Il caso

"Noi, dipendenti di Arcore licenziati da Silvio" Il jobs act secondo Berlusconi

di Marzio Brusini   12 marzo 2015

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Silvio Berlusconi davanti villa San Martino ad Arcore

Pagati dal partito, ma rimasti per 15 anni in casa dell'ex Cavaliere. ?E ora due assistenti cacciati svelano i contratti fasulli di Villa San Martino

Silvio Berlusconi davanti villa San Martino ad Arcore
«Cari ragazzi, mi spiace ma ho finito i soldi». L’avesse detto chiunque altro, in questi tempi di crisi non sarebbe stata una sorpresa. Ma essere messi alla porta così da Silvio Berlusconi è stata una botta assolutamente inattesa. Paolo Cagnoni e Giuseppe Villa per quindici anni sono rimasti in servizio permanente effettivo nella reggia di Arcore. Assunti dal partito con un contratto di consulenza, mentre in realtà erano agli ordini diretti del “Dottore”, come gli intimi da sempre chiamano il fondatore di Fininvest. Tutti i giorni a Villa San Martino, spesso anche nei weekend, dalle 7 alle 18. Erano loro a selezionare la rassegna stampa per Berlusconi, arricchita di commenti e suggerimenti.
[[ge:espresso:plus:articoli:1.203411:article:https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2015/03/11/news/i-conti-della-serva-modello-maria-rosaria-1.203411]]
Toccava sempre a loro rispondere alle lettere dei questuanti che chiedevano aiuti economici o posti di lavoro («ma non siamo mai riusciti a far ottenere nulla» commenta Villa), a organizzare appuntamenti e ricevere direttamente politici e amministratori locali oltre ad una folta schiera di rappresentanti di interessi imprenditoriali. Un incarico di altissima fiducia, che ha trovato nel tempo una consacrazione pure nelle loro telefonate per impartire indicazioni ai ministri dei vari governi di centrodestra. «Cercavamo di fare il nostro lavoro senza metterci in mostra ma con Berlusconi avevamo un rapporto diretto soprattutto quando a capo della sua segreteria c’era Marinella. E nel momento in cui lei se ne è andata il clima generale nelle stanze di Arcore è cambiato in peggio», racconta ancora Villa.

Già, Marinella Brambilla la storica segretaria, per quasi 30 anni, l’ombra del Cavaliere, il suo braccio destro. Il cui contratto viene prima ridimensionato nel marzo dell’anno scorso poi chiuso definitivamente: a luglio è passata [[ge:espressoimage:eol2:2136882:1.25044:image:https://espresso.repubblica.it/polopoly_fs/1.25044.1379595510!/httpImage/image.jpg_gen/derivatives/articolo_480/image.jpg]]al fianco del giovane Luigi Berlusconi. Sulla fine della collaborazione si è a lungo favoleggiato. Il “Dottore” ha sempre negato di averla licenziata e Marinella conserva un rigoroso silenzio. «Ci venne a salutare spiegandoci che il suo profilo di caposegreteria era venuto meno e rimanemmo sorpresi. Si trattava di una rivoluzione inaspettata e per certi versi incomprensibile», spiega Villa.

In quel momento compare per la prima volta sull’ingresso della dimora brianzola una targa di ottone, quella dell’onorevole Maria Rosaria Rossi: neppure Silvio Berlusconi ne ha una. È la vittoria del cerchietto magico sulla vecchia guardia. «Noi la Rossi l’abbiamo vista una sola volta o poco più», continua il suo racconto Giuseppe Villa. «Sostanzialmente, ci ha chiesto solo cosa facessimo; che avesse sostituito Marinella lo abbiamo scoperto nel tempo. Ma a quel punto il rapporto diretto con Berlusconi si è diradato».

I due assistenti, di fatto, sono le prime vittime della spending review di Maria Rosaria Rossi (vedi box nell’altra pagina). Il loro contratto di consulenza è stato rescisso prima della scadenza, il 31 dicembre 2014, adducendo una conclusione già prefissata. Lo scoprono per caso, senza che nessuno abbia il pudore di informarli a voce: tornando a casa trovano nella buca delle lettere una raccomandata a firma dell’amministratore e del vicesegretario del Popolo della Libertà, gli onorevoli Rocco Crimi e Maurizio Bianconi.

Insistono per parlare direttamente con Berlusconi ma l’incontro è stato «una profonda delusione», come ricorda Giuseppe Villa: «Ha aperto le braccia e in maniera sbrigativa, quasi infastidita, ci ha detto che aveva finito i soldi ed eravamo congedati. A quel punto siamo rimasti senza parole. Credevamo in un progetto e credevamo soprattutto in parole come meritocrazia e riconoscenza. Abbiamo letto i bilanci e i debiti sono effettivamente milionari ma c’è comunque modo e modo. E le parole di circostanza ovvero di “stare tranquilli” si sono rivelate ingannevoli».
«Siamo rimasti in attesa di comunicazioni da parte degli amministratori del Pdl, ma il silenzio dominava sovrano e nessuno ci rispondeva più neppure al telefono. Fino ad ottobre siamo andati regolarmente in ufficio, nel padiglione delle ex scuderie della villa, confidando in una soluzione poi abbiamo iniziato a mandare lettere con il nostro avvocato. A questo punto, i primi giorni di dicembre, ci hanno intimato di non farci più vedere a Villa San Martino. Pochi giorni orsono mi hanno telefonato per dirmi di andare a ritirare i miei effetti personali rimasti in ufficio ma solo dietro appuntamento e sotto scorta di una delle guardie di sicurezza. A quel punto gli ho detto che potevano tenerseli».

I due si sono rivolti ai giudici per vedere riconosciuti i loro diritti: il 30 marzo Berlusconi sarà chiamato a rispondere al Tribunale del Lavoro di Monza insieme a Forza Italia e Pdl per licenziamento illegittimo e per presunti contratti fittizi. Sostengono infatti che i loro contratti co.co.co in realtà celassero un rapporto di lavoro subordinato non coi partiti ma direttamente con Silvio Berlusconi. «Villa utilizzava esclusivamente mezzi e strumenti di Berlusconi, avendo a disposizione nella sede di Arcore una regolare postazione di lavoro con computer, linea internet, telefono, nonché vitto ai ristoranti locali che venivano pagati dallo stesso Berlusconi», si legge in uno dei due atti depositati presso la cancelleria del Tribunale. Il tutto accompagnato da un elenco di testi tra cui la Brambilla e i carabinieri di stanza nella residenza.

Ma le accuse vanno oltre evidenziando che i contratti, reiterati e con sede diversa da Arcore (era indicato l’indirizzo della segreteria regionale di Forza Italia a Milano), «sarebbero stati fittiziamente voluti dal Berlusconi». Tra le accuse, i mancati pagamenti degli aspetti previdenziali, frodi attraverso fittizie ricevute fiscali, progetti inventati e non rispondenti alle reali mansioni, licenziamento senza giusta causa. Particolarmente grave, stando all’esposto, il raggiro che Giuseppe Villa e Paolo Cagnoni avrebbero subito quando nel 2010 Forza Italia finisce nel cassetto e sarebbero stati obbligati a firmare una transazione senza assistenza sindacale per poter accedere ad un nuovo contratto con il Pdl: in pratica una rinuncia a diritti e spettanze pur di poter continuare a lavorare. Il Jobs Act secondo Silvio: una piccola antologia di furbizie ed escamotage che, qualora venissero confermate dal giudice, getterebbero pesanti ombre sul modo di intendere il lavoro ad Arcore.