che si è rivelato vincente contro le cosche, creando una procura nazionale antiterrorismo. Per il procuratore è necessario riprendere il progetto "da tutti condiviso, ma mai attuato". Un "super pool" che faccia da raccordo con i pm delle 26 direzioni distrettuali che sul territorio si occupano di questo fenomeno. Il nuovo organismo potrebbe essere affiancato, o inglobato alla Direzione nazionale antimafia, che ha già una struttura radicata, un know-how ben collaudato, una banca dati centrale e collegamenti con autorità giudiziarie di tutto il mondo.

Procuratore Grasso, ci sono cose che ancora non quadrano nella dinamica di questo agguato.

"Un dato però è certo, il tipo di arma utilizzata, una pistola di fabbricazione russa. Una pistola, come è emerso in questi giorni, dello stesso tipo rinvenuto in Puglia non molto tempo fa, nell'ambito di un sequestro di armi riferibile alla Sacra Corona Unita".

Potrebbe dunque esserci un contatto fra gli esecutori dell'agguato e i clan mafiosi che sono inseriti in Liguria?
"In molte indagini il collegamento fra terrorismo e criminalità organizzata è emerso con frequenza. Ma si è trattato di terrorismo internazionale, in prevalenza quello islamico. Molti considerano distinti criminalità e terrorismo, ma sempre più spesso i clan usano tecniche di tipo terroristico per commettere attentati, e in alcune inchieste sono emersi legami tra organizzazioni terroristiche come l'Eta, i cartelli colombiani, la camorra e la malavita dell'Est europeo. E il terrorismo usa spesso tecniche delle cosche per finanziarsi. In questo caso di Genova la presenza di quella pistola potrebbe essere un'indicazione. Si potrebbe ipotizzare un passaggio di armi fra criminalità organizzata e terrorismo".

Le tematiche ambientali e la difesa del territorio sono l'elemento che ha aggregato il movimento No Tav, dove le indagini della magistratura hanno dimostrato l'esistenza di elementi pronti alla protesta violenta.
"Escludo il coinvolgimento dei No Tav. Non penso affatto che l'agguato al dirigente dell'Ansaldo possa essere opera di qualcuno dei No Tav. Sono due mondi completamente diversi".

I punti di incontro tra criminalità organizzata e terrorismo, passando per l'eversione sono sempre più evidenti nelle inchieste, ritiene che dovrebbero essere osservati in maniera diversa dalle procure?
"Penso che vanno considerati come un unicum. Per questo motivo ritengo che sarebbe opportuno, se non necessario, che nel nostro ordinamento fosse previsto un organismo nazionale unificato di indagine sul terrorismo così come avviene per la criminalità organizzata. Si potrebbe avviare una specifica sezione antiterrorismo nell'ambito della Direzione nazionale antimafia, per sfruttarne l'organizzazione e la struttura già esistente, che potrebbe essere formata da sei magistrati e un procuratore aggiunto a coordinarla".

Vorrebbe far nascere una super procura contro il terrorismo?

"Sì. È necessaria nel nostro Paese una procura nazionale anti- terrorismo. Certe indagini vanno collegate e non sempre i vari uffici giudiziari conoscono ciò che accade in un altro territorio che non è di loro competenza. E poi da circa sette anni questo nuovo organismo ce lo impone l'Unione europea".

Perché l'Europa ci impone una procura unica specializzata sull'antiterrorismo?
"Si tratta di una decisione del Consiglio europeo del 2005 sullo scambio di informazioni e la cooperazione in materia di reati terroristici. Secondo il Consiglio europeo, ciascuno Stato membro designa una o, qualora sia previsto dal proprio ordinamento giuridico, più autorità, quale corrispondente nazionale dell'Eurojust per le questioni legate al terrorismo, ovvero un'autorità giudiziaria o altra autorità competente che, nel rispetto delle legislazione nazionale, abbia accesso a tutte le informazioni pertinenti in merito ai procedimenti e alle condanne penali riguardanti reati di terrorismo e che riunisca queste informazioni inviandole all'Eurojust".

Come mai fino adesso questa direttiva è stata disattesa?

"Non è stata ratificata dall'Italia. Non conosco i motivi. Però per il nostro Paese è necessaria. Basta immaginare che ogni volta che in ambito internazionale deve essere convocata una riunione di coordinamento, quando bisogna invitare l'Italia ci si deve rivolgere a 26 procuratori, uno per ogni Direzione distrettuale. Nella decisione del Consiglio dell'Ue non può farsi a meno di notare come le indicazioni contenute nella direttiva che è stata impartita "disegnino" un organismo identico a quello che il legislatore italiano ha da tempo identificato nella Direzione nazionale antimafia in tema di criminalità organizzata".

L'ufficio che lei dirige ha già il compito di coordinare le indagini contro le mafie, sarebbe in grado di ad assumere un altro impegno così gravoso?
"Basterebbero sei magistrati. E poi, in ossequio allo spirito di servizio che ha sempre contraddistinto l'operato della Direzione nazionale antimafia, non può che manifestarsi la propria disponibilità all'eventuale attribuzione sul terrorismo, non solo internazionale, ma soprattutto quello interno".

È stato già difficile vent'anni fa far accettare a suoi vecchi colleghi la nascita della procura nazionale antimafia, non pensa che la sua proposta possa subire gli stessi problemi?
"Intanto voglio ricordare che è l'Europa che ce lo chiede. E poi, come ha dimostrato la Dna, questo nuovo organismo nazionale serve per contrastare il fenomeno e non per creare posti di potere"

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