Nell''incontro tra il premier e il segretario di Stato Usa, l'argomento dello spionaggio Usa è stato affrontato, e il risultato è nella formula diplomatica: 'Bisogna bilanciare sicurezza e privacy. L'unico chiarimento del governo sarà fornito solo a un comitato parlamentare in un incontro a porte chiuse

Nessun commento ufficiale sul caso Datagate, solo le informazioni trapelate da 'fonti governative'. È questo il risultato dell'incontro tra presidente del Consiglio, Enrico Letta, e il segretario di Stato americano John Kerry, giunto in realtà a Roma non per discutere di spionaggio ma per incontrare il premier israeliano Netanyahu sulla ripresa del processo di pace in Medio Oriente.
 
Il tema delle operazioni della National Security Agency statunitense nel nostro Paese era troppo caldo per non essere affrontato. Non c'è solo solo le operazioni di spionaggio nei confronti della nostra ambasciata a Washington; non ci sono solo gli accordi con i gemelli britannici del GCHQ (General Communications Headquarters) e l'intercettazione dei dati anche italiani che transitano nelle dorsali sottomarine di Internet, rivelati dall'Espresso. Anche mail, sms e telefonate tra il nostro Paese e gli Stati Uniti «sono oggetto di un programma di sorveglianza elettronica del governo USA regolato esclusivamente dalle leggi federali», come ha affermato il deputato Sel e membro del Copasir Claudio Fava dopo incontri diretti con i vertici dell'intelligence americana.

Affermazioni che avevano suscitato le richieste di chiarimenti da parte del Garante della Privacy, Antonello Soro («indispensabile che il governo accerti se la raccolta, l'utilizzo e la conservazione di informazioni relative alle comunicazioni telefoniche e telematiche abbia coinvolto anche i cittadini italiani»), di diverse forze politiche (dal Pd al M5S) e costretto il presidente del Senato, Pietro Grasso, a ribadire che «sul nostro territorio abbiamo una legge che va rispettata e che continueremo a far rispettare».

A parlare per il governo italiano è stato solo il ministro dell'Interno e vicepremier, Angelino Alfano. Con una generica dichiarazione di intenti: «Dobbiamo acquisire tutta la verità e dire tutta la verità ai cittadini senza guardare in faccia nessuno». Per Alfano, è un «dovere di chiarezza, in primo luogo nei confronti dei cittadini italiani». Di cui tuttavia non c'è stata traccia durante tutti e cinque i mesi della bufera sull'NSA.

E infatti, nonostante le nuove rivelazioni, il presidente del Consiglio non intende esprimersi ufficialmente sull'argomento: «nessuna dichiarazione», la risposta di Palazzo Chigi ai tentativi del cronista di ottenere una qualsivoglia reazione del capo dell'esecutivo. «No comment» ufficiale anche dal segretario di Stato USA, John Kerry, incontrato da Letta a Roma in mattinata in un colloquio di un'ora.

Non resta che affidarsi alle fonti governative che riferiscono che Letta gli abbia posto la «necessità di verificare la veridicità delle indiscrezioni» su eventuali «violazioni della privacy» dei cittadini italiani. E a quelle dell'ambasciata USA, che riferiscono che Kerry abbia stabilito il proprio obiettivo nel «trovare il giusto equilibrio tra la protezione della sicurezza e la privacy dei nostri cittadini».

E dire che nelle ore precedenti il suo consigliere diplomatico, Armando Varricchio, diceva all'Espresso che il presidente del Consiglio non avrebbe inteso sollevare l'argomento durante l'incontro. «Non è lui l'interlocutore, sono questioni gestite dalla comunità dell'intelligence», diceva all'Espresso. Peccato che il ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, abbia chiesto lumi sulle operazioni dell'NSA in Francia rivelate da Le Monde proprio a Kerry.

In un'audizione del Copasir tenutasi nel pomeriggio, il sottosegretario Marco Minniti, da quanto si apprende, avrebbe negato che i servizi italiani fossero a conoscenza di un possibile «Datagate» in Italia, e aggiunto: «Non c'è nessuna evidenza che il caso francese possa essere avvenuto anche in Italia».

Parole in aperto contrasto con quelle di Fava che il senatore democratico e segretario del Copasir, Felice Casson, conferma: «Minniti ha escluso che quanto avvenuto in Francia sia avvenuto in Italia. Sostiene che sono state fatte delle verifiche e da queste non risulta. Ma è una responsabilità che si prende il sottosegretario». Casson invita ad approfondire, senza lasciare che la questione finisca nel dimenticatoio, «perché se come è logico pensare quello che è successo in Francia è successo anche in altri Paesi, non si capisce perché l'Italia dovrebbe essere rimasta fuori». All'audizione, dice ancora, non si è parlato del coinvolgimento dell'intelligence britannica.

Quanto alla debolezza della risposta del governo italiano, il senatore Pd sostiene che «la forza che l'Italia oggettivamente non ha può essere acquisita complessivamente in ambito europeo: per avere informazioni complete e alzare la voce quando serve». Proprio in queste ore il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione non vincolante per chiedere lo stop agli accordi con gli Stati Uniti sul trasferimento dei dati nel network interbancario SWIFT, oggetto delle attenzioni dell'NSA. Richiesta immediatamente rispedita al mittente dalla Commissione.

Anche Minniti in precedenza non aveva voluto rilasciare dichiarazioni né interviste «per il ruolo delicato che ricopre», come affferma il suo portavoce.

Il risultato è che le richieste di chiarimenti si moltiplicano, ma l'unica presa di posizione dettagliata e nel merito del governo sarà fornita non al pubblico ma a un comitato parlamentare in un incontro a porte chiuse. La ripetizione di un rituale che lo scorso luglio ha visto il presidente del comitato parlamentare, il leghista Giacomo Stucchi, e il suo segretario Felice Casson riportare proprio al nostro settimanale due versioni discordanti e addirittura opposte di quanto riferito.

Nei mesi precedenti la rivelazione di Fava, agli atti risulta dunque una generica attestazione di fiducia di Letta nelle rassicurazioni di Barack Obama (che al contrario non hanno convinto affatto né i suoi colleghi brasiliani e tedeschi, né la stampa internazionale) e il diniego di un coinvolgimento dell'Italia (altrettanto generico) del ministro degli Esteri, Emma Bonino. Con una precisazione: «Più di tanto, è evidente che io non vi posso dire».

Nel frattempo, l'ex direttore dell'ufficio italiano della Cia ha rincarato la dose: se davvero l'NSA fa quanto spiegano i documenti forniti da Edward Snowden, «non credo che Roma, e persino Washington, possano essere state risparmiate».

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