“Noi insistiamo”, promette Susanna Camusso. Ma Bonanni si smarca: “No a un inutile braccio di ferro”. E anche a Saxa Rubra si teme l’effetto boomerang della discesa in piazza

Oggi la Rai, domani Alitalia (annunciati 2500 possibili esuberi, per il fuoco alle polveri si attende il piano industriale di Ethiad), mentre per dopodomani sono aperte le scommesse sul pubblico impiego, oggetto della riforma targata Madia. Insomma, a sentire come rimbombano i muri, si apre un periodo da luna di fiele tra Renzi e sindacati. Non che sia mai stato miele, anzi: si ricordi, giusto per gradire, il simpatico “il governo distorce la democrazia” in pieno congresso Cgil, versus il renziano “devono capire che la musica è cambiata”, variante del “sarete travolti”. Però adesso, dopo un congruo periodo di preliminari all’insegna della reciproca faccia truce, e l’antipasto delle polemica sul decreto Poletti, si passa alla ciccia. E i sindacati, Camusso in testa, incrociano con Renzi le spade, su un tema arci-italiano: mamma Rai. Occasione, lo sciopero proclamato dai sindacati della tv pubblica per l’11 giugno, contro il taglio di 150 milioni voluto dal governo nel decreto Irpef.  Uno sciopero “umiliante”, l’aveva definito domenica Renzi. “Noi insistiamo, perché le vertenze si fanno così”, dice oggi la leader Cgil Susanna Camusso: “Se cambiano le cose, siamo pronti a discutere”. Le fa eco il leader della Uil, Luigi Angeletti: “Il premier si comporta come un pessimo amministratore delegato dell'azienda pubblica Rai”.

Interessanti non sono tanto le parole, ma la tempistica. Perché l’intervento dei sindacati avviene in pratica fuori sincrono, durante una conferenza stampa dei leader Cgil e Uil che si celebra alle 11 di mattina, proprio quando  lo sciopero dei sindacati Rai, annunciato lancia in resta, si sta sgonfiando ed è prossimo a rientrare. Ingolfato dalle perplessità emerse negli ultimi giorni all’interno del corpaccione di viale Mazzini; superato da qualche accenno di mediazione col governo (testimoniato dal comunicato in cui l’Usigrai parla di “novità importanti, passaggi che aprono il confronto”); e bollato, a ora di pranzo, come “illegittimo” (un problema di date) dall’Autorità garante degli scioperi nei servizi pubblici.

Ecco, l’annuncio del “noi insistiamo” cade su un’iniziativa piuttosto traballante. Sulla quale si moltiplicano le perplessità di chi vede l’effetto boomerang che la discesa in piazza potrebbe avere per la tv di Stato. Perplessità che non sono solo di dirigenti e giornalisti di viale Mazzini. Nel pomeriggio, pure il leader Cisl Raffaele Bonanni, proprio prendendo spunto dalla “decisione del Garante”, ammonisce di “riflettere sull’opportunità di bloccare la Rai con uno sciopero”. E si smarca: “Non dobbiamo trasformare questa vertenza in un inutile braccio di ferro dal sapore politico con il governo”.

Ecco tutto il problema: il sapore politico. Perché nel braccio di ferro, nell’effetto derby,  il rischio forte è che chi difende il “no ai tagli in Rai” finisca schiacciato nel ruolo della Casta, e Renzi  in quello del rivoluzionario liberatore, dello pseudo-grillino di lotta e di governo. Se fosse un fumetto, si intitolerebbe: “il Rottamatore contro la Nomenklatura”. Una faccenda di immagine, ancor prima che di sostanza. Come sa bene il premier, che si è mosso secondo questo schema. E come sa anche il direttore generale Rai Luigi Gubitosi, pronto a mettersi sulla linea del no allo sciopero e sì a ringiovanire un’azienda “con regole da Asl”. Posizioni che non sono tanto controcorrente come sembrano: bastava aver bazzicato i corridoi di Saxa Rubra per sapere quanto l’idea dello sciopero dell’11 fosse in realtà poco condivisa. Stupefacente è invece che, nel gioco delle parti della comunicazione, da lato della nomenclatura – per assenza di un linguaggio nuovo – finiscano per  trovarsi i sindacati.

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