La Camera ha stabilito per ogni recluso che ha vissuto in uno spazio inferiore ai 3 metri quadrati un indennizzo di 8 euro al giorno o uno sconto di pena. Una decisione per evitare sanzioni dalla Corte europea, che ha spesso richiamato l'Italia. Soddisfatte le associazioni per i diritti, protestano Lega e Movimento 5 Stelle

L'Italia ci mette una pezza. E per evitare guai peggiori, garantirà un risarcimento in denaro o uno sconto di pena ai detenuti costretti a vivere in situazioni di sovraffollamento talmente gravi da ledere l'articolo 3 della convenzione dei diritti dell'uomo, secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

La Camera dei deputati ha infatti approvato con 305 voti favorevoli, 110 contrari e 30 astensioni il “decreto Carceri”, che ora dovrà passare al vaglio del Senato. È un testo destinato a lasciare il segno, dal valore simbolico - e non solo - molto forte.

Cosa cambia. Il principio stabilito dal decreto legge è chiaro: chi vive o ha vissuto in condizioni inumane o degradanti nelle nostre carceri, deve essere risarcito in qualche modo. Il testo prevede due strade:
  1. Risarcimento di 8 euro per ogni giorno trascorso in carcere in violazione dell'articolo 3 della convenzione dei diritti dell'uomo;
  2. Lo sconto di un giorno di pena residua per ogni dieci vissuti, appunto, nelle condizioni già citate.
Il risarcimento in denaro verrà riconosciuto a chi è già uscito dal carcere oppure ai detenuti la cui pena residua è talmente breve che i giorni di “abbuono” sarebbero superiori rispetto a quelli da scontare. Oppure, ancora, a chi ha vissuto in condizioni “inumane o degradanti” per meno di quindici giorni.

Lo sconto di pena invece si applicherà a chi è ancora ristretto - nelle condizioni già citate - nelle carceri del nostro Paese.

La protesta in Aula della Lega Nord, con banconote false da 8 euro


Il male minore. Intendiamoci, il Parlamento italiano non ha scoperto tutto d'un tratto la solidarietà verso i detenuti. Con questo decreto, il nostro Paese cerca infatti di evitare una pioggia di risarcimenti di entità imprevedibile, visto che oltre 6000 detenuti hanno già presentato ricorso alla Corte europea per violazione dell'articolo 3. Non è difficile prevedere l'esito di questi procedimenti, visto che il precedente è già stato fissato dalla sentenza Torreggiani, dal nome di un ex detenuto nel carcere di Busto Arsizio che si rivolse alla Corte Ue. L'8 gennaio 2013, infatti, la Corte ha certificato che il nostro sistema carcerario non solo funziona male, ma lede i diritti più elementari degli esseri umani. Tra i quali, appunto, quelli stabiliti dall'articolo 3.

Come conseguenza, i giudici hanno dato all'Italia un anno di tempo per mettere la famosa “pezza”. Cioè per approvare una legge che prevedesse compensazioni e garantisse “una riparazione effettiva” per le violazioni della Convenzione.

“Il decreto legge appena approvato a Montecitorio non è una sorpresa, visto che era una procedura obbligata. Ma è sicuramente una buona notizia, nel nome della dignità e del rispetto dei diritti” è il commento di Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone.

Il fondo per i risarcimenti ammonterà a 20,3 milioni di euro fino al 2016. Una cifra che potrebbe sembrare piuttosto esigua. Secondo Gonnella, però, “è un calcolo tutto sommato esatto. Teniamo presente infatti che dal gennaio 2013 a oggi il numero dei detenuti è calato da 66.000 a 58.000. I detenuti reclusi in meno di tre metri quadrati sono, al momento, poche decine. La ratio del decreto è quella di risarcire chi, in passato, ha vissuto in quelle condizioni”.

Dalla teoria alla pratica. Il riferimento ai 3 metri quadrati non è casuale. Nel 2009, infatti, un'altra sentenza della corte europea dei diritti dell'uomo - che tra gli addetti ai lavori è nota come “sentenza Sulejmanovic” - accertò che il detenuto bosniaco che aveva fatto ricorso, Izet Sulejmanovic, era stato recluso in uno spazio di 2,7 metri quadri in una cella del carcere di Rebibbia. Una condizione che violava l'articolo 3 della convenzione dei diritti dell'uomo. Il Comitato per la prevenzione della tortura ha infatti fissato lo spazio minimo in 7 metri quadri. Il calcolo fu piuttosto semplice: Sulejmanovic - che ottenne un indennizzo di 1000 euro - aveva condiviso una cella da 16,20 metri quadri insieme ad altre cinque persone. Di qui l'assunto: nel momento in cui lo Stato obbliga un detenuto a vivere in meno di tre metri quadrati, gli infligge un trattamento “disumano e degradante”.

Stabilita l'entità dei risarcimenti, bisognerà capire in quali casi concederli e in quali no. Insomma, capire di caso in caso quand'è che le condizioni di un detenuto violano la Convenzione. “Il principio finalmente è passato: lo Stato riconosce che una situazione di sovraffollamento grave esiste. In passato era stato messo in dubbio persino questo. Ora è tutta una questione di interpretazione” spiega Alessandro Stomeo, avvocato di Lecce che da anni si occupa di diritti dei detenuti. “I magistrati si rifaranno ai parametri della sentenza Sulejmanovic oppure no? E se il detenuto, pur avendo vissuto in meno di tre metri quadrati, ha comunque passato diverse ore al di fuori della cella, magari perché il direttore della struttura ha consentito il regime delle sezioni aperte, cosa accadrà? In quel caso, dubito che possa essere riconosciuto il risarcimento”. Il regime delle sezioni aperte consente ai detenuti meno pericolosi di muoversi liberamente all'interno di un braccio del carcere, in orari prestabiliti.

Alessandro Stomeo non è un avvocato qualunque. Nel 2011 il legale salentino vinse una causa storica che, in un certo senso, anticipò di tre anni il decreto carceri ora al vaglio di palazzo Madama. Stomeo riuscì infatti a fare ottenere al suo assistito, un ex detenuto tunisino che era stato recluso nel carcere di Lecce, un risarcimento di 220 euro per le “lesioni alla dignità umana” patite in un mese di reclusione. A differenza del caso Sulejmanovic la sentenza di Lecce proveniva da un magistrato di sorveglianza italiano e non dalla corte europea.

Altre novità. Il decreto carceri ha stabilito anche un aumento del personale di Polizia penitenziaria di 204 unità. La differenza tra i 703 ispettori e vice ispettori in meno e i 907 tra agenti e assistenti in più.

“I sindacati di Polizia saranno sicuramente soddisfatti, tuttavia le lacune sono altrove: mancano psicologi, educatori,assistenti sociali, magistrati di sorveglianza - ammonisce Patrizio Gonnella - e proprio le recenti leggi approvate attribuiscono ulteriori compiti e una maggiore mole di lavoro sia ad assistenti sociali che ai magistrati di sorveglianza”. Il decreto appena approvato, infatti, attribuisce a questi ultimi il potere di risarcire i detenuti, mentre un'altra legge, passata nell'aprile scorso, consente agli imputati di chiedere la sospensione del processo in cambio di un periodo di lavori di pubblica utilità. Con l'affidamento, appunto, ai servizi sociali.

Dopo l'approvazione del decreto, da Lega Nord e Cinque Stelle sono piovute critiche. I grillini hanno parlato di “indulto mascherato” mentre secondo il leghista Nicola Molteni “un Paese che dà la paghetta ai criminali non è un paese né normale, né civile”.

“Chi parla di indulto oggi è in malafede - risponde Patrizio Gonnella di Antigone - il decreto approvato in questi giorni è un tentativo di rimediare (con i soldi di tutti gli italiani) al disastro prodotto da leggi che hanno stipato le nostre carceri all'inverosimile. Curioso che molte critiche partano proprio da chi quelle leggi le promosse e le approvò”.