Sono trascorsi vent'anni da quel 19 luglio. Talvolta penso: già vent'anni. Come se fossero passati in fretta, tra testimonianze nelle scuole, volontariato, impegno civile e politico. Ma più spesso, guardando i ragazzi delle scuole che ascoltano con attenzione, mi rendo conto che questo tempo è più del tempo della loro vita e che ciò che ascoltano è terribilmente attuale.
Ho incontrato qualche tempo fa un bel ragazzo alto, con il viso sereno e lo sguardo profondo. Indossava la divisa della Guardia di finanza. Si chiama Antonio Emanuele Schifani. Sì il figlio di Vito e di Rosaria. Nel '92 aveva pochi mesi e lo avevo tenuto in braccio. Non ha mai conosciuto il suo papà. La sua vita è segnata da quell'assenza.
L'assenza: è quella che pesa di più... Nel '92 Paolo aveva 52 anni, io 47. Forse per me il momento più complicato di questi 20 anni è stato quando, compiendo io 52 anni, mi sono ritrovata a essere "grande". Paolo era fermo lì ed io dovevo continuare a crescere. E quante volte mi sono soffermata a pensare a ciò che comportava quel continuare a crescere. Sono diventata nonna di 5 splendide bambine che oggi hanno dai 6 mesi a 14 anni. Rappresentano la parte più bella della mia vita. A Paolo, insieme alla vita, è stata tolta anche questa gioia. E ai suoi nipoti è stato rubato un nonno straordinario... E tutto questo perché? Perché Paolo ci è stato tolto? Quando ho cominciato, già a settembre del '92, a parlare ai ragazzi, nelle scuole o altrove, la mia era soprattutto una testimonianza su ciò che era accaduto. Le circostanze, i tempi, i fatti. Come reagire, come fare in modo che tutto ciò che era accaduto potesse aiutare a costruire un futuro diverso... Sembrava che tutto ciò fosse a portata di mano. La società s'impegnava, le istituzioni sembrava cercassero le soluzioni utili a cambiare il corso delle cose. Mai più mafia e mafiosi avrebbero avuto vita facile.
La ricerca della verità sembrava promettere soluzioni rapide e credibili... Ma il troppo entusiasmo non è sempre utile. Talvolta trae in inganno, porta a prestare attenzione ai particolari più appariscenti e non ad una visione di insieme più critica, più obiettiva. Chi ha approfittato di questo? Chi ha trasformato i collaboratori di giustizia in "pentiti" poco credibili dal punto di vista del senso comune dell'etica? Chi ha cominciato a demonizzare la magistratura, creando un senso di diffidenza generalizzato sul loro ruolo e sulle loro scelte? E mentre il dibattito si allargava e si politicizzava e le idee dell'opinione pubblica si confondevano, c'era chi, con grande abilità, si affrettava a svolgere un ruolo parallelo e perverso: la manipolazione della verità... Si è costruita una verità non vera per una giustizia non giusta. E quando si è costretti ad aggiungere aggettivi alle parole verità e giustizia, vuol dire che c'è qualcosa che non funziona...
Cosa sa la classe politica, e non solo quella di vent'anni fa (anche perché troppo spesso coincide con quella di oggi) di patti inconfessabili e di trattative? Quali vite si sono volute risparmiare in nome di una inconfessabile ragion di Stato, sacrificando chi per la propria rettitudine e coerenza si sapeva di non potere comprare? In una società che ritiene che tutto si possa comprare e vendere, non c'è posto per i Paolo Borsellino. Eppure i nostri giovani e quella parte ancora sana della nostra società guarda ai pochi esempi credibili come punti di riferimento irrinunciabili... L'Italia ha bisogno di conoscere il suo passato e di elaborare il suo presente per potere costruire il suo futuro. Ha bisogno di verità, di coraggio, di assunzione di responsabilità. E questo riguarda tutti, ognuno di noi. Paolo diceva: «Ognuno deve fare la sua parte: ognuno nel suo piccolo, ognuno per quello che può, ognuno per quello che sa». Non ci sono alibi per nessuno. Ognuno si faccia strumento di verità se veramente vogliamo giustizia.