Gli spettacoli dal vivo, considerati per anni l'unica salvezza dell'industria discografica, vanno bene solo se si esibiscono le rock star. E tutti gli altri si stanno inventando nuove formule per attirare il pubblico

Solo i concerti possono salvare l'industria della musica da download pirata ed mp3 a pochi centesimi. Per anni questo mantra è stato ripetuto fino all'ossessione, ma in tempi di crisi anche il mondo del "live"deve rivedere il suo modello. Se l’attività concertistica è infatti quella che risente meno il problema rispetto ad altri consumi nello spettacolo, lo deve soprattutto ai "big", che salvano il botteghino un po’ per tutti. Il discorso è però diverso per le fasce medie di artisti ai quali, così come ai festival, tocca reinventarsi per risultare attrattivi e salvare, stavolta sul serio, la baracca.

"Effettivamente il settore non va bene, si vive alla giornata", ammette Andrea Polonio di Greenticket, servizio di biglietteria elettronica. Parla dal Brasile: "Siamo stati costretti a venire qui, perché c’è un mercato attivissimo e la nostra tecnologia è molto apprezzata e innovativa rispetto a quella locale". In Italia il mercato "facendo delle stime, cala annualmente del 20 per cento. E’ dura, specie per chi non può aggiudicarsi le esclusive" dice.

La musica non è uguale per tutti Pronta la replica di Claudio Trotta: "Il live ha sempre vissuto di alti e bassi nella sua storia, ed è anche ovvio che stiamo vivendo un momento particolare, ma non credo affatto che la musica dal vivo sia in crisi" ribatte il fondatore di Barley Arts, uno dei più grandi organizzatori di eventi dal vivo in Italia, sciorinando i 120mila e rotti biglietti del Boss Bruce Springsteen per le prossime tre date italiane, il tour della McKennitt sold out e gli Lmfao da oltre 5mila presenze.

I big, appunto. E gli altri? "Il pubblico fa un scelta a monte", aggiunge Alessandro Bellucci, presidente di Assomusica, "avendo meno soldi preferisce spendere 150 euro per andare a vedere Madonna, piuttosto che spenderne 30 per andare a vedere qualcun altro: c’è un problema di collocazione della fascia media di artisti, ma i nostri dati segnalano un più 49% di fatturato nei primi tre mesi del 2012".

Anche gli ultimi dati completi disponibili del settore, elaborati dall’Osservatorio Siae (che risalgono però al primo semestre 2011) mostrano l’attività concertistica in buona salute, eccezion fatta per il jazz, che porta sempre segno negativo. Ma non è tutto oro quello che luccica.

Se i volumi ormai li sostengono i grandi nomi, l’effetto traino funziona anche a livello geografico: esistono le città "blockbuster" (Milano, Roma, Verona, Firenze), e il grande bacino del Nordest.

Per il Sud, continua Bellucci, il discorso cambia: "Tornando agli artisti di fascia media, negli ultimi vent’anni è stata regalata loro la possibilità di vivere bene grazie a produzioni che da Roma in giù si portavano in giro in forma gratuita per le persone, grazie all’intervento di Stato, Regioni, comunità montane. Ora questo tipo di mercato è contratto, in questo caso davvero per la crisi, la situazione è molto differente".

E se l’intervento pubblico ormai è una chimera, secondo Bellucci qualche volta è persino ottenuto con mezzi poco ortodossi: "Va ben distinto chi ha quel genere di sostegno, da chi non ce l’ha: in Italia ci sono festival che si dicono "jazz" tanto per avere i soldi, e poi portano sul palco artisti pop, aggiudicandosi persino l’esclusiva".

Musicisti inflazionati. Il meccanismo virtuoso che vedeva il tour come mezzo di promozione del disco, si è interrotto. O meglio, si è ribaltato: gli album non vendono, e allora si va in tour per farli conoscere. Il risultato è che l’artista che prima faceva una data ogni due anni, ne fa due in un anno, a dir poco. Le prevendite ne risentono, magari la location scelta paga previsioni ottimistiche del promoter, ed ecco che il concerto salta. Sulla carta per "ragioni di salute dell’artista", ma nella realtà le ragioni di salute riguardavano il botteghino. Perché non tutti hanno per le mani Metallica e Radiohead (gli unici che in Italia più che vendere biglietti, li hanno fatti polverizzare in 24 ore).

"I più piccoli risentono del ridimensionamento dei volumi d’affari", spiega Yuri Ferioli, ceo di Celebrities Branding, "Ormai c’è una selezione del pubblico, così come quella, naturale, del prezzo del cachet. Le persone non spendono 20 euro per andare a vedere uno al suo disco d’esordio: devi averne fatti almeno 4 o 5, e possibilmente con qualche hit". Lui, che promuove le date di artisti non mainstream, sa che il live fine a se stesso non basta più: "Ormai al cliente bisogna vendere un prodotto completo, quindi non solo l’artista, ma tutta un’organizzazione fatta di pre e post concerto, e al pubblico un evento partecipativo, un coinvolgimento".

Sul fatto che si debba riportare gli artisti con i piedi per terra concorda anche Claudio Trotta: "Devono essere partner dei produttori, condividere con chi produce le scelte, e rendersi conto della realtà smettendo di cercare forme di concerto desuete. Al pubblico va offerto un pacchetto: per ‘i 10 Giorni Suonati’ di Vigevano, vista la posizione, ci saranno treni speciali all’una di notte per Milano, mentre per le date di Madonna e Springsteen lavoriamo ad un accordo con Atm per prezzi ridotti e logistica dei trasporti. E abbiamo pensato ad un’offerta enogastronomia di qualità, che non sia il solito panino imbottito".

Cosa inventarsi. Traendo le somme, che qualcosa si sia inceppato nel "meccanismo-concerto", lo si vede anche dal bisogno di trovare nuove idee. Offrire di più, appunto, in termini economici, di logistica, oppure creativi. Stefano Pesca, per esempio, è uno che si è inventato le performance verticali. "Due anni fa per uscire dagli schemi ed affrontare questa crisi di denaro e di novità, sono partito per il Belgio con in tasca la mia idea, che mi ha permesso di sopravvivere. Perché è vero che i big fanno molto botteghino, ma è anche vero che poi i dati non riflettono l’esatta realtà". La sua trovata è, appunto, il vertical stage, che già ha fatto 15mila presenze sia a Torino nel 2010 che a Milano nel 2011.

"L’idea è quella di abbattere le barriere, ma soprattutto dialogare con il territorio e rendere il pubblico parte attiva dell’evento, con un modo un po’ diverso di fruire il live. A Napoli il 18 maggio c’è il Red Bull Double Trouble, che fa sfidare Motel Connection e 99 Posse su due terrazze del Palazzo delle Arti: un esempio in cui la città ha risposto bene, aiutandoci anche nella pratica nella realizzazione dell’evento".

Altri metodi anticrisi arrivano dalla Toscana. Arezzo Wave, che torna in terra natia proprio quest’estate con una formula low cost: se si arriva entro le 20, l’ingresso a tutti i live per l’intera durata della manifestazione (12-15 luglio) sarà di 20 euro totali. "Io non ho la bacchetta magica, ma in un momento del genere bisognerà pur dare un segnale", dice il patron Mauro Valenti, "Questa non è una crisi dovuta alla tecnologia, non si parla più di auto che sostituiscono le biciclette: i live sono ormai voci che fanno parte delle spese di una famiglia, e che vengono tagliate".

Rimanendo in regione spunti nuovi anche da Pistoia, dove il festival underground Puf! (8-23 settembre), prova una formula coraggiosa e che per ora ha riscosso una timida accoglienza nel pubblico: il crowdfunding. L’intento, spiega l’organizzatore Vincenzo Caruso nasce dal "desiderio di emanciparsi da un sostegno economico che deriva dalle istituzioni o da enti pubblici, per dare vita ad un primo movimento di industria culturale virtuosa, che si possa autofinanziare e sostenere in maniera indipendente". Al fianco di questo, il festival propone anche al suo pubblico di "scegliersi" gli artisti musicali ospiti, rendendo il programma "componibile" e "portando alla luce il processo di costruzione stesso del festival, di solito appannaggio esclusivo del direttore artistico".

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