Mirafiori 2015, così il quartiere operaio di Torino riprende vita
La rinascita di un quartiere simbolo della città. Con nuove aziende che occupano le aree Fiat e l’università che attira ragazzi da mezzo mondo. Ospitati in casa dagli anziani abitanti (Foto di Michele D’Ottavio)
di Maurizio Maggi - Foto di Michele D’Ottavio
15 ottobre 2015
aaaa-jpgKatryna, 23 anni, si è laureata a Sumy, nel nord dell’Ucraina. È lei a preparare le frittelle nella cucina del grande appartamento al settimo piano di via Celeste Negarville a Mirafiori, Torino. Ci vive insieme a Lo Qi Xin, 24 anni, che invece si è laureata in Cina, a Mahsa, 26 anni, architetta iraniana di Shiraz, e alla minuscola Nguyet, 25 anni, ingegnere, nata in una località costiera a cento chilometri da Ho Chi Minh City, Vietnam.
Sono tutte studentesse del Politecnico e non hanno idea di cosa sia successo nel 1980, qui dove sorge la loro università, con l’occupazione operaia e la Marcia dei Quarantamila. Dove ora ci sono aule, laboratori e sale studio della Cittadella per la mobilità e del design - nella moderna struttura in vetro e acciaio progettata da Aimaro Isola - e oltre 1.600 ragazzi, per un terzo stranieri, vanno a caccia di lauree e master, c’era la “selleria” per la preparazione dei sedili di centinaia di migliaia di auto come la Fiat 600 o la 131 Mirafiori.
Soprattutto non sanno, gli studenti, di essere un simbolo, un segnale di quella rinascita, o riqualificazione, di uno dei quartieri più noti d’Italia, che per molti si identifica con il megacomplesso industriale che, negli anni Settanta, impiegava - indotto e servizi compresi - fino a 70 mila lavoratori.
[[ge:rep-locali:espresso:285165814]]Un’area gigantesca, lievitata dal milione di metri quadri del 1939, quando ci fu l’inaugurazione col Duce, su su fino ai tre milioni di metri quadrati innervati da 22 chilometri di strade interne. Intorno ai suoi confini, soprattutto a Sud, è sorta una città che ha attraversato la parabola dell’industrializzazione, col suo incredibile afflusso di immigrati, prima dal Nord Est poi dal Meridione. Un posto dove le case sono sorte come funghi, anche grazie al sistema di “fabbricazione pesante” copiato dalla Francia. Fino alla crisi che - cominciata negli ultimi anni Ottanta e che ha portato al rischio di chiusura totale della produzione Fiat - ha prodotto un deciso cambiamento nella popolazione.
Un pezzo di Fiat è rimasto: prosegue la produzione, pur a ritmo assai blando, dell’Alfa Romeo Mito, e l’avvio delle linee della nuova Levante, la Suv della Maserati, a inizio 2016, farà rientrare in azienda 600 operai. Poi ci sono la Cnh e altre ditte che non c’entrano con l’auto. Morale, oggi, nell’area industriale di Mirafiori lavorano circa 18 mila persone. Quasi un quarto, rispetto al pienone di quarant’anni fa.
A due passi dalle casermone di via Negarville, dove via Roveda incoccia in via Plava, c’erano i cancelli principali di quello che fu il più grande impianto automobilistico d’Europa. La fabbrica, come la chiamavano i torinesi.
Racconta Claudio Lubatti, l’assessore ai Trasporti del Comune di Torino nato e cresciuto da queste parti, che la zona più a ridosso dell’impianto, con al centro la parrocchia di San Luca, «è il vero cuore del quartiere, l’area più popolare e politicamente di sinistra. Poi si passa alla zona centrale, che va da corso Unione Sovietica a Strada delle Cacce, dove nacquero i primi servizi - poste, anagrafe, bocciofila - e infine alla Sud, fino a via Artom, dove ci fu la seconda ondata di edilizia popolare, negli anni Settanta. Io sono nato nel 1977, e stavo a cavallo tra la zona centrale e quella meridionale: quando tornavo dal centro con l’autobus non scendevo alla fermata più vicina a casa, per non far sapere dove stavo». Era un quartiere, anzi un multiquartiere difficile, Mirafiori.
SENZA PIANO MARSHALL MA CON IL POLITECNICO Spacciatori, prostitute e illegalità varie proliferavano mentre la Fiat scivolava lungo la china della crisi. Risultato: pochi giovani, poche botteghe, molti anziani a vivere in alloggi troppo grandi, pensati per famiglie numerose. Ora però il vento è cambiato. Senza l’arrivo di una nuova grande impresa, o piani Marshall promossi da enti pubblici spendaccioni.
Dopo il taumaturgico ma isolato sbarco del Politecnico, adesso sono in rampa di lancio altri due segnali forti: entro novembre comincerà la piena attività del nuovo insediamento di Tecnocad Progetti (cento ingegneri e tecnici che disegnano componenti per l’auto) nell’area su cui sorgeva il Centro Stile. E presto sarà deciso in che direzione “scatenare” i vincitori del Concorso Mirafiori - un “contest” internazionale di idee per l’utilizzo temporaneo dei vasti capannoni che ospitavano la logistica.
Siamo tra Strada della Manta e corso Settembrini, e si può dire che è da qui che Mirafiori ha tolto la retromarcia. Alla cloche del cambio, metaforicamente, c’è pure l’inatteso abbraccio intergenerazionale. Perché se i ragazzi che studiano nell’ex selleria di corso Settembrini (e anche nella sede centrale del Poli, in corso Duca degli Abruzzi) hanno deciso di stare a Mirafiori, il merito è dei tanti abitanti, tutti almeno over 50, che affittano le stanze, talvolta abitando con loro, garantendo il Wi-Fi per navigare su Internet e un’accoglienza da quasi parenti.
L’ateneo ha affittato l’area dalla Tne, Torino Nuova Economia. Costituita nel 2005, Tne è la società pubblica, controllata da Regione Piemonte, Comune e Città metropolitana (l’ex Provincia, di fatto) che ha rilevato 300 mila metri quadrati di aree dismesse dalla Fiat (che è socia al 2 per cento), con la missione di riqualificare la zona. La sede del Poli ospita l’attività didattica dei corsi di laurea di design industriale e comunicazione visiva e di automotive engineering. È composta da tre blocchi, per 7.500 metri quadrati, che iniziano ad essere pochini. E infatti, università e Tne stanno valutando l’allargamento, recuperando spazi che possano essere impegnati da attività di studio e anche da start-up tecnologiche che fioriscano dal tessuto accademico, come avviene nell’altra sede del Politecnico, quella storica di corso Duca.
DA DRAGHI AI DRUGHI Di fianco al frequentatissimo spezzone di Politecnico c’è il gigantesco hangar in cui Stefano Di Polito, figlio di due ex operai Fiat emigrati dalla Basilicata, ha ambientato il suo commovente film “Mirafiori Lunapark”, con Antonio Catania e Alessandro Haber, che a Torino è diventato un cult in poche settimane. «Ho rischiato di nascere qua dentro, perché mia mamma mi ha orgogliosamente raccontato di essere venuta in fabbrica fino all’ultimo», racconta passeggiando nel capannone dove entrambi i suoi genitori hanno lavorato. Per riqualificare temporaneamente i 40 mila metri quadrati del grande spazio delle ex aree logistiche, la Tne ha lanciato il Concorso internazionale Mirafiori, e ora sta per decidere chi ha vinto. Non è partita a razzo, la Tne: la prima operazione - l’affitto al Poli (sei anni più sei) - è datata 2011.
Tre anni fa è arrivato il nuovo amministratore delegato, Davide Canavesio, e il suo attivismo ha smosso le acque. Canavesio è un torinese estroverso come un milanese della Milano da bere, già presidente dei giovani della Confindustria di Torino ed ex ultrà juventino (fino a due anni fa andava in curva insieme ai “Drughi”). Ha fatto due anni alla Kennedy School di Harvard a studiare sviluppo delle economie locali, tra il 2000 e il 2002 («Eravamo in quattro, noi italiani. E per un periodo insegnava pure Mario Draghi, ogni tanto ci facevamo una pizza insieme»).
E nella pizzeria-steak house Lentini’s di corso Orbassano, che sta diventando uno dei locali alla moda della Mirafiori che si risveglia, spiega: «Tne è stata a lungo considerata, da critici e oppositori politici, il solito carrozzone che perde soldi, oltre che un regalo alla Fiat. Invece è una società che sta coinvolgendo il mercato e non vuole perpetuarsi ma riqualificare il quartiere puntando non solo sulla scuola e l’innovazione ma pure sulla movida e la cultura, per farlo diventare un’area “europea” che attragga i giovani». Il manager è convinto che l’ormai prossimo sbarco della prima impresa sulle aree ex Fiat, la Tecnocad Progetti della famiglia Cini, metterà in moto un virtuoso effetto trascinamento (vedi articolo nella pagina a fianco).
Mentre intreccia rapporti sottotraccia per piazzare altre aree, Canavesio spinge l’acceleratore, anche mediatico, sull’occupazione temporanea dell’enorme spazio in cui Di Polito ha ambientato buona parte del suo film, con i tre pensionati che “occupano” la fabbrica che non c’è più e creano una giostra per i nipotini, figli di figli di operai spiazzati dalla rarefazione del ruolo totalizzante - ma a suo modo rassicurante - della vecchia Fiat. «È un quartiere che ha visto passare di tutto ma che ha un grande orgoglio e senso di appartenenza. Utilizzando in chiave moderna gli spazi, con eventi una tantum o ricorrenti, e la collaborazione con le associazioni sportive e ricreative locali, credo davvero che altre parti di Mirafiori possano diventare un punto d’attrazione anche per chi non abita qui». Dice “altre parti” giacché «qualcosa di incredibile sta già avvenendo, per chi ha vissuto a Mirafiori negli anni bui», sostiene Lubatti, cattolico del Pd.
LA SCUOLA È SPARITA MA NELLA PIAZZA C’È VITA «Nella piazza dove c’era la mia scuola media, e dove ha studiato anche il regista Di Polito, ora c’è una piazza in cui, la sera, a decine chiacchierano sorseggiando una birra. E in Strada delle Cacce, oltre al Centro di protagonismo giovanile e alle scuole calcio, ci sono un ristorante e una discoteca alla moda. E dal centro vengono qui. Quando passo alle 11 di sera e vedo centinaia di auto parcheggiate, quasi mi commuovo», confessa l’assessore. La piazza, ribattezzata Santi Apostoli, ci hanno messo anni a completarla, e moltissimo in giro c’è ancora da fare. Tuttavia, il senso di svolta è percepito anche da chi non ha ruoli né retropensieri politici.
A pochi metri da via Negarville, nella piazza con i giardini intorno alla parrocchia di San Luca, nel salone gestito dall’Associazione Aris, gli universitari di mezzo mondo si ritrovano per giocare, studiare, prendere contatto con le famiglie che affittano le stanze ai ragazzi.
Tutto è cominciato grazie a Tecla Zaia, che nei palazzi tirati su alla velocità del suono ci sta da una vita. Appartamenti grandi, dai 90 ai 120 metri quadri, spesso abitati da una coppia di anziani, o da un pensionato rimasto solo. Tecla si è inventata tre anni fa il progetto “Alloggiami-Mirafiori Student Housing”. Prevedeva di firmare 20 contratti, sono stati 68. L’anno dopo, puntava a 50 e si è arrivati a 103. Nell’ultimo anno accademico, 125 studenti hanno trovato casa così.
Sam è un nigeriano grande e grosso che tifa Milan e in patria ha un lavoro; ma vuole specializzarsi per fare carriera nel petrolio, ed è già andato e tornato un paio di volte. Si trova alla grande, in quello che una volta gli stessi residenti delle altre zone di Mirafiori chiamavano il Bronx. Intorno al tavolone dei giochi e dello studio, Sam scherza con la signora Damilano, la padrona di casa che lui chiama mamma, e che spesso prepara pizze e torte per i giovani affittuari, anche quelli che non vivono più da lei.
Con la collaborazione degli studenti del Politecnico, in vari quartieri è stato messo a punto un sistema per segnalare le cose che non vanno. Buche sulla strada, semafori spenti, panchine rotte. Ha avuto successo, ma a Mirafiori di più. E il Comune pensa di rendere stabile solo qui la mappatura delle disfunzioni, dove le segnalazioni sono raccolte da opinion leader locali, tipo il parroco o il presidente della bocciofila. Perché questo è il quartiere più famoso di Torino e qui le storie paiono tutte da film. Qualcuno allegro, qualcuno triste, spesso l’uno e l’altro, come “Mirafiori Lunapark”.