Il gip ipotizza che l’intercettazione pubblicata da “l’Espresso” sia fra quelle ancora segrete. E respinge il giudizio immediato per i due giornalisti
di Lirio Abbate
18 dicembre 2015
Secondo il giudice per le indagini preliminari di Palermo, Gioacchino Scaduto, non ci sono gli elementi e quindi le prove, per accogliere la richiesta di giudizio immediato avanzato dalla procura per i giornalisti Piero Messina e Maurizio Zoppi.
I cronisti hanno raccontato su “l’Espresso” dell’intercettazione fra il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, e il suo medico Matteo Tutino. Il giudice, inoltre, esaminando le carte a sua disposizione, ipotizza che la frase “incriminata” possa essere stata pronunciata da Tutino. Messina e Zoppi sono accusati di calunnia e diffusione di notizie false ed esagerate. L’intercettazione di cui si discute è quella tra il governatore e il suo medico in cui si parla in modo dispregiativo dell’allora assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino.
Tutino, accusato di falso, truffa e peculato in un’altra inchiesta, secondo quanto ricostruito dai due giornalisti, avrebbe detto a Crocetta che «Lucia Borsellino va fatta fuori; come il padre». Il giudice - che è presidente dei gip palermitani - nella sua ordinanza sottolinea un particolare rilevante, e cioè: «Nulla consente di escludere che l’espressione incriminata, o altra similiare possa essere stata pronunciata da Tutino o da altri nel corso di una conversazione non compresa tra quelle allegate al procedimento». Dunque, per il magistrato quella frase potrebbe essere presente fra le centinaia di intercettazioni che la procura non ha voluto consegnare alle parti per essere esaminate da un perito d’ufficio e dalla difesa durante l’incidente probatorio richiesto ed ottenuto dagli imputati.
Il gip sostiene inoltre che «una tale circostanza, ove riscontrata, non potrebbe che essere oggetto di una specifica valutazione quanto meno con riguardo all’elemento psicologico del reato contestato». Infatti a questo proposito viene rilevato che «dal complesso del materiale probatorio emergono, con riguardo agli ipotizzati reati di calunnia, elementi non univoci, in particolare emerge chiaramente che tra Piero Messina ed il capitano Cosentino (l’ufficiale dei carabinieri del Nas che ha condotto le indagini su Tutino ndr) vi era una relazione di amicizia e frequentazione; che più di una volta i due avevano trattato l’argomento Tutino-Borsellino; e che certamente tra le tante conversazioni intercettate ve n’era almeno una, in cui qualcuno aveva affermato che era necessario “far fuori” l’assessore, sia pure in senso politico e/o con esclusivo riferimento al ruolo ricoperto, che non consentono di ravvisarvi il necessario carattere dell’evidenza».
Il giudice, dunque, «non ritiene che la prova a sostegno dell’accusa» sia evidente. E per questo ha rigettato la richiesta dei pm, così come avevano chiesto i difensori di Messina e Zoppi, gli avvocati Carlo Federico Grosso, Nino Caleca e Fabio Bognanni.
La procura ha negato l’esistenza della frase nelle intercettazioni effettuate. E per questo motivo, dopo aver concluso l’istruttoria in cui sono stati ascoltati diversi testi e interrogato gli indagati, ha chiesto il giudizio immediato.
«L’accertata inesistenza agli atti del procedimento di una conversazione tra Crocetta e Tutino avente il contenuto riferito non prova con la forza necessaria a giustificare l’omissione dell’udienza preliminare né la falsità della notizia né l’insussistenza del reato attribuito alla presunta parte offesa», scrive invece il gip, il quale aggiunge: «Il pm infatti ha introdotto nel presente procedimento, che costituisce una costola del procedimento principale a carico di Tutino e altri, alcune intercettazioni intercorse tra questi e Crocetta che non esauriscono affatto il compendio delle conversazioni intercettate ed intercorse tra molteplici soggetti coinvolti a vario titolo nell’indagine».