Sono Renata Fonte, Gaetano Saffioti e Sandro Donati. Le persone che verranno premiate stasera dalla famiglia di Giorgio Ambrosoli e di Transparency international, per un progetto sostenuto da Confcommercio che ha l'obiettivo di dare un «riconoscimento al valore degli "esempi invisibili" di integrità, responsabilità e professionalità» in Italia.

Renata Fonte non ci sarà, perché a trentatré anni è stata assassinata mentre tornava a casa, il 31 marzo 1984. Assessore alla cultura e alla pubblica istruzione del comune di Nardò, in provincia di Lecce, dall'82 alla sua morte, aveva impedito la realizzazione di una mega speculazione edilizia nell'area di Porto Selvaggio. Oggi dichiarata Parco naturale regionale, méta di un turismo in espansione, mare specchiato e area protetta del Salento. Allora solo terreno di espansione dell'edificazione abusiva. Che lei non consentì, bloccando guadagni assicurati. Fu uccisa. Gli esecutori e gli intermediari sono stati condannati. Secondo la Corte d'Assise di Lecce non sono stati individuati però tutti mandanti.

Gaetano Saffioti è un testimone di giustizia. Un imprenditore del movimento terra in Calabria, nell'area di Palmi. Nel 2002 ha iniziato a denunciare estorsioni e minacce da parte della 'ndrangheta. Con le sue dichiarazioni ha dato il via all'operazione "Tallone d'Achille" che ha portato alla condanna per associazione di stampo mafioso ed estorsione diversi esponenti delle famiglie Bellocco, Piromalli e Gallico. Vive da allora una vita blindata, ma è rimasto in Calabria, non se n'è andato. Tanto che l'anno scorso è stato l'unico imprenditore disposto ad abbattere una villetta abusiva della famiglia Pesce: disabitata dal 2011, nessuno si era fatto avanti nei bandi. Lui, sotto scorta, si è applicato. Perché non è mai tornato indietro.

Sandro Donati è un nome noto nel mondo dello sport. Noto, perché ostinato in una battaglia che gli ha procurato soprattutto nemici. Il suo, di nemico, è il doping. Dal 1977 al 1987 è stato l'allenatore della nazionale di atletica leggera: denunciò l'uso di sostante illecite e nel 1987 portò alla luce i risultati truccati dai giudici per l'ultimo salto in lungo di Giovanni Evangelisti al mondiale di Roma di quell'anno. Pagò con l'allontanamento dalla nazionale. Non si arrese. In seguito infatti ha scritto libri sulle medologie del doping, e nel 1993 ha pubblicato un dossier sull'Epo nel ciclismo che ha fatto partire le indagini sul professor Francesco Conconi.
Dal 1990 al 2006 è stato responsabile della divisione Ricerca e Sperimentazione del Coni. Neanche col Coni ha abbassato mai però i toni quando si tratta di combattere le illegalità nello sport: da consulente dell'agenzia antidoping mondiale (Wada) ha attaccato le iniziative di Malagò sul problema. Lo ha fatto come voce sola, fuori da un coro compatto, perché i padroni dello sport sono quelli e quelli devono restare. Oggi collabora con Libera ed allena Alex Schwazer dopo lo scandalo che l'ha visto protagonista (sempre per l'Epo).
Oltre a loro tre saranno premiati con una menzione speciale Enrico Bini, Alberto Lomeo e Filippo Simeoni. Anche lui, da ciclista, si è trovato a pagare con la propria carriera sportiva le sue denunce di intimidazioni e minacce per non portare alla luce le diffuse pratiche di doping nel ciclismo. Fu uno dei testimoni-chiave del processo a carico di Michele Ferrari, dottore fra gli altri anche del campione Lance Armstrong, che nei primi anni duemila, in due interviste, alla Rai e Le Monde, definì Simeoni "un mentitore compulsivo". Le vittorie di Armstrong dal 1998 in poi sono state revocate dopo che nel 2012 un'indagine dell'agenzia anti-doping degli Stati Uniti concluse che per tutta la sua carriera ciclistica aveva fatto uso di farmaci e strumenti per potenziare la propria resa in gara. Quanti ancora avranno il coraggio di Donati e Simeoni?