Associazione mafiosa, usura e riciclaggio. Un'operazione dei carabinieri di Modena, Reggio Emilia e Bologna ha portato all'arresto nella notte di 117 persone e al sequestro di beni per svariati milioni di euro

Una cellula emiliana della 'ndrangheta. Che ha forza militare, finanziaria e di relazione. Relazioni con la politica e persino con l'informazione. Tra Modena e Piacenza i padrini hanno investito denaro, tanto denaro. E si presentano come imprenditori perbene. «Si è sempre parlato della 'ndrangheta imprenditrice: gli arresti di oggi dimostrano proprio l'esistenza di questo tipo di organizzazione», ha spiegato il procuratore capo di Bologna Roberto Alfonso durante la conferenza stampa in cui è stata illustrata la grande retata denominata “Emilia” che ha portato in carcere 117 persone e al sequestro di beni per un valore di oltre 100 milioni di euro.  Un'indagine messa a punto dalla procura antimafia felsinea che ha coordinato i comandi provinciali di Modena, Reggio Emilia, Parma. La parte patrimoniale invece è stata eseguita dalla Direzione investigativa di Bologna e dalla Guardia di Finanza di Cremona.

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A finire in cella sono capi, organizzatori, complici politici e imprenditoriali della 'ndrina Grande Aracri. Una famiglia originaria di Cutro, ma che da trentadue anni ha “delocalizzato” le proprie attività nella rossa Emilia.  Delocalizzato è il termine adatto.  Al pari delle grandi aziende multinazionali. Questa holding  negli anni è riuscita a diventare sempre più autonoma rispetto alla casa madre calabrese.

I Capi clan

I detective dell'Arma dopo tre anni di indagini serratissime hanno fotografato l'organigramma della mafia calabro emiliana. Il vertice della cosca è composto, secondo gli inquirenti, da sei persone. A ognuno una zona di competenza. Nicolino Sarcone è il reggente per la zona di Reggio Emilia città. Michele Bolognino supervisiona la bassa reggiana e l'area di Parma. Alfonso Diletto sovraintende i centri di Brescello e comuni limitrofi. A Francesco Lamanna è toccata Piacenza e dintorni. Antonio Gualtieri si è spartito il Piacentino con il collega Lamanna e gestisce parte del territorio reggiano. Infine Romolo Villirillo che si occupava di più zone compreso il cremonese, il mantovano e il veronese. Eccoli i nomi dei nuovi boss che si sono spartiti in parti uguali la via Emilia.

Gli imprenditori

Un capo senza quattrini fa poca strada. Per questo il livello imprenditoriale è di primaria importanza per l'organizzazione. Gli inquirenti ne individuano una decina. Dieci personaggi però che non sono semplici complici esterni alla famiglia Grande Aracri, ma sarebbero dei veri e propri affiliati. Gli inquirenti ne hanno contati cinquantasei. Tra questi c'è anche Giuseppe Iaquinta, il padre del calciatore Vincenzo campione del mondo in Germania con la nazionale di Marcello Lippi. È questo il gruppo che assicura il raccordo tra la parte criminale e quella economica. E grazie a loro sono riusciti perfino a costruire un interno quartiere a Sorbolo, provincia di Parma. Duecento appartamenti modernissimi pronti per essere venduti, e che ora sono stati sequestrati su ordine del giudice.

I concorrenti esterni

C'è tanta politica nel capitale relazionale del clan emiliano. Perché senza appoggi politici tutto diventa più complicato. Due uomini del centro destra regionale finiscono così tra gli indagati. Sono Giuseppe Pagliani, avvocato e consigliere comunale di Reggio Emilia in quota Forza Italia, candidato anche alle ultime regionali, e Giovanni Bernini, ex assessore a Parma e soprattutto ex consigliere dell'allora ministro Pietro Lunardi, che passò alla storia per la dichiarazione “con la mafia bisogna conviverci”. Per entrambi la procura ha chiesto l'arresto con l'accusa di concorso esterno, ma il giudice per le indagini preliminari ha concesso il fermo solo per Pagliani. «Ricorreremo in appello per la posizione di Bernini», ha assicurato il capo della procura bolognese.
Con lo stesso capo di imputazione è finito in carcere Augusto Bianchini, titolare di un'importante società modenese che ha lavorato nella ricostruzione post terremoto permettendo alle aziende dei Grande Aracri di inserirsi nei lavori.

Ma non finisce qui, perché a disposizione dei boss, secondo gli investigatori, c'è pure un giornalista: Marco Gibertini. Un volto noto delle tv locali che durante una delle sue trasmissioni aveva ospitato il politico Pagliani e il padrino Sarcone. Complice e Boss, dunque, seduti comodamente in prima serata per parlare delle numerose aziende bloccate dal prefetto perché sospettate di inquinamento mafioso. Quando si dice l'imparzialità dell'informazione.

L'elenco di chi avrebbe servito il clan è lungo. Ci sono professionisti coma  Roberta Tattini, con studio nella centralissima piazza Santo Stefano, che dalle intercettazione sembra quasi affascinata dal potere del capobastone calabrese. E ancora consulenti finanziari, commercialisti, avvocati. Tutti pazzi per i Grande Aracri.

Usura, pizzo e roghi

Decine  di casi di usura, altrettante estorsioni. La cosca come un banca. Ma che poi esige i crediti. Anzi, offre anche agli altri questo servizio molto richiesto in tempi di crisi.  La 'ndrangheta per quanto indossi i panni del buon imprenditore, mantiene comunque l'animo feroce e arcaico di sempre. E lo rispolvera quando serve. La procura ha contato oltre 70 casi tra prestiti a strozzo e recupero crediti che celavano estorsioni. Un numero impressionante. Che rende però l'idea di quanto fossero ricercati i padrini calabresi. In molti casi visti come gli unici in grado si salvare l'azienda locale dal fallimento. La 'ndrangheta però non fa nulla gratis. Non è per la beneficenza. Quello che dà lo rivuole indietro. E se non lo ottiene arrivano gli incendi, le botte, le minacce. Intimidazioni di questo tenore: «Ti rompo le ossa, questa volta te lo giuro te le rompo»; «Me la vedo con tua moglie se non rispetti i termini»; «Ti spacco la testa», minaccia a cui sono seguiti i fatti, cioè il rogo di un locale notturno in provincia di Ravenna.

Elezioni macchiate

Parma, 2007 e 2012. Sala Baganza, 2011. Brescello, 2009. Campegine, 2012. Salsomaggiore Terme, 2006. Tutte queste competizioni elettorali sono state viziate, secondo il giudice per le indagini preliminari, dagli uomini del clan Grande Aracri. È la prima volta che l'Emilia fa i conti con la compromissione di alcuni politici. Certo, i sospetti ci sono sempre stati. Ma ora per la prima volta un politico è in cella con l'accusa di concorso esterno. Primo caso in Emilia. E nessuno degli schieramenti più importanti è immune. Dal Pd alla Lega, passando per Forza Italia.

Minacce alla giornalista

Se da un lato la strategia mediatica del clan prevede l'utilizzo della stampa, e di giornalisti non troppo coraggiosi che stanno al gioco, per costruirsi un'immagine pulita, dall'altra, per fortuna, ci sono cronisti che mantengono la schiena dritta. Così la cosca è costretta a tornare ai vecchi metodi: l'intimidazione. A farne le spese Sabrina Pignedoli del Resto del Carlino. «Se continui ti taglio i viveri» gli avrebbe detto Domenico Mesiano, l'ex autista dell'allora Questore di Reggio Emilia. Una frase che suona come minaccia per un articolo scritto su un suo amico sempre del giro Grande Aracri. Per questo Sabrina, preoccupata, è corsa alla procura antimafia a denunciare il fatto e ora un capo di imputazione riguarda proprio le pressioni subite dalla giovane collega.

Un caso isolato purtroppo. Perché dalle carte emerge invece che altri su suggerimento di amici degli amici dei boss hanno tranquillamente pubblicato sproloqui e monologhi dei capi zona. In primis quelli di Nicolino Sarcone, il quale con un suo fedelissimo commentano la forza del Quarto potere: «È un aggeggio che dove tocca fa male il giornalismo». Per questo è meglio saperlo trattare e controllare. Così come spesso ha fatto la 'ndrangheta emiliana.