Inchiesta

Navi dei rifiuti, cosa viene a galla

di Riccardo Bocca   11 febbraio 2013

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Dopo anni di depistaggi, la verità sta emergendo: la 'Rosso', arenatasi in Calabria nel '90, aveva a bordo 'ordigni penetratori' in grado di affondare in mare spazzatura tossica e proibita

Per oltre vent'anni l'armatore Ignazio Messina ha negato che la motonave Rosso, arenatasi il 14 dicembre 1990 sulle coste calabresi, trasportasse siluri-penetratori per sparare rifiuti tossico-radioattivi dentro ai fondali marini. Nessuno ha mai trovato la prova che l'imbarcazione nascondesse questo segreto e i magistrati hanno chiuso il caso. Senonché adesso spunta un documento choc del 22 maggio 2003.

Quattordici pagine dove l'allora sostituto procuratore generale di Reggio Calabria, Francesco Neri, propone di assegnare la medaglia d'oro al merito di Marina al capitano di corvetta Natale De Grazia: suo collaboratore chiave nell'inchiesta sulle navi dei veleni, morto in circostanze sospette la notte del 12 dicembre 1995. Ed elencando ciò che l'ufficiale aveva scoperto riguardo alla vicenda Rosso, il magistrato scrive: «De Grazia, mediante l'escussione testimoniale del comandante Bellantone della Capitaneria di porto di Vibo Valentia, accertava personalmente che a bordo della nave che si era spiaggiata, vi erano i cosiddetti "penetratori", indicati dai marinai come "munizioni"». Non solo. Stando a quanto riferisce Neri sulle indagini di De Grazia, «i documenti di carico erano falsificati».

Il che si somma al fatto che «lo stesso Bellantone aveva lanciato l'allarme radioattivo ai vigili del fuoco, i quali intervennero regolarmente sui luoghi, senza però stranamente certificare nulla».

Dopodiché, citando le parole di Neri, sarebbe emerso che il comandante Bellantone «sapeva che a bordo della nave vi era un carico "pericoloso", perché a suo dire era stato già allertato dal comando della Marina militare». E se tutto questo fosse ancora poco, per sollevare qualche dubbio sull'andamento dei fatti, va aggiunto che a bordo della nave, «proprio sulla plancia di comando, Bellantone aveva sequestrato le identiche mappe di affondamento» della O.d.m. (Oceanic disposal management), azienda che aveva proposto a decine di nazioni di seppellire in mare le scorie tossico-nocive.

Un quadro sconcertante, nell'insieme. Anche perché Neri, ricostruendo i giorni successivi allo spiaggiamento della Rosso, racconta che l'imbarcazione fu smantellata dall'armatore dopo che l'azienda olandese Smit Tak (specializzata nel recupero marino di rifiuti tossici e radioattivi) «aveva lavorato con la completa "sorveglianza" del sito, reso inaccessibile da parte di un servizio segreto non meglio identificato».

Tutto normale? Tutto da interpretare come una banale prassi operativa? Le domande, in queste ultime settimane, stanno tornando a farsi dense attorno al capitolo delle navi dei veleni. Sia per l'ipotesi lanciata da Neri che sulla Rosso ci fossero i famosi missili-penetratori, sia perché il settimanale "Corriere della Calabria" ha pubblicato alcuni passaggi dell'audizione di Emilio Osso davanti alla Commissione parlamentare ecomafie. Sede in cui questo istruttore di polizia municipale, al fianco della Procura di Paola nelle inchieste ambientali, ha definito quello che la Rosso trasportava il 14 dicembre 1990 «difforme» dal piano di carico ufficiale. «Inoltre», riferisce Osso a "l'Espresso", «tre container non sono più stati rinvenuti». Dettagli impossibili da sottovalutare, a questo punto. Schegge di un mistero che pochi vogliono risolvere.