I blog e le pagine che istigano a bulimia e anoressia si moltiplicano. Per punirli, il Parlamento ha presentato tre ddl (mai approvati) che propongono soluzioni e usano dati ormai vecchi. Perché il fenomeno, a differenza delle leggi, muta rapidamente
L’introduzione di un articolo di
codice penale volto a punire – col carcere e con sanzioni salate – chi istiga, anche via web, a tenere condotte che possano portare a disturbi del
comportamento alimentare: di questo si dibatte, nelle ultime ore, sui social network.
Ma il disegno di legge anti blog e siti
“pro ana” e “pro mia”, ovvero quelle pagine web che inneggiano ad anoressia e bulimia quali stili di vita auspicabili, non è una novità. La storia dell’articolo 580-bis del codice penale – la cui introduzione è stata proposta, fra gli altri, dalle onorevoli
Michela Marzano (Pd) e Mara Carfagna (FI) – è vecchia di anni e si ripete sempre identica.
Due legislature, la XVI e la XVII, sei anni, tre disegni di legge, circa
150 parlamentari firmatari: c’è questo dietro alla normativa di contrasto al pro ana/pro mia.
Il debutto fu nel 2008: a firmare il primo ddl fu Beatrice Lorenzin, oggi Ministro della Salute. Qualcuno lo ricorda su Twitter: «All’improvviso mi sembra di essere tornato nel 2008», scrive
Ernesto Belisario, avvocato, esperto di diritto amministrativo e di tecnologie. Il ddl allora conteneva un primo articolo che è rimasto sostanzialmente immutato fino ad oggi: già allora veniva prevista la pena detentiva fino a un anno, aggravata a due anni, se la vittima fosse stata minore di quattordici anni.
2010: stessa legislatura, nuovo ddl. L’onorevole Antonio Palagiano (Idv) riprende in mano l’argomento: 48 firmatari, il ddl viene assegnato all’esame della Commissione Giustizia. Il contenuto? Più articolata, rispetto al precedente ddl, l’introduzione; identico, nella sostanza, l’articolo 1: come nel ddl Lorenzin, carcere per i colpevoli. Esordisce, però, la sanzione pecuniaria: la stessa che ritroveremo nel
ddl Marzano del 2014, il disegno di legge più recente.
Stavolta i firmatari sono 100. Qualcuno, come
Paola Binetti (Sc) e Daniela Sbrollini (Pd), aveva già co-firmato il ddl Palagiano. Fino a due anni di carcere e fino a
100.000 euro di sanzione: la modifica per il codice penale è sempre la stessa, tuttavia viene previsto un piano di intervento volto a migliorare l’educazione alimentare e a ottenere diagnosi precoci dei disturbi del comportamento come anoressia e bulimia.
C’è un ulteriore dettaglio che torna, immutato, nei
tre disegni di legge: il dato secondo il quale esisterebbero
300.000 siti italiani inneggianti alla filosofia pro-ana e pro-mia. Quel dato compare per la prima volta in una ricerca condotta dal Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Torino: pubblicata a giugno 2006 sulla rivista scientifica “Eating and Weight Disorders”, conteneva i dati delle occorrenze – su motore di ricerca – relative a chiavi associate ai contenuti pro ana.
Nel ddl Marzano si legge: “In Italia, secondo gli ultimi dati, questi siti sarebbero oltre 300.000”: la stessa cifra che compariva non solo negli altri due ddl, ma in buona parte dei contenuti sul tema rintracciabili on line a partire dal 2006. Ad oggi,
una semplice ricerca effettuata tramite Google riporta oltre 800.000 risultati, mentre l’analisi dei contenuti social effettuata tramite la tool Topsy riporta, solo negli ultimi 30 giorni, circa 21.000 tweet contenenti l’hashtag #thinspo (la versione abbreviata di “thinspiration”, ispirazione alla magrezza tramite immagini).
«Ma i numeri non ci dicono molto», spiega
Umberto Nizzoli, psicologo, docente presso la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Nizzoli fu a capo del team di ricerca del Programma Aziendale Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Ausl di Reggio Emilia, che nel 2004 condusse la prima ricerca sul fenomeno pro ana in rete, con un lavoro dell’allora tesista Agostino Giovannini, che appare anche citato nel ddl Palagiano.
«Nel tempo il fenomeno pro ana/pro mia è
mutato profondamente, per cui quei numeri non ci dicono nulla. Né può essere considerato adeguato uno strumento legislativo rimasto immutato negli anni, al di là del fatto che perseguire dei comportamenti che esprimono un disagio come fossero comportamenti criminali è solo sfoggio muscolare di forza da parte di chi fa queste proposte», commenta amaro Nizzoli. «Noi abbiamo continuato a monitorare il fenomeno: oggi
i contenuti pro ana viaggiano sui social network - cioè siti gestiti all’estero, non sottostanti a legislazione italiana - spaziano fino al nuovo fenomeno dell’esaltazione del thight gap, lo spazio fra una gamba e l’altra che si crea in chi ha fianchi molto magri, e del bikini bridge, il ponte immaginario che collega le ossa di un bacino sporgente per la magrezza. Non è pensabile perseguire chi incita all’anoressia tramite blog o siti, mentre i messaggi sono presenti con altre parole chiave, sui social network», ci spiega Nizzoli. «Più interessante è pensare alla formazione dei terapisti e delle famiglie, fare educazione sul fenomeno. Ma criminalizzare un disturbo non dà risultati».
Del resto, come ricorda Belisario su Twitter e come ammettono gli stessi ddl, «in Francia, analoghe proposte furono affossate nel 2009.
Arriviamo sempre in ritardo». Solo di otto anni: da quel novembre 2006, in cui Dandyna, la prima blogger pro ana italiana, decise di raccontare la sua storia sul blog Macchianera.