C'è una foto in mano agli investigatori che ritrae l'ex bomber della Nazionale e della Juventus assieme al capo dei capi della 'ndrangheta e al manager di fiducia di quest'ultimo. L'attaccante però è stato perquisito per un altro motivo: è indagato per detenzione abusiva di armi in concorso con il padre Giuseppe, importante imprenditore di Reggio Emilia, tra i 117 arrestati della settimana scorsa, e fino a qualche mese lanciatissimo nella cordata che voleva comprare il Mantova Calcio.
Entrambi sono stati messi sotto inchiesta dalla procura antimafia di Bologna che sta coordinando i carabinieri di Modena e Reggio nell'indagine sulla 'ndrangheta emiliana. A una settimana dalla grande retata Aemilia, quindi, il parterre degli inquisiti si fa sempre più folto e variegato. Poliziotti, politici, consulenti finanziari, commercialisti, avvocati, imprenditori, manovali, giornalisti. E anche un calciatore. Dentro ci sono finite tutte le classi sociali. Quando si dice la trasversalità della 'ndrangheta.
Iaquinta, che a Berlino accarezzava la coppa del mondo, secondo gli inquirenti, nella sua casa in Emilia deteneva delle armi che non doveva avere. Non solo. Il goleador avrebbe partecipato anche a qualche summit sia in Emilia che in Calabria. Riunioni tra personaggi di spicco dell'organizzazione. Una di questa si è tenuta a Cutro, nel feduo calabrese della cosca.
Presenti i due Iaquinta, padre e figlio, al cospetto del capo dei capi Nicolino Grande Aracri. Tra i partecipanti alla riunione emiliana invece c'era Alfonso Paolini, uno degli “organizzatori” del clan padano. Proprio quest'ultimo è il più vicino al bomber. I detective dell'Arma descrivono Paolini come «una sorta di Pr della cellula emiliana». In pratica un manager delle relazioni sociali, che mette a disposizione della cosca conoscenze e amicizie. Con le forze dell'Ordine e esponenti politici.
In una telefonata intercettata tra lui e il nipote, i due parlano della festa dei calabresi a Cremona che si tiene ogni anno a giugno. Per l'evento, il giovane Paolini chiede allo zio, molto più esperto e dalle mille risorse, di invitare i giocatori Vincenzo Iaquinta e Rino Gattuso. Una richiesta questa che arriva direttamente dal referente Cremonese del boss Nicolino Grande Aracri, “Manuzza”.
A conferma dei buoni rapporti con il mondo del pallone, i carabinieri scrivono che Paolini senior «intrattiene continui rapprti telefonici con il calciatore Iaquinta, così come con il procuratore Cataldo Ceravolo nonché con Francesco Gattuso, padre dell'ex centrocampista del Milan». Contatti, che, secondo i detective, permettono al Pr dell'organizzazione di stringere ancora più solide relazioni con il mondo della politica e della polizia della provincia reggiana. In che modo? « Sfruttando, quale merce di scambio, biglietti per partite di calcio, magliette, autografi ed altro materiale correlabile al mondo del calcio professionistico». E per recuperare alcuni biglietti di una partita di seria A della Juventus non ha esitato a chiamare anche Claudio Marchisio. I militati dell'Arma parlano di «tentativi di chiamata».
Cataldo Ceravolo di mestiere fa il procuratore dei calciatori, coinvolto qualche anno fa in un procedimento disciplinare della giustizia sportiva per una vicenda legata al fallimento della Pro Patria Gallaratese. Cataldo però è il figlio del ben più noto Francesco, agente di numerosi fuoriclasse, e volti noti del pallone, come Rino Gattuso. Tuttavia a parte Iaquinta nessuno di questi nomi dello sport è implicato nell'inchiesta. Rappresentano soltanto un mondo di relazioni del quale Paolini, lui sì indagato per mafia, conosce le potenzialità. E proprio per questo gli investigatori annotano queste conoscenze.
A chiamare in causa Iaquinta junior ci sono anche altre intercettazioni ambientali. A parlare di lui è la consulente finanziaria della cosca, in cella per concorso esterno, Roberta Tattini. La stessa che con un marcato accento bolognese definisce «un grande onore la visita» del padrino calabrese nel suo ufficio nel centro storico di Bologna. Ebbene, la donna riferisce al marito di aver trascorso una giornata grandiosa, con «una serie di conoscenze molto molto importanti». E i militari aggiungono: «tra cui sicuramente quella di Vincenzo Iaquinta, noto calciatore, all’epoca dei fatti tesserato della Juventus Fc, e del padre Giuseppe interessati ad alcune consulenze». In quell'occasione Tattini, che non sa di essere sotto controllo dalle cimici degli investigatori, fa riferimento a un cartone pieno di quattrini portato dai suoi clienti calabresi. E sostiene di averlo pure fotografato.
[[ge:espresso:palazzo:1.198055:article:https://espresso.repubblica.it/palazzo/2015/02/03/news/ndragheta-quel-maxi-affare-edilizio-tra-flavio-tosi-e-l-industriale-amico-del-clan-1.198055]]Il bomber è una stella nell'ambiente 'ndranghetista. È il mito, il campione del mondo, il goleador. Lo è stato e lo sarà per sempre. Per questo tutti chiedono e vogliono autografi e magliette della Juve. Antonio Gualtieri, accusato di essere il braccio finanziario di don Nicolino Grande Aracri, è uno di questi: «Ora ti faccio vedere che entro lunedi mi porta le magliette della Juve questo qua... mi ha portato la magliettina con la sua dedica perchè io, prima che venissi su, quest'estate, siamo stati a mangiare a casa sua, capito? fuori, all'aperto... abbiamo mangiato a casa di Iaquinta.. abbiamo fatto una tavolata là fuori, c'era lui vicino a me, seduto».