Attualità
15 settembre, 2014

Tra pochi giorni nel primo ateneo romano si terranno le elezioni per il nuovo Magnifico dopo gli anni della gestione del barone Frati. E nel gioco di diplomazie, colpi bassi e alleanze per farsi votare, chi riuscirà a spuntarla potrà disporre di un potere, anche economico, senza paragoni nel circolo accademico

Sapienza, parte la corsa alla poltrona di rettore E l'eredità di Luigi Frati fa gola a tutti

Siti web con il proprio programma elettorale (si va da Sapienza Futura a Sapienza 2020 a Sapienza nuova a La Sapienza delle persone...), filmini su YouTube con le promesse ai votanti, incontri pubblici e question time aperti a tutti: nella cittadella della prima università di Roma una campagna elettorale così piena di impegno, ma anche di suspense e colpi bassi non si era mai vista.

Persino un volantinaggio velenoso e anonimo contro uno dei candidati, con tanto di sequestro da parte della polizia. Eccitati come ragazzi finalmente in vacanza, sei candidati, tra cui tre presidi di facoltà, si sfidano come rudi gladiatori per conquistare la poltrona di rettore della più grande università italiana. Il perché è chiaro: dopo un quarto di secolo di ingombrante presenza, Luigi Frati, oncologo, orgogliosamente barone, assurto a modello di un potere accademico assoluto che sistema in cattedra moglie e figli senza pagar pegno, esce di scena.

Una fine di regime che spaventa quelli di medicina che con Frati, prima preside per 18 anni e poi rettore negli ultimi sei, avevano visto crescere il proprio peso e influenza, ma apre impensabili scenari di riscatto per gli altri, dal flemmatico preside di architettura Renato Masiani a quello di Lettere, il severo Roberto Nicolai, allo scalpitante professore di fisica Giancarlo Ruocco (la vittima del volantino), fino alla new entry nell'agone per il rettorato, Tiziana Catarci, ingegneria informatica, nientemeno che una donna. È per questo che, in vista delle elezioni che partono il 23 settembre, da mesi i sei sono in pista misurando forze e tessendo alleanze. La parola d'ordine per diventare magnifico è: discontinuità!, intesa come rottura con la passata gestione, anche se, a ben vedere, tutti a Frati devono qualcosa e con lui hanno collaborato e collaborano. Ma l'università è così, e c'è da capirli: tutti conoscono tutti, e senza il placet del magnifico i dipartimenti non vedono né denari né progressioni di carriera.

Luigi Frati


Ovviamente il rettore uscente non è rimasto a guardare: figurarsi se uno come lui, che i nemici se li pappa a colazione o li compra, non vuole pesare nella scelta del suo successore e in qualche modo sopravvivere a se stesso. Sul suo modo di intendere il rettorato come potere assoluto sulla cittadella universitaria basta l'episodio con cui, a inizio estate, ha fatto irruzione nella stazione di polizia dove stavano interrogando un rumeno colto a distribuire i volantini contro Ruocco, e lui lo ha difeso urlando: «qui comando io», poi si è congedato con un «polizia di m...» che gli è valso una denuncia per abuso d'ufficio, resistenza e calunnia.

Bene: il candidato di Frati è l'attuale preside di medicina, Eugenio Gaudio, un cosentino professore di anatomia, in odore di Opus dei, che gode anche dell'appoggio del direttore della pastorale universitaria, il vescovo Lorenzo Leuzzi, colui che come cappellano della Camera ha portato 500 anime di parlamentari a messa da papa Francesco, in un'alba dello scorso marzo. Per dire che non gli manca il network. Gaudio però ha un avversario in casa, Andrea Lenzi, endocrinologo, politicamente un moderato e soprattutto presidente del Cun, il consiglio universitario nazionale, cioè l'organo consultivo del ministero, altro posto da cui si smistano potere e carriera: «Conosco i 60 mila professori italiani, e so i problemi di tutti», sintetizza lui stesso per chiarire la sua constituency, e che venderà cara la pelle.

Potrebbe sembrare strana una lotta fratricida a medicina, ma c'è una spiegazione. La partita del rettore dell'università romana si gioca su un pacchetto di 2200 voti. Medicina ne ha 1900, e quindi per vincere deve cercare alleati. E questo vale ancora di più per gli altri, che dispongono di un bacino di 300/400 voti ciascuno. Se il bacio di Frati dovesse risultare letale per Gaudio, che è accreditato di un migliaio di voti, e finisse per prevalere la voglia di tutti di voltare pagina, c'è comunque un second best su cui potrebbero convergere i voti dei medici. “Radio università” infatti parla di un asse tra Lenzi (che pesa sui 700 voti), Masiani e Nicolai, cioè medicina architettura e lettere, che farà vincere chi prenderà più consensi nel corso dei tre scrutini previsti per raggiungere la maggioranza dei votanti (alla fine si andrà al ballottaggio).

Ma per la storica occasione della chiusura dell'era del “rettore imperiale”, come lo definiscono i colleghi, anche le candidature del fisico Ruocco e dell'ingegnere Catarci possono giocare un ruolo nelle geometrie variabili delle alleanze. Catarci viene accreditata come vicina al rettore uscente, di cui è stata prorettore delegato dello sviluppo della rete informatica dell'ateneo, ma lei - che si dichiara politicamente Pd - accortamente prende a modello Antonio Ruberti, uno che anche da magnifico non ha mai smesso di insegnare e fare esami (al contrario di Frati): potrebbe intercettare il voto femminile. Ruocco, il più giovane e rampante, sinistra Sel, è tuttora prorettore e ha un h-index (la graduatoria inventata da Google Scholar per vedere quanto sei famoso nell'ambiente universitario) invidiabile: infatti ha ottenuto per Roma la creazione di una succursale dell'Iit, l'istituto genovese di ricerca sulle tecnologie, e viene accusato dai suoi colleghi di gestirlo troppo in solitaria. Ma ha dalla sua il sindacato Cgil, che dopo anni nell’angolo con il Frati tutto pro-Cisl (il sindacato è stato il primo trampolino di lancio del nostro), non vede l'ora della riscossa.

L'impegno di tutti è dunque quello di far andare alle urne quanta più gente possibile, in modo che i sei candidati possano misurare le reciproche forze. Missione non facile in una università frustrata dall’emorragia di iscritti (gli studenti della Sapienza erano 145 mila sei anni fa, oggi sono 108 mila, le nuove immatricolazioni viaggiavano al ritmo di 28 mila l'anno, ora sono a 24 mila), fattore che si traduce in risorse declinanti, sia perché entrano meno rette, sia perché parte dei fondi pubblici sono legati appunto alla performance studenti.

E frustrata anche dalla discesa a precipizio nei ranking internazionali (l’ultimo la mette al posto 150), il che impatta sulla sua attrattività sia su professori che studenti. Ma La Sapienza è pur sempre un centro di spesa che manovra un budget da un miliardo l'anno e distribuisce ottomila buste paga (Policlinico escluso), il che a Roma ha pochi eguali. Non solo: ora si appresta a chiudere con la Regione l’annosa partita del nuovo protocollo d'intesa sulla gestione del Policlinico, che non soltanto ridarà spessore alla ricerca universitaria ridotta al lumicino dalle esigenze ospedaliere (il chi vuol dire carriere, aule, studenti), ma porterà nuove risorse in cassa alla Sapienza, stimate in una trentina di milioni l’anno, e sbloccherà i 100 milioni che la Regione deve spendere per la ristrutturazione dell’ospedale.

Per mettere davvero una pietra tombale sull'era Frati una cosa è chiara a tutti: occorre smontare il suo sistema di potere, la sua governance tutta bastone e carota, l’ultimo esempio è arrivato a luglio, proprio in piena battaglia elettorale. C'erano da ripartire i fondi per il Piano nazionale associati, che alla Sapienza ha assegnato la possibilità di aumentare l'organico di 120 punti, dove un punto equivale allo stipendio di un ordinario, mentre 0,25 equivale a quello di un associato, mentre per un ricercatore di “nuovo tipo”, cioè la figura introdotta dalla legge Gelmini, il valore è di 0,70. Insomma: punti uguale carriere delle persone.

Un carniere di 120 punti è bello ricco, dopo anni di fame, ma se si frammenta per i 60 Dipartimenti della Sapienza, perde d'impatto. Così tutti si aspettavano che il Senato accademico approvasse l’assegnazione dei posti in base al nuovo algoritmo della qualità della ricerca elaborato proprio per distribuire risorse a chi merita.

Invece? Invece no: Frati ha assegnato come voleva lui il 20 per cento dei posti, e come un basilisco ha paralizzato i suoi colleghi, nessuno dei quali si è opposto a una distribuzione a pioggia. Che c’entrasse qualche voto di scambio per il nuovo rettorato? Diavolo d’un Frati.

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