Adesso il giudice dovrà stabilire se sui social network sia lecito o meno esercitare liberamente il diritto di critica nei confronti di qualcuno o qualcosa. Il parere degli esperti sul reato di diffamazione a mezzo stampa contestato dal pm
Quelle critiche di sdegno e riprovazione espresse sulla propria bacheca di
Facebook le sono costate un
processo per diffamazione a mezzo stampa. Ma la giornalista Marina Morpurgo non è stata la sola a giudicare disdicevole la campagna pubblicitaria della Scuola di formazione professionale Siri di Foggia: un manifesto che immortalava una bambina bionda di circa 6 o 7 anni intenta a passarsi sulle labbra un rossetto, con espressione voluttuosa, cui veniva attribuita una dichiarazione perentoria, “Farò l'estetista: ho sempre avuto le idee chiare”.
Anche il
Comitato di controllo dello Iap (Istituto di autodisciplina dei pubblicitari) aveva formalmente censurato quell'immagine, considerandola “non conforme all’art.11 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale”. Una norma che vieta espressamente le “rappresentazioni di comportamenti o di atteggiamenti improntati alla sessualizzazione dei bambini”.
La conferma arriva da una nota dello stesso organismo: “Il caso è stato oggetto di esame da parte del Comitato di controllo che, il 30 novembre 2012,
chiese all’inserzionista di ripensare la comunicazione in questione, eliminandone la ritenuta non conformità all’art.11 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Tuttavia, l’inserzionista, che non faceva parte del sistema autodisciplinare, e che aveva utilizzato un mezzo di diffusione di portata locale non tenuto all’osservanza delle norme del Codice, non aveva risposto alla richiesta”. Ragion per cui, “non sussistendo gli elementi che determinano la legittimazione ad agire dello Iap, il caso non potè avere ulteriore seguito”.
Le valutazioni dell'ex inviata de l'Unità e caporedattrice del settimanale Diario avevano dunque un oggettivo riscontro di fondatezza. Ma il nodo della questione è un altro:
su Facebook è lecito o meno esercitare liberamente il diritto di critica nei confronti di qualcuno o qualcosa? Si tratta di una manifestazione della libertà tutelata dall'articolo 21 della Costituzione, o si rischia comunque di incorrere nel reato di diffamazione a mezzo stampa?
L'Espresso lo ha chiesto a due esperti del settore, che hanno esaminato i passaggi che il
pm Anna Landi della Procura di Foggia ha contestato a Morpurgo, emettendo nei suoi confronti un decreto di citazione diretta a giudizio per il reato di “diffamazione a mezzo stampa”, per aver “offeso l'onore” della Scuola di Formazione Professionale Siri di Foggia, “denigrandone su un social network la campagna pubblicitaria”.
Queste le frasi, riferite a momenti diversi: “Anche io ho sempre avuto le idee chiare: chi concepisce un manifesto simile andrebbe impeciato ed impiumato (citazione tratta dai vecchi fumetti di Paperino,
ndr)... I vostri manifesti e i vostri banner sono semplicemente raggelanti... Complimenti per la rappresentazione della donna che offrite... Negli anni Cinquanta vi hanno ibernato e poi risvegliati?”.
L'avvocato Raffaele Zallone, già direttore centrale dell'ufficio legale di Ibm Italia e poi docente di Diritto dell'Informatica alla Bocconi, ritiene in via pregiudiziale che l'aggravante del “mezzo stampa” non possa essere ritenuta “sussistente” per i social network. “Ci sono almeno due sentenze della Cassazione – spiega – che chiariscono come ai fini della sussistenza in senso giuridico del prodotto stampa siano necessarie due condizioni: un’attività di riproduzione tipografica e la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività. Di conseguenza, l'estensione della disciplina della stampa a Facebook costituirebbe un'interpretazione analogica in
malam partem (cioè sfavorevole al reo,
ndr), che è espressamente vietata dalla Costituzione. E nel caso di specie, oltretutto, mi pare evidente che le affermazioni della giornalista possano essere tranquillamente giudicate nell'alveo del diritto di critica”.
Guido Scorza, fondatore di E-Lex, presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione e docente di Diritto delle nuove tecnologie in diverse università italiane, si mostra invece assai più dubbioso: “In realtà – osserva – se è vero che i social network non possono essere assimilati tout court alla stampa, è altrettanto vero che l'aggravante del comma 3 dell'articolo 595 riguarda anche altri mezzi di pubblicità. E recentissime sentenze della Cassazione condannano proprio la diffamazione attraverso Facebook”.
Per Scorza,
il confine tra la libertà di espressione e il reato di diffamazione è piuttosto aleatorio, va adattato alla peculiarità dei singoli casi. “Per tenersi al riparo – spiega – non basta l'adesione al vero dei fatti esposti. Bisogna considerare anche altri fattori, come la continenza e il registro stilistico dei toni utilizzati. Ed anche questi elementi devono essere comunque tarati al contesto nel quale sono state formulate le dichiarazioni, come sottolineano numerose sentenze della Suprema Corte. Perché ovviamente, il tono che si usa per scrivere un articolo su un giornale non può essere lo stesso del linguaggio parlato o dei social network. Io, almeno, se fossi il difensore della giornalista, punterei soprattutto su questo aspetto”.