Paolo Zanotti: "Mio figlio non è un terrorista e finalmente è stato riconosciuto anche dal processo"
«Forse queste saranno delle buone feste. Lo scorso anno non lo sono state». Non si sbilancia troppo, ma è contento
Paolo Zanotti, padre di Mattia, l'anarchico No Tav che insieme a Claudio Alberto, Niccolò Blasi e Chiara Zenobi è stato condannato a tre anni e sei mesi di carcere per il blitz al cantiere della Torino-Lione del 13 maggio 2013, ma è stato assolto dall’accusa di averlo fatto per “finalità terroristiche”.
Fuori dall’aula bunker del carcere Le Vallette di Torino l’uomo ribadisce: «
Mio figlio non è terrorista e ora è stato riconosciuto anche dal processo». La famiglia l’ha sempre creduto e l’ex compagna Cristina Cicorella
l’aveva detto a l'Espresso il 29 maggio scorso: «Se la sentenza fosse stata diversa per me sarebbe stato un fatto molto grave - continua Zanotti, che aveva molte speranze -. Mi sembra che il giudice (il presidente della Prima corte d’assise di Torino Pietro Capello, ndr) abbia condotto il processo con sensatezza ed equilibrio». Intanto, davanti al cancellone dell’aula bunker, mentre il difensore Claudio Novaro spiega al pubblico di militanti i tecnicismi della sentenza, qualcuno chiede: «
A Natale saranno fuori?».
Mattia Zanotti e i suoi compagni potrebbero rimanere in cella anche queste festività. Poco più di un anno fa, il 9 dicembre 2013, Mattia venne arrestato all’alba nella sua casa a Milano, città in cui è andato a vivere per frequentare la facoltà di lettere (gli mancano pochi esami alla laurea) diventando
uno dei principali esponenti dell’assemblea degli studenti di scienze politiche. Da lì - stando alla Digos - è cominciato il suo impegno con l’emittente anarchica “Radio Cane”, ma soprattutto - vista la sua passione per la scrittura - nelle riviste “Nonostante Milano” e “La Lavanda”, su cui sono stati rivendicati i sabotaggi al cantiere.
Secondo gli investigatori lui sarebbe stato il coordinatore del gruppo d’attacco “Rc”, uno dei tre che nel maggio 2013 ha assaltato il cantiere Tav. Nell’ordinanza di custodia cautelare si legge anche che il trentenne è «in assiduo contatto con
anarco-insurrezionalisti milanesi che incontra regolarmente nei locali del centro ‘La Mandragola’, ubicato in via Bramantino accanto ad ‘Il posto’, luogo di ritrovo dei redattori dell’opuscolo anarchico ‘Nonostante Milano”, e con i quali condivide l’impegno nella lotta contro l’alta velocità». Il padre era a conoscenza del suo impegno: «Sapevo bene della scelta di Mattia, l’anarchismo, una scelta esistenziale vera e propria, sapevo delle sue lotte contro gli sfratti e contro i Cie e sapevo che poteva succedere, ma non con questa accusa che schianterebbe un bue. Quello è stato un giorno tremendo».
Da allora i quattro anarchici, e adesso anche gli altri tre arrestati quest’estate,
si trovano al regime carcerario “S2” di alta sorveglianza, come i pericolosi prigionieri politici. L’ora d’aria è limitata, alcuni possono uscire di cella solo un’ora al giorno anziché due; sono in isolamento e non possono incontrare altri detenuti; la posta è stata controllata a lungo ed erano limitati pure gli incontri coi familiari: un’ora alla settimana. Quando padre e figlio si potevano vedere il giovane non aveva molto da raccontare sulla vita dentro: «I giorni per lui erano tutti uguali, ma lui non ha mai voluto presentarsi male. Era sempre sereno e forte». E in carcere il 22 novembre scorso Mattia ha compiuto trent’anni: «Gli abbiamo mandato qualche regalo e dei telegrammi. So che ha ricevuto moltissime lettere».
Già domani l’avvocato Novaro potrebbe attivarsi per
chiedere la scarcerazione o almeno una custodia cautelare più leggera: «Caduta l’accusa di terrorismo spero che cadano anche i requisiti per l’alta sorveglianza e le restrizioni sugli incontri - conclude il padre -. Sarà comunque dura che esca per Natale. L’ultima volta che ho visto Mattia diceva che se tutto fosse andato bene sarebbe uscito a gennaio».