Per fermare gli abusi dobbiamo Insegnare il rispetto. Partendo dai banchi: leggendo classici come Anna Karenina. E dal parlamento: ripudiando le bordate "profondamente anti-femministe" che arrivano da partiti giovani come il Movimento 5 stelle. Parla il filosofo Remo Bodei

"Ragazze, imparate a dire no" La violenza si combatte a scuola

Leggere Anna Karenina a scuola, insegnare il rispetto dell’altro, affrontare i sentimenti nelle università. Per permettere a uomini e donne di costruirsi un’alfabetizzazione degli affetti, una “competenza amorosa” che li metta al riparo dalle relazioni violente. Il filosofo Remo Bodei, 75 anni e una carriera dedicata all’analisi delle passioni, è reduce da due ore di lezione di fronte a duecento studenti del primo corso universitario obbligatorio sul problema degli abusi. «Bisogna parlare di questi argomenti ai ventenni», sostiene. «Alla loro età iniziano ad avere un’esperienza sentimentale alle spalle: una conoscenza fai-da-te che deve essere sottoposta a una riflessione profonda, una sorta di revisione generale che permetta loro di capire, smontare e analizzare ciò che sanno».
Remo Bodei

Cominciamo allora smontando il problema: quali sono le radici della violenza?
«Possiamo individuarne due. Una viene dal passato, ed è l’eredità della cultura patriarcale secondo la quale la donna deve essere sottomessa al volere del maschio, che sia il padre, il marito o il fidanzato: un essere senza autonomia da educare a cinghiate ogni volta che si ribella. A questa violenza endemica se ne aggiunge un’altra. Molti uomini non riescono ancora ad accettare l’emancipazione femminile, non sopportano l’idea di aver perso autorità sulle compagne. E per ristabilire il loro primato reagiscono in modo violento. È una sottocultura revanscista molto più diffusa di quello che pensiamo».
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Le vittime parlano spesso delle botte ad amici e parenti, ricevendo come risposta un «non farci caso», «è normale», «capita». Come mai le giustificazioni sono ancora così salde?
«L’idea della sottomissione della donna è un sottofondo che esiste da sempre, lo dimostrano i proverbi e i luoghi comuni che sopravvivono nel nostro linguaggio. Questa tradizione ci porta a sottovalutare i comportamenti violenti, a rinchiuderli nel privato. In passato c’erano almeno dei rigidi binari morali che indicavano dei limiti. Oggi invece non ci sono riferimenti: con la scissione fra riproduzione e piacere sessuale, avvenuta grazie ai contraccettivi, i confini sono diventati più labili, e anche nella coppia scontiamo un’incompetenza affettiva che mette a rischio la nostra capacità di amare. Come anche di reagire di fronte a una passione che diventa ossessione patologica».

 
Quei “binari morali” però sono gli stessi che tenevano le briglie alle donne.
«È vero. Le femmine che trasgredivano erano considerate “iraconde”  per natura persino dalla Chiesa. Ma le cose stanno cambiando. E oggi la sfida è proprio questa: smontare il dispositivo patriarcale e gerarchico che regola il rapporto fra i sessi».

A chi tocca la prima mossa?
«Il cambiamento dovrebbe partire da chi è sopraffatto. Marx diceva: “Proletari di tutto il mondo unitevi”. Non è che io proponga un pur affascinante “Donne di tutto il mondo unitevi”, ma certamente è dalle donne che deve nascere la risposta. Sono loro a dover spezzare al primo segnale, soffocare alle prime avvisaglie, qualsiasi tentativo di prevaricazione, dal fidanzato che ti dà uno schiaffo e poi piange lacrime da coccodrillo al conoscente che ti costringe a fare qualcosa che non vuoi».

Ma come si insegna a una moglie maltrattata a dire “basta” o a una ragazza a rifiutare delle avance non volute?
«Aumentando la sua capacità di decidere, la sua intelligenza, e aiutandola ad acquisire un senso di dignità di sé stessa. L’autostima non è un lusso, un capriccio: vuol dire saper scegliere, avere la forza di dire no prima che i soprusi prendano piede. Certo: le reazioni di un partner rifiutato possono far paura. Per questo è fondamentale che la risposta delle istituzioni sia forte ed efficace».

Non dovrebbero cambiare anche gli uomini?
«Ovviamente sì. Per questo serve un mutamento di mentalità e di costumi. Dovremmo partire dalla scuola, addirittura dai bambini, insegnando loro la capacità di cercare nell’altro, in ogni relazione, qualcosa che non sia uno scambio - io ti do e tu mi dai - ma una crescita armoniosa, reciproca, un confronto. Uno sforzo comune che ci aiuti a sviluppare una nuova competenza amorosa basata sul rispetto».

E come si impara il rispetto?
«Con l’esempio. Si impara dall’amorevolezza dei genitori e dall’abitudine a discutere quando emergono conflitti. Il rispetto si insegna attraverso le favole, il cinema, la letteratura, non solo ai bambini ma anche agli adolescenti. Far leggere a ragazzi e ragazze Anna Karenina, la sua morte, i pensieri di Vronsky e Karenin rispetto all’adulterio, dà maggior spessore all’idea di “vita morale”: fa capire le conseguenze che ogni nostra azione può avere sugli altri. E poi si trasmette leggendo insieme i giornali in classe, commentando i casi di femminicidio, mostrando cosa succede, ancora adesso, quando una giovane si sottrae al primato del maschio».

I modelli possono arrivare anche dalla politica?
«Oggi è impossibile: i politici ormai sono legati solo alla visibilità, e per diventare celebri non serve essere degli esempi. Basta spararla grossa».

Pensa alle ultime uscite del M5S su Laura Boldrini e le deputate Pd?
«Il fatto che un partito così giovane esprima stereotipi tanto negativi e volgari rispetto alle donne, facendo affiorare anche a livello istituzionale questi cliché, è molto grave, anche se è putroppo comune ad altre forze politiche. Dà un’idea dell’anti-femminismo profondo che cova anche nei Cinque Stelle. Nonostante le buone intenzioni di alcuni».

Finisce che l’esempio lo demandiamo sempre e solo alla scuola, così, già presa in mille difficoltà...
«Questo però è un fatto epocale:  stiamo chiedendo alla scuola di riformulare i suoi valori sulla base di quello che è accaduto di nuovo, di illuminare il futuro, mentre ancora non ci siamo depurati dalle scorie di quegli insegnamenti che come le stelle morte continuano a mandarci luce nonostante siano scomparse da secoli. È un problema grande, difficile, ma fondamentale».

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