L’opzione di censurare i siti o le pagine social ?che invitano al terrorismo è quasi la prima cosa che viene in mente nell’emozione dopo ogni strage. Ma bisognerebbe tenere conto di alcuni elementi di riflessione che forse sono meno immediati
di Alessandro Gilioli
24 novembre 2015
L’idea di sospendere o limitare alcune forme di comunicazione in Internet ?è ciclica dopo ogni attentato: se n’è iniziato a parlare negli anni Novanta, ?poi dopo le Torri Gemelle (2001), quindi a seguito delle mattanze di Madrid e Londra (2004-2005); e poche settimane fa l’ipotesi è stata di nuovo avanzata in Israele per evitare la propaganda degli accoltellamenti.
Altrettanto rituale è la tentazione di procedere a controlli digitali di massa, sul modello di quelli messi ?in atto dalla Nsa americana. Dopo il 13 novembre di Parigi il dibattito è stato arricchito da alcune presunte modalità ?di contatto fra i terroristi jihadisti in Europa i quali, secondo il ministro belga Jean Jambon, userebbero la Playstation4, «più difficile da tracciare».
L’opzione di controllare di più Internet ?e di censurare i siti o le pagine social ?che invitano al terrorismo è immediata e intuitiva, quasi la prima cosa che viene in mente nell’emozione dopo ogni strage. Nel discuterne si potrebbe però tenere conto di alcuni elementi di riflessione che forse sono meno immediati:?
1. È stato provato che il controllo digitale di massa non presenta un rapporto conveniente tra costo e beneficio. In altre parole, è come sparare migliaia di raffiche di cannone in cielo per abbattere un canarino. Lo spionaggio digitale funziona invece se e quando ?è mirato e se viene collegato a forme ?di intelligence di altro tipo. E questo ?al netto di tutte le questioni etiche e le dichiarazioni politiche (Onu compresa) contro la sorveglianza diffusa e il suo costo in termini di diritti civili. Tra l’altro, in Francia era appena stata varata una legge sul controllo digitale di massa tra le più severe del mondo, di cui i terroristi si sono fatti beffe.
?2.Buona parte degli spionaggi mirati (cioè su possibili terroristi, all’interno di inchieste della magistratura) avvengono proprio a partire dai siti e dagli account social che ora si ipotizza di oscurare. ?È possibile che chiudere alcuni specifici siti jihadisti in termini di sicurezza possa determinare un maggior vantaggio (grazie alla riduzione della propaganda) anziché un maggior danno (per la conseguente impossibilità di tracciare chi li frequenta e immette contenuti), ma è utile avere contezza anche della minor fattibilità delle indagini.
?3. Per quanto riguarda le comunicazioni dirette tra i terroristi, oggi è nel mirino la Playstation, ieri lo era Telegram, l’altro ieri Skype, domani chissà. La verità è che è praticamente impossibile, nella quantità infinita di potenzialità comunicative proposte da Internet, che si riesca a impedire a una o più persone di scambiarsi messaggi, a meno che non si decida di chiudere tutta la Rete.
E, per quanto riguarda l’intercettabilità delle conversazioni, non si può ignorare che rendere accessibili alle intelligence i vari sistemi crittografici crea negli stessi una vulnerabilità poi sfruttabile anche per motivi politici e ?di repressione del dissenso; o da parte di altri soggetti, inclusi i pirati di dati.