Si facevano chiamare "Brigata Oarza" o "Banda X". Per la prima volta in Italia quattordici romeni sono condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Affiliati con sangue e baci. E una croce templare tatuata sul corpo

È un romanzo criminale dell’est Europa. È la storia di alcuni giovani romeni che prima chinano il capo di fronte agli albanesi e poi alzano la testa, prendono il sopravvento e formano un fortissimo gruppo mafioso, con tanto di riti di affiliazione e di gerarchie militari. Stamattina, nell’aula bunker del carcere delle Vallette a Torino, quattordici suoi componenti sono stati condannati con pene dai cinque ai quindici anni per vari reati tra i quali - prima volta per un gruppo romeno - c’è pure l’associazione a delinquere di stampo mafioso, accusa ipotizzata dai pm Monica Abbatecola e Paolo Toso della Direzione distrettuale antimafia di Torino. La pena più alta, 15 anni, è andata al boss Eugen Gheorghe Paun, detto “Coco”. Leggermente più basse, 13 e 14 anni, le condanne ai suoi “generali”.

Il gruppo si faceva chiamare “Banda X”, ma anche “brigada di Oarza”, dal nome del suo fondatore Viorel Oarza, che ne è stato a capo fino al 2011. Finito in carcere nel 2009 per il tentato omicidio di Nol Sheu, uno dei boss della mala albanese, ha continuato a controllarne le attività anche dal carcere grazie all’azione della moglie Alina e grazie a una suora che aveva fornito al boss un telefonino. D’altronde Oarza non voleva perdere il controllo dell’impero creato nel giro di pochi anni, un impero costruito sulla crimine e sulla violenza.

Stando al racconto di un collaboratore di giustizia, Oarza comincia la sua ascesa solo alla metà degli anni Duemila: «Dopo aver fatto il buttafuori si era dato al contrabbando di sigarette, come faceva sua madre, e poi allo sfruttamento della prostituzione - si legge nell’ordinanza degli arresti del 20 giugno 2013 -, via via crescendo di importanza anche grazie alla collaborazione con la famiglia dei Corduneanu», un clan attivo nel nord della Romania.

All’inizio sono i rumeni a dover chiedere il permesso agli albanesi, che controllavano le prostitute dell’est Europa a Torino: per mettere le loro ragazze sui marciapiedi devono versare il pizzo al gruppo dominante. Poi però la brigada vuole fare da sola, così iniziano le tensioni e con le tensioni si arriva agli agguati: Oarza finisce in carcere nel 2009 dopo aver tentato di uccidere Nol Sheu, boss albanese che quest’anno è stato condannato  per il tentato omicidio di Paun, il successore di Oarza.

Paun “Coco” subentra a Oarza nel 2011 ed estende l’impero: oltre alla prostituzione - ormai diretta dai rumeni - vuole controllare i furti e le clonazioni dei bancomat, ma anche le discoteche in cui spacciare la cocaina comprata dai calabresi. Il clan gestisce lo Zimbru e l’Office Club, usati pure come nascondigli per le armi, mentre ai locali di altri connazionali impongono i loro gorilla e chiedono il pizzo: «Si imponevano come buttafuori mandando due o tre persone a parlare con il padrone, prima a parlare in modo normale e poi, se lui non accettava, rivolgendo graduali minacce, sino ad aggressioni fisiche», ha spiegato il pentito. In questo modo si arriva al controllo delle attività, dei clienti, dei fornitori e dei buttafuori, che devono dare una parte dei loro guadagni al boss Coco.

Ai capi spettano pure una parte dei guadagni dei cantanti rumeni imposti nei locali, come fanno pure alcuni clan della camorra coi neomelodici. Sorinel, Salam, Budala e altri, i migliori cantanti di musica “manele” (un mix di influenze rom e balcaniche), attirano più clienti che pagano care le dediche ai personaggi influenti: «Vengono fatte a persone importanti come Oarza, a persone della brigada, per farsi volere bene dalla brigada - ha raccontato il pentito -. Si raccolgono anche singole offerte di duemila, tremila euro, cinquemila euro».

Una donna che gestisce un locale lo ha spiegato bene agli agenti della Squadra mobile della questura di Torino, guidata da Luigi Silipo: «Sempre C. mi diceva che avrei dovuto far esibire nel mio locale un cantante romeno che lui mi avrebbe portato e al quale avrei dovuto corrispondere un compenso settimanale di 800 euro più 80 euro da corrispondere a lui per non aver problemi nel locale e godere della cosiddetta “tranquillità”. In pratica mi stava richiedendo una sorta di pizzo per la protezione». Lei si era rifiutata, ma è stata minacciata: «Mi avrebbe danneggiato il locale e avrebbe picchiato me e le mie figlie minorenni».

Per fare tutto ciò Oarza prima e Coco poi potevano contare su una gerarchia quasi militare. Sotto i “padrini” ci sono quattro generali, che comandano sulle frecce, in grado di compiere crimini a comando. Sotto di loro i “nipoti”, che raccolgono i soldi dalle prostitute e compiono furti. Infine gli schiavi, bodyguard e assistenti dei boss. Tutti indottrinati; tutti affiliati con rituali che prevedono sangue e baci; tutti tatuati con una croce templare: «Chi vede quel tatuaggio deve aver paura, sapere che appartengono al gruppo», ha raccontato il pentito. Pure un loro rivale, l’albanese Pal Sheu, durante un interrogatorio ne riconosce la forza: «Ogni giorno aumentano perché ormai è un vanto fare parte di questa banda che si è data il nome Banda X. È conosciuta tra tutti i romeni, tanto che in carcere a Vercelli sono giunti romeni da Verona che la conoscevano». Bastava poco a far paura: «Agli associati - scriveva il gip nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita il 20 gennaio 2013 - bastano poche parole per imporsi sui connazionali». Il loro impero, imposto con la violenza e la paura, è andato avanti così fino a quando qualcuno, troppo spaventato, ha deciso di denunciare.