Chi pensasse di trovare nel Centro per l'Impiego di Roma file agli sportelli, gente che sbraita per la lentezza degli addetti o disoccupati che in silenzio meditano sul lavoro perduto, si sbaglia di grosso. Invece, nel salone immenso del Cpi regna una calma piatta e si aggirano pochissimi utenti. Son molti di più gli addetti dietro gli sportelli.
Eppure con la crisi e la disoccupazione in aumento questi luoghi dovrebbero essere stracolmi. «Mi sono iscritto subito dopo aver finito l'università, mi sono laureato in Economia e Commercio con il massimo dei voti, ma non ho ricevuto mai una sola chiamata dal Centro. Oggi sono passato per rinnovare lo stato di disoccupazione» ci dice un ragazzo all'uscita dell'ufficio.
Sembra che le cose stiano proprio così. Nati nel 1997 dagli ex uffici di collocamento, i centri per l'Impiego vennero decentrati alla Regioni, le quali attribuirono le funzioni alle Province. Fino ad oggi, però, i risultati di questa riforma, sembra siano veramente pessimi. Infatti, stando ai dati elaborati da Eurostat «solo il 3,7% degli occupati nell'ultimo anno ha dichiarato di aver trovato lavoro tramite l'ausilio dei Cpi». Se consideriamo che all'interno di questo dato la stragrande maggioranza siano lavoratori disabili o di altre categorie svantaggiate (che per legge devono essere reperiti attraverso queste strutture) possiamo affermare che in Italia i Centri per l'impiego trovano lavoro, solo a chi ci lavora come dipendente.
«In Italia il numero degli addetti nei centri per l'Impiego è di circa 10.000 unità per un costo complessivo annuo di 800 miliardi di euro» ci dice Francesco Giubileo, ricercatore presso l'Università di Bologna. E' vero che « in altri pesi europei il numero degli addetti è molto più alto, ma in quei paesi, come ad esempio l'Olanda, la capacità dei Centri di collocare i lavoratori è molto più alta. In Italia, per come sono concepiti, anche aumentando gli addetti, il risultato sarebbe pessimo» sempre Giubileo.
I Centri dovrebbero «favorire il rientro nel mondo del lavoro dei disoccupati, attraverso politiche attive. Dovrebbero potenziare l'occupabilità» pone l'accento, la ricercatrice Isfol, Mafalda D'Onofrio. Il problema è che ora la maggior parte del loro impegno è rivolto all'attività amministrativa, come ad esempio, l'attestazione dello stato di disoccupazione e non a tutte quelle attività che potrebbero aumentare la loro produttività, se calcolata in termini di collocamento. Una delle criticità è che i Centri sono deboli proprio su questo versante, non riescono a proporsi alle aziende come erogatori di lavoro. La domanda di lavoro qualificato avviene fuori dai Centri per l'impiego, a questi rimangono da gestire, nella maggior parte dei casi, lavoratori svantaggiati o di lunga durata, categorie queste, difficili da collocare. In altri paesi europei si cerca di favorire politiche che spronino le aziende e le agenzie interinali private ad assumere proprio queste categorie svantaggiate di lavoratori. « Alle agenzie private, attraverso una valutazione del lavoratore, è corrisposto un compenso se questo trova lavoro. Questa è una strategia che in Olanda sta dando ottimi risultati» ci tiene a sottolineare Francesco Giubileo.
In sostanza, in Italia sembra che l'attenzione del pubblico sia concentrata sulle pratiche amministrative e sulla formazione. Non sarebbe meglio a questo punto impiegare tutte le risorse economiche spesi nei Cpi, per diminuire il costo del lavoro di questi lavoratori e favorire il loro reinserimento nel mondo del lavoro. Molti la pensano così, ma sembrano essere la minoranza, dove si prendono le decisioni che contano.
L'ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ritiene che « l'errore sia stato dare le funzioni alle Provincie, il regionalismo non ha funzionato». Bisognerebbe, a suo dire, ripensare il coordinamento tra lo Stato e le Regioni in materia. L'ex ministro è favorevole «a una leale concorrenza tra gli operatori pubblici e privati», ma ribadisce la necessità «di mantenere a livello centrale la funzione di controllo».
Anche nelle file del Pd la pensano così. Il Prof. Tiziano Treu, anche lui ex ministro del Lavoro, convinto che «i Centri per l'impiego possano lavorare bene anche se pubblici. Guardiamo le realtà del nord, ad esempio. Le norme le abbiamo scritte, ma vanno applicate bene a tutti i livelli territoriali».
Sembra che tra gli schieramenti politici ci sia una certa condivisione sulle linee d'intervento che andrebbero intraprese. La prima cosa su cui concordano è che i Cpi non vanno chiusi, la seconda è che si vedrà. Chissà quando.