In un biennio la produzione di spazzatura nel nostro paese si è contratta del 7 per cento. Un dato tutt'altro che positivo. Perché la riduzione non è il frutto di politiche virtuose ma del fatto che siamo un po' più poveri e consumiamo meno. I dati dell'Ispra
Due milioni e mezzo di tonnellate in meno. La crisi economica incide anche sulla produzione di rifiuti. L'equazione è semplice: si acquista di meno, si consuma meno e il secchio della spazzatura si riempie più lentamente. Secondo il rapporto rifiuti Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) appena presentato a Roma, solo nel biennio 2010-2012 in Italia sono state prodotte 2,5 milioni di tonnellate in meno di rifiuti. Una contrazione del 7,7%.
Dopo anni passati a leggere statistiche e proiezioni economiche con il segno meno, quello diffuso da Ispra è almeno un dato che si potrebbe classificare come positivo. Dato che, però, non può essere ascritto tra i successi delle politiche italiane in materia ambientale visto che è direttamente legato alla caduta del Pil, come conferma lo stesso ente di ricerca. Dal calo della produzione di rifiuti discende un altro dato positivo: l'immondizia portata nelle 186 discariche italiane è scesa del 12% per due anni consecutivi.
L'Italia resta però ancora molto indietro rispetto agli obiettivi europei che fissano (anzi, fissavano) al 50% la quota nazionale di raccolta differenziata entro il 2009 e al 60% entro il 2011. Al 2012 il nostro paese è arrivato al 39,9% di rifiuti urbani differenziati. Siamo venti punti percentuali sotto alla soglia stabilita a Bruxelles e abbiamo già accumulato un anno di ritardo. Ma una delle novità più preoccupanti del rapporto rifiuti è che dopo anni di progressione la raccolta differenziata sta rallentando il ritmo di crescita. Se tra il 2008 e il 2009 i rifiuti dirottati dalla discarica erano cresciuti di 850.000 tonnellate, dal 2011 al 2012 l'aumento è stato di 117.000 tonnellate. Spiccioli.
Al 2012 (ma si tratta di dati preliminari) solo Veneto e Trentino Alto Adige hanno centrato l'obiettivo europeo con oltre il 62% di raccolta differenziata. Per il resto ci sono alcuni esempi positivi (come Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia che raggiungono e superano il 50%), i notevoli passi avanti di Sardegna, Abruzzo e Campania, che in un anno ha aumentato la quota di 5 punti percentuali, grazie soprattutto alle virtuose province di Salerno e Benevento e i passi da gigante delle province di Napoli e Caserta.
Poi ci sono i disastri. Regioni che, nella cattiva gestione dei rifiuti non fanno quasi più notizia. Sono il Lazio (22%), la Puglia e il Molise (18%), ma soprattutto Sicilia e Calabria che non raggiungono neanche il 15%.
Tra le città con più di 200.000 abitanti il rapporto boccia Roma, Napoli (che a livello comunale è ferma al 18% di differenziata), Bari (che nel 2011 rispetto al 2010 è riuscita anche a peggiorare la sua performance) e Taranto. Malissimo Palermo, Messina e Catania che, però, qualche segno di risveglio lo stanno mostrando.
Il rapporto Ispra affronta anche un tema di cui l'opinione pubblica discute molto poco: quali e quanti rifiuti esportiamo? Nel 2011 si sono messe in viaggio verso l'estero poco più di 300.000 tonnellate di immondizia. Poco o nulla rispetto ai 161 milioni di tonnellate prodotti nello stivale. La maggior parte della munnezza da esportazione è composta da imballaggi di plastica che finiscono in Cina. Mentre Germania, Francia, Spagna e Belgio si accollano alcune tonnellate di rifiuti pericolosi made in Italy.
Esportiamo imballaggi e importiamo soprattutto rifiuti di legno provenienti dalla raccolta differenziata francese. Delle 260.000 tonnellate che compriamo, 190.000 vengono dai nostri cugini d'Oltralpe, seguiti a grande distanza dagli Svizzeri con 40.000. Ma a cosa serve tutto questo legno? A rifornire le aziende lombarde ed emiliano-romagnole che producono pannelli truciolari.