La legge è pessima, e non offre alcuno strumento per fronteggiare le emergenze umanitarie. Ma modificarla o abrogarla non serve a controllare il flusso migratorio né a evitare le tragedie. Ecco quali potrebbero essere gli strumenti per farlo. I loro benefici, e i loro costi

La Bossi Fini è una legge pessima. Ma anche partendo da questa certezza, le sue storture e mancanze sono solo parzialmente responsabili della strage di Lampedusa. Se una barca con cinquecento persone a bordo ha potuto attraversare il Mediterraneo mentre qualcuno girava gli occhi dall’altra parte; se ha preso fuoco a meno di un chilometro dalla riva e i naufraghi hanno dovuto aspettare in acqua per ore i soccorsi; se adesso sull'isola ci sono trecento bare allineate l’una accanto all’altra, le responsabilità vanno al di là della legge.

La norma del 2002 non si occupa di chi chiede asilo politico o una protezione umanitaria, mentre tutti gli occupanti di quel piccolo e sgangherato naviglio erano per definizione, in quanto eritrei, in questa condizione. La Bossi-Fini è incentrata sui cosiddetti “migranti economici”. Ed è una brutta legge perché pretende che chi entra per la prima volta per lavoro in Italia lo faccia già con il contratto in tasca. Cosa impossibile, perché nessuno ti prende a scatola chiusa. E così viene avallata la finzione di un primo periodo di irregolarità, per farsi vedere all’opera dal datore di lavoro, impresa o famiglia che sia, con successivo rientro clandestino in patria per ritirare le carte e ritorno finale in piena regola.

E' pessima, la Bossi-Fini, perché è ispirata da un desiderio ossessivo di immigrazione corta (“vieni, lavori e te ne vai senza mettere radici”): i contratti a tempo determinato non possono durare più di un anno, quelli a tempo indeterminato al massimo due anni e poi vanno rinnovati, ingolfando di pratiche gli uffici della Questura (anche la legge Turco-Napolitano del ’98 aveva questa scadenza massima, ma almeno contemplava una durata quadriennale al secondo rinnovo). Rende più difficili i ricongiungimenti familiari e sancisce l'obbligo di accompagnamento per tutte le espulsioni: altra prescrizione impossibile da realizzare e infatti irrealizzata.

Poi c'è la parte della legge che ha a che fare con il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, quella di cui molto si dibatte in questi giorni.

I pescatori che avvistino una barca di migranti sono 'spinti' a tirare dritto per timore di incorrere nel reato. Ma, spiega Sergio Briguglio, uno dei massimi esperti di immigrazione italiana, con una banca-dati ricca di ben 40 mila documenti, si tratta di una fattispecie che non ha a che fare con la legge. “Se uno dà l’allarme, avvisa ufficialmente la guardia costiera invitandola a recarsi sul posto, e va a prestare i primi soccorsi, nessun magistrato, per sprovveduto che sia, potrebbe accusarlo di favoreggiamento e sequestrargli il peschereccio”.

Mentre resta il tema del reato di immigrazione clandestina, approvato nel 2009. In quel caso, la pena è “una contravvenzione, da 5 mila a 10 mila euro, che ovviamente il migrante non ha. Uno stratagemma ridicolo inventato da Roberto Maroni, allora ministro degli Interni, per eludere la Direttiva europea sui rimpatri, ma che non mi risulta abbia dato frutti. Oltretutto uno che fa domanda di asilo, fino alla risposta, se ne può smarcare”.

E allora come si potranno evitare, in futuro tragedie come quella di Lampedusa? La domanda è per Christopher Hein, fondatore e direttore del Cir, il Consiglio europeo dei rifugiati. “Dico subito che creare una task-force, come si è appena deciso a Lussemburgo, rafforzando la sorveglianza sul mare, va bene per salvare altre vite umane – risponde, ricordando che dal 1988 ad oggi si stimano 20 mila vittime dei barconi nel Mediterraneo – Ma non basta. Bisogna impedire che questi viaggi della morte abbiano inizio”.

E come? “Primo: dando la possibilità a chi fugge dalla guerra e dalle persecuzioni di fare domanda di asilo o protezione internazionale nelle ambasciate europee del paese in cui vive, o nel paese di transito, si chiami Libia, Tunisia o un altro ancora”.

C’è però chi obietta che, estendendo la norma dai perseguitati politici, che sono un numero più ristretto, a tutti coloro che chiedono permessi umanitari, si formerebbero file interminabili davanti ad ambasciate, come la nostra, che oltretutto hanno personale ridotto. Hein è più ottimista: “La Svizzera adottò questa soluzione, senza traumi, in Pakistan: solo un giorno a Islamabad si formarono code all’ambasciata. E poi dobbiamo accendere la speranza di poter partire con i propri documenti in regola, in nave o in aereo, e senza sborsare 2 o 3 mila euro a un trafficante”.

L’Italia e l’Europa, che hanno forti interessi in Nord Africa, dovrebbero poi secondo Hein esercitare tutta la pressione possibile per stroncare la corruzione dei militari, le azioni dei trafficanti e i maltrattamenti che i profughi ricevono nei paesi di transito, ad esempio in Libia, e indurre questi governi ad aderire alla Convenzione di Ginevra: “Non è possibile che una donna eritrea in Libia sia continuamente a rischio di violenza sessuale”.

Infine, suggerisce Hein, “ci vuole una nuova Direttiva europea che riduca il periodo di cinque anni che i rifugiati e i migranti economici regolari sono costretti a trascorrere in un paese, prima di trasferirsi in un altro paese dell’Unione. Poiché è stato appena confermato per la terza volta l’assurdo Regolamento di Dublino che impone al migrante di fare domanda di asilo nel primo paese d’arrivo, e lì restare, la limitazione del periodo obbligatorio in quel paese attenuerebbe questa norma”. Questo, ovviamente, senza dimenticare che è necessario “aumentare la sorveglianza in mare, modificando le norme del sistema Frontex e prevedendo espressamente che debba servire anche per prestare soccorso, e non solo per il contrasto dell’immigrazione clandestina”.

Sergio Briguglio è più pessimista. “E’ stato calcolato che l’accoglienza di 23 mila profughi dell’Emergenza Nord Africa sia costata all’Italia 1,4 miliardi di euro. Se volessimo accogliere 100 mila fuoriusciti dalla Siria, a un costo di mille euro al mese ciascuno, sarebbe un altro miliardo e 200 milioni. Vogliamo essere più generosi? D’accordissimo. Ma coscienti che la generosità ha un costo e che qui siamo sull’ordine del gettito dell’Imu, per la cui abolizione tanto si è discusso e si discute”.

Insomma, l'emergenza non si risolve con i proclami e le strumentalizzazioni, a cui poi regolarmente non segue l’impegno politico. Si studino tecnicamente i problemi, approntando le modifiche che servono. Seriamente e con i piedi per terra.